Costruiamo
l'alternativa alle politiche padronali partendo dalle lotte
Pasquale Gorgoglione
L'8 settembre si è svolta a Bari,
davanti alla Fiera del Levante, una giornata di contestazione contro le guerre
militari e sociali del governo Prodi. Mentre il primo ministro, insieme
a tutto l'establishment politico ed economico pugliese e nazionale, dava
l'avvio alla nuova stagione politica illustrando le linee guida dell'agenda di
programma per i prossimi mesi, all'esterno si svolgeva un sit-in di protesta
contro i durissimi attacchi ai diritti dei lavoratori e contro le missioni
militari dell'imperialismo italiano nel mondo. L' iniziativa, animata dal PdAC
pugliese, con la partecipazione dei Cobas e di alcuni militanti del movimento
No War, è stata indetta con l'obiettivo di portar fin dentro i confini della
blindatissima zona rossa la voce contraria dei lavoratori, dei precari e dei
più deboli, cercando di disturbare con la nostra voce la cerimonia di
inaugurazione della Fiera, che è anche la giornata in cui riparte,
tradizionalmente, la politica italiana dopo la pausa estiva. Da segnalare, purtroppo ancora
una volta, l'atteggiamento restio di Sinistra Critica che, pur sbandierando le
varie "incompatibilità" su singoli temi (guerra, precarietà...), ha reclinato
l'invito a costruire un'iniziativa comune di protesta che dichiarasse anche
l'incompatibilità a qualsiasi sostegno al governo Prodi.
La chiarezza prima di tutto
"Io non mi lamento". Questo è
quello che il governatore pugliese Vendola, orgogliosamente, rivendicava
rivolgendosi a Prodi ed alla borghesia schierata in pompa magna, in uno dei
momenti più altisonanti del suo innocuo discorso. Una dichiarazione mai così
esplicita di affidabilità e di perfetto adattamento alle politiche antipopolari
del centrosinistra. Allo stesso tempo la sintesi emblematica di un discorso che
spazza via il campo, se ancora ce n'era bisogno, da ogni illusione sulla
possibilità che la partecipazione a governi con i liberali determini uno
spostamento a sinistra dell'azione di governo. La realtà ci informa di una
situazione esattamente opposta: mai in Italia si è verificato un attacco così
profondo e devastante ai lavoratori e mai come oggi la capacità di penetrazione
militare ed economica dell'imperialismo nostrano ha trovato maggior attuazione. Il No Prodi Day di Bari è stato
il primo appuntamento dell'autunno caldo; per portare in piazza la voce di chi
si oppone al peggioramento delle condizioni di lavoro, contenuta negli accordi
del 20 e del 23 luglio su pensioni e competitività, di chi si oppone alla
ingiustizia e alla violenza della guerra imperialista, di chi vuole cacciare i
governi padronali. La costruzione di un'alternativa
alle politiche confindustriali di centrodestra e di centrosinistra può solo passare
attraverso la chiarezza: solo partendo dall'indipendenza chiara e netta,
politica e organizzativa, i lavoratori e i movimenti potranno mettere in campo efficacemente
la loro forza e tracciare la via per la costruzione di un'alternativa di
potere. Che ogni sit-in, sciopero,
manifestazione, di quest'autunno sia un No Prodi Day!
Pubblichiamo parte di un ampio
documento elaborato dalla Rete no Ponte, movimento di lotta che vede la
presenza attiva delle sezione locale del PdAC
A poco più di un anno dall'insediamento del governo Prodi, nulla è cambiato per
quanto riguarda il piano delle grandi opere licenziato dal governo Berlusconi.
Resta sostanzialmente immutato il programma delle infrastrutture da realizzare.
Solo il ponte sullo stretto è stato stralciato in quanto considerata
"opera non prioritaria".
Il nostro giudizio sul piano approvato dal governo Berlusconi era profondamente
negativo in quanto giudicato incentrato su mere operazioni di cementificazione,
speculazione, devastazione ambientale e spreco di denaro pubblico, così come
critici siamo sempre stati nei confronti della "legge obiettivo", in quanto
strumento per esautorare da qualsiasi potere decisionale le comunità locali e
piegare il territorio agl'interessi economici delle imprese interessate alla
realizzazione delle opere. Parimenti negativo è il giudizio sul governo Prodi, che
raccoglie senza soluzione di continuità l'eredità ricevuta. La problematica
posta dalla questione "ponte sullo stretto" rimane preoccupante, perché, se è
vero che sono state sottratte alla Stretto di Messina Spa le risorse Fintecna,
è vero anche che la Società
del ponte continua ad esistere e con la stessa ragione sociale. Il contratto
con Impregilo, peraltro, a tutt'oggi non è stato rescisso. Per queste ragioni, la Rete no Ponte ha deciso di rilanciare la mobilitazione
sulla base di una piattaforma articolata che agisca sul terreno specifico della
vertenza ponte, ma anche in collaborazione con il movimento dei lavoratori
marittimi dello stretto e degli altri movimenti che si oppongono alla
devastazione ambientale e sociale dei propri territori.
Chiusura della
Stretto di Messina Spa!
Attraverso la modifica dell'art. 1 della legge n. 1158/70,
che istituiva la società Stretto di Messina Spa (avvenuta con D.L. 266/2006,
convertito in L. 286/2006), essa continuerà le sue attività e potrà addirittura
effettuare infrastrutture trasportistiche all'estero.
La Fintecna
ha ritirato il proprio impegno finanziario dalla società, ma le sue quote
passeranno ad altre società pubbliche non identificate, lasciando quindi aperto
l'impegno statale, non soltanto nello stretto di Messina ma anche nella
costruzione dell'attraversamento stabile dello stretto. Le rivendicazioni della
rete no ponte, che in questi anni ha portato in piazza migliaia e migliaia di
cittadini a protestare contro un'opera inutile e dannosa, erano altre. L'attuale maggioranza di governo ha disatteso le
aspettative, pur se limitate, dichiarate in campagna elettorale, assumendo una
posizione ambigua. Mentre ministri e segretari di partito non nascondono la loro
posizione pro-ponte, il servizio di trasporto marittimo pubblico e privato
sullo stretto è stato gravemente depotenziato e sono stati promossi lavori
pubblici propedeutici al ponte.
Dunque, occorre un'inversione di tendenza, a partire dall'abrogazione della
legge n. 1158/70, con la conseguente liquidazione della Stretto di Messina Spa.
La rete no ponte chiede l'immediata rescissione del contratto stipulato dalla
Stretto di Messina Spa con la cordata vincitrice dell'appalto, capeggiata da
Impregilo. Il contratto, registrato nell'aprile del 2006, prevedeva che il
progetto definitivo del ponte sullo stretto avrebbe dovuto essere consegnato
entro 180 giorni, mentre ne sono trascorsi oltre 300 dal termine presunto per
la consegna del progetto definitivo e dalla dichiarazione del ministro delle
infrastrutture di voler avviare il procedimento per la cessazione del rapporto.
Ad oggi, nulla è stato fatto, e questo è ingiustificabile e intollerabile.
Unità d'azione con il movimento dei lavoratori marittimi e con i pendolari
dellostretto!
L'area dello Stretto è attraversata da forti movimenti di
lotta dei lavoratori marittimi che chiedono diritti e stabilizzazione del posto
di lavoro. La tragedia dello scorso inverno, che ha causato morti e feriti, ha
posto con forza il problema della sicurezza della navigazione nello stretto di
Messina. La rete no ponte deve assumere questi temi come centrali nella propria
azione e trovare momenti di collaborazione con tutti i soggetti interessati. La
precarizzazione delle condizioni di lavoro e di trasporto sono propedeutiche
alla riproposizione del ponte sullo stretto.
Progresso verso il socialismo o del controllo e la
repressione governativa sul movimento di massa?
Violenta repressione
dei lavoratori della Sanitari Maracay
sull'autostrada
Caracas-Maracay, il 24/04/2007
Pochi
giorni fa, il Presidente del Venezuela, Hugo Chávez, ha presentato
all'Assemblea Nazionale (il Parlamento) un progetto di riforma della
costituzione del 1999 (approvata all'inizio del suo primo mandato). Se
l'Assemblea dovesse confermarla (cosa scontata, vista l'assoluta maggioranza di
deputati chavisti), la nuova costituzione sarebbe finalmente approvata
attraverso un plebiscito. Il
testo include vari articoli sugli "obiettivi sociali della produzione" ed il
diritto dello Stato d'intervenire nel processo economico, e regolamenta la
creazione di organismi definiti di "potere popolare". Prevede pure il diritto
di rielezione indefinita per la carica presidenziale, finora limitato a due
mandati. Come
succede per ogni provvedimento di una certa importanza approvato dal governo
Chávez, anche questo ha generato una forte polemica. Da una parte,
l'opposizione di destra, vari governi latinoamericani e l'imperialismo lo hanno
criticato come un passo in più verso l'instaurazione di una "dittatura
personalista". In bocca a questi personaggi della borghesia e
dell'imperialismo, la "difesa della democrazia" e la preoccupazione per i
diritti del popolo venezuelano appaiono come una totale ipocrisia. Dall'altro
lato, coloro i quali appoggiano il governo Chávez affermano che la nuova
costituzione rafforza la "marcia verso il socialismo del XXI secolo" e che, in
questa marcia, è inevitabile colpire interessi e restringere le libertà dei
portatori di questi interessi. Tuttavia,
questa posizione tralascia un concetto basilare: non può esserci alcuna marcia
verso il socialismo che non abbia come protagonista la classa operaia ed il
popolo e come suoi obiettivi la difesa dei loro interessi ed il miglioramento
delle loro condizioni di vita. In altre parole, la costruzione del socialismo può essere possibile solo se è fatta dal e per la classe operaia ed il
popolo. Se
analizziamo in profondità l'attuale realtà venezuelana, dal punto di vista
degli interessi operai e popolari, vediamo che nessuna di queste due questioni
chiave esiste. Il Venezuela continua ad essere un paese capitalista e la
borghesia continua a controllare il potere politico ed economico attraverso un
settore di questa classe: la cosiddetta borghesia
bolivariana rappresentata dal governo chavista.[1] Da
quest'approccio di classe, la nuova
costituzione, lungi dal rappresentare un passo nella "marcia verso il
socialismo", rappresenta un passo in più nell'accelerazione del processo di
controllo sempre più totalitario delle libertà democratiche nel paese da parte
del governo Chávez. In buona sostanza, quest'accelerazione non è diretta
contro la borghesia venezuelana e l'imperialismo (benché possa parzialmente
colpirli, a volte, con alcuni provvedimenti come la chiusura di Rctv), bensì
contro i lavoratori ed il popolo venezuelano.
Cosa rappresenta il
governo di Chávez?
In
varie edizioni precedenti di Correo
Internacional abbiamo definito il governo di Chávez come "bonapartista sui
generis".[2] Vale a dire, è un
governo che rappresenta un settore della borghesia di un paese arretrato che
vuole far leva sul movimento di massa per tentare di compensare la sua
debolezza di fronte all'imperialismo, e così poter negoziare un margine un po'
più ampio di "indipendenza". In generale, governi di questo tipo si appoggiano
sulle Forze Armate, direte da un "leader" militare che impone le sue decisioni
senza nessun tipo di partecipazione reale dei settori operai e popolari. Di
qui, la definizione di "bonapartismo", con riferimento a Napoleone Bonaparte. Tuttavia,
facendo leva sulle mobilitazioni di massa, questo settore borghese è
consapevole di stare "giocando col fuoco", perché esiste il serio pericolo che
queste mobilitazioni debordino verso un processo rivoluzionario indipendente,
che rompa la cornice dello Stato borghese. Per questo, al tempo stesso, ha
l'imperiosa necessità di esercitare un ferreo controllo su di esse e di
costruire "barriere di contenimento" per evitare che ciò accada. Rafforzato
dalla sconfitta dei tentativi di golpe del 2002 dai suoi continui trionfi
elettorali, il governo di Chávez è entrato in una fase destinata ad irrobustire
il suo carattere bonapartista e questo ferreo controllo sul movimento di massa.
Solo tenendo presente questo quadro può comprendersi perfettamente il vero
significato dei suoi provvedimenti e delle sue politiche recenti.
Facciamo un ripasso
Per
gettare le basi di questo concetto, facciamo un ripasso di alcune di queste
misure:
Votazione dei "pieni
poteri".
L'anno scorso, l'Assemblea Nazionale deliberò di concedere a Chávez i "pieni
poteri" per governare. Non v'era alcuna ragione che giustificasse questo
provvedimento, dal momento che il governo ha una maggioranza assoluta in
parlamento e può approvare le leggi che vuole. Semplicemente, si è trattato di
una dimostrazione di obbedienza al "leader".
La formazione del Psuv. Questo partito viene
costruito come uno strumento politico tipico di un governo bonapartista, usando
tutto il peso dell'apparato statale per ottenere milioni di iscrizioni, con
forti pressioni agli impiegati pubblici, minacciati di perdita del posto, soldi
usati per compare dirigenti sindacali e del movimento di massa, ecc. Attraverso
di essa, Chávez, dall'apparato dello Stato, può esercitare un controllo molto
più ferreo sul movimento di massa e, al tempo stesso, disciplinare
verticalmente in questa struttura tutti i quadri del movimento che lo appoggia,
oggi ancora parecchio eterogeneo e disperso in varie organizzazioni.[3]Ricordiamo che quelli
che non vogliono entrare nel Psuv, benché abbiano combattuto contro i golpisti
e la destra in tutti questi anni, sono stati definiti da Chávez
"controrivoluzionari". Il Psuv non rappresenta, in realtà, alcuna novità
storica: movimenti politici come il peronismo argentino, il Pri messicano o il
nazionalismo arabo, hanno creato simili partiti, ferramente disciplinati al
leader borghese (Perón, Cárdenas, Nasser, ecc.).
Chiusura della Rctv. La fine della concessione
di questa emittente e la sua incorporazione alla rete governativa dei media ha
creato una forte polemica. La Lit-Ci
si è opposta a questo provvedimento, segnalando che, in ultima istanza, era
diretta contro la libertà di espressione della classe operaia: ed ha ricevuto attacchi
molto duri da varie correnti di sinistra, fondati sul carattere golpista e
reazionario della precedente dirigenza del canale televisivo. Di questo dibattito
possono oggi tirarsi le somme chiaramente. Di recente, ci sono state varie lotte
operaie duramente represse dal governo e tutti i mezzi di comunicazione
governativi, compresa la Tves
(ex Rctv), hanno fatto passare sotto silenzio sia i fatti che la voce dei
lavoratori in lotta. Dunque, la domanda a cui rispondere è molto semplice: è
aumentata la libertà di stampa della classe operaia con questo provvedimento?
La nuova costituzione
Vediamo
ora la nuova costituzione. Già abbiamo detto che introduce un articolo che
permette la rielezione indefinita del presidente. Ma questo criterio non si
applica ai governatori ed ai sindaci. In altri termini, potrà essere utilizzato
dal solo Chávez. Si
potrà sostenere che questa misura è diretta contro governatori come Jorge
Rosales, dello Stato Zulia, ex candidato presidenziale e principale figura
dell'opposizione di destra, allo scopo di indebolirne la base d'appoggio. Non
condividiamo questo criterio: in un regime difendiamo che solo il popolo
venezuelano ha il diritto di decidere quale governatore o sindaco deve
continuare a governare o meno. In un vero stato operaio in marcia verso il
socialismo, tutte le cariche ed i mandati di governo sarebbero revocabili dalle
assemblee popolari o da altro meccanismo di democrazia operaia. Ma,
per di più, quest'articolo è diretto anche contro governatori e sindaci di
partiti alleati del governo nazionale che si sono opposti ad entrare nel Psuv.
È il caso del governatore di Sucre, Ramón Martínez, del Podemos, che già
comincia ad essere pubblicamente attaccato dal governo nazionale. In
altri articoli di quest'edizione del Correo
Internacional, abbiamo analizzato come il riferimento agli "obiettivi sociali della produzione",
alla creazione di "imprese socialiste"
ed organismi di "potere popolare"sono pura retorica e dissimulano soltanto, da un lato, gli intenti di
espansione economica della "borghesia bolivariana" e, dall'altro, nuove forme
di controllo e bavagli sul movimento di massa, in tutto associato al governo. Ripetiamo
che, a nostro giudizio, il socialismo può essere costruito solo da e per la classe
operaia ed il popolo. Ciò significa che il cammino verso un'economia socialista
e la creazione di organismi di potere popolare può essere genuino solo se
basato su un processo autonomo di mobilitazione ed organizzazione democratica
dei lavoratori e del popolo. Nessuno stato borghese, ed ancor meno uno retto da
un regime bonapartista, può essere il costruttore dei veri organi di potere
operaio e popolare. Come diceva Karl Marx: "La
liberazione dei lavoratori sarà opera dei lavoratori stessi". Per
questo, concordemente al suo carattere borghese, il governo di Chávez attacca
legalmente, politicamente ed infine fisicamente, ogni espressione di questa
mobilitazione ed organizzazione autonome, come gli scioperi e le mobilitazioni
dei petroliferi, il controllo operaio dei Sanitari Maracay o la "autonomia"
della nt, per sconfiggerle o controllarle. A
partire da qui, risulta chiarissima una conclusione: la mobilitazione e
l'organizzazione autentiche dei lavoratori e del popolo venezuelano potranno
svilupparsi soltanto lottando in forma indipendente per le loro rivendicazioni
tanto immediate quanto storiche. Ciò implica lottare contro il governo Chávez e
le sue politiche, compreso questo nuovo progetto di Costituzione.
<Articolo
2>
La situazione della
classe operaia
Abbiamo
sostenuto che l'attacco alle libertà democratiche è diretto, in ultima analisi,
contro i lavoratori ed il popolo. Dobbiamo partire dal fatto che le condizioni
di vita delle masse non hanno avuto nessun importante miglioramento durante il
governo di Chávez, nonostante, per lo meno negli ultimi quattro anni, gli
introiti derivanti dal petrolio che il paese ha ricevuto siano cresciuti e
l'economia cresca a buon ritmo. Più
della metà della popolazione attiva continua a sopravvivere di lavori informali
come la vendita ambulante od il trasporto precario. Tantomeno è migliore la
situazione di chi ha un impiego dipendente. Il salario minimo percepito dalla
maggioranza dei lavoratori è di 250 dollari, al di sotto del paniere alimentare
di base e molto meno di un paniere familiare completo (700 dollari). I settori
che guadagnano un po' di più (come i petroliferi specializzati) possono
ricevere 500 o 600 dollari. Le condizioni di lavoro sono pessime, specialmente
nelle centrali industriali o nelle raffinerie che non hanno realizzato alcun
investimento di base da moltissimo tempo. Contemporaneamente, sono anni che non
si concludono contratti collettivi nella maggioranza dei settori.
Con te non contratto,
con il "golpista" sì ...
Tutto
questo ha generato una forte ondata di lotte per i salari, le condizioni di
lavoro e la conclusioni di contratti collettivi, totalmente occultata sia dalla
stampa "democratica" del continente che dai media del governo. Al di à dei casi
che analizziamo in questo Correo, vi
sono stati conflitti recenti anche alla Sidor (la grande impresa siderurgica
dello Stato Bolívar) ed alla Toyota di Cumaná (Sucre). Di
fronte a queste lotte, il governo pretende di scegliere con chi concludere i
nuovi contratti. Nel caso dei lavoratori petroliferi della Pdvsa, ad esempio, voleva
farlo con i vecchi "dirigenti" golpisti della federazione della Ctv[4], totalmente ripudiati
dai lavoratori. Una forte mobilitazione ha impedito questa manovra ed ha
obbligato il governo ad accettare che almeno una parte dei negoziatori sia
eletta dalla base. Quando
le lotte operaie trascendono, vengono messe da parte le "buone maniere" e le
manovre del governo ed appare la repressione diretta. Così è accaduto con i
lavoratori dei Sanitari Maracay nello Stato Aragua (v. articolo). E così con i
petroliferi di Zulia (occidente del paese), la cui manifestazione è stata
duramente repressa dalla Guardia Nazionale, con un bilancio di vari feriti e
quattro lavoratori imprigionati, tra le accuse del governo rivolte ai
lavoratori di essere "sabotatori". In questi casi, cade la "maschera
socialista" del governo di Chávez ed appare in tutta la sua crudezza il suo
carattere borghese.
Gli impiegati statali
Benché
possa suonare contraddittorio per coloro i quali difendono l'idea della "marcia
al socialismo" sotto questo governo, i lavoratori statali (1.200.000 in tutto)
sono quelli che più soffrono le conseguenze di questa politica del governo.
Circa la metà percepisce il salario minimo, o meno, come quelli recentemente
assunti per le Missioni. Tutti i dipartimenti e ministeri hanno il loro
contratto collettivo scaduto da molto tempo: il record appartiene allo stesso
Ministero del Lavoro con sedici anni senza rinnovo! Anche
qui il governo vuole scegliere con chi contrattare. Una delle due federazioni
sindacali, legata ai vecchi "dirigenti" golpisti, è stata ricevuta dal ministro
del Lavoro, José Ramos Rivero, ed ha chiesto il 40% di aumento (cifra al di
sotto dell'inflazione degli ultimi quattro anni). L'altra federazione ha
rivendicato il 60% ed il pagamento di importi retroattivi per compensare le
perdite sofferte. Andando a presentare la proposta, il suo dirigente, Marco
García, si è scontrato col fatto che i funzionari del ministero avevano
proibito di riceverla. Di
fronte a questa situazione, un nucleo di dirigenti sindacali del settore ha
occupato parte degli impianti del ministero, esigendo che venissero discusse
quest'ultima proposta e le dimissioni del ministro. In un'atmosfera tesissima,
dopo che sono state sospese le erogazioni di acqua e luce e vi sono state
minacce ed aggressioni da parte dell'organizzazione Tupamaros (truppa d'assalto
del governo), i manifestanti sono stati sgombrati. Questo
caso degli impiegati statali riassume tre dei pilastri della vera politica del
lavoro del governo di Chávez: bassissimi salari, disconoscimenti dei reali
rappresentanti sindacali ed intento di negoziare con "dirigenti" fantasma e
golpisti e, per ultimo, la repressione delle lotte e dei suoi dirigenti. Risulta
evidente che, nella misura in cui queste lotte operaie crescono, crescerà al
tempo stesso la repressione governativa contro i lavoratori.
<Articolo
3>
Gli attacchi alla "autonomia
sindacale"
Altro
aspetto centrale dell'attuale politica del governo d Chávez sono i suoi
attacchi alla "autonomia sindacale", cioè all'indipendenza dei sindacati e
delle centrali di fronte allo Stato ed al governo. Lo stesso Chávez, in un
discorso nel marzo di quest'anno, ha affermato che "bisogna smetterla con questa storia dell'autonomia sindacale". La
questione della "autonomia" si riferisce oggi, principalmente, al destino
dell'Unt (Unione nazionale dei lavoratori), nata nel 2003 dalla rottura della
vecchia Ctv prima della sua posizione golpista. Benché l'Unt e le correnti che
la compongono abbiano sempre rivendicato il "processo bolivariano", varie di
esse (specialmente la Ccura[5]) hanno rivendicato la
necessità della sua "autonomia" di fronte al governo ed agli industriali. La
politica del chavismo prevede che l'Unt si disciplini al Psuv, che si sta
costruendo come "braccio politico" del governo. Per questo, propone che la sua
direzione sia definita preventivamente all'interno del Psuv e, subito dopo,
"eletta" nell'Unt. Tuttavia, quattro delle cinque correnti interne alla
centrale sindacale hanno rifiutato questa proposta e, in una recente assemblea
plenaria di mille attivisti, hanno deciso di convocare le elezioni quest'anno,
senza aspettare il "placet" del governo. Vale a dire, nei fatti, una decisione
"autonoma". L'unica
corrente che si è opposta a questa decisione è stata la Fstb (Forza socialista
bolivariana dei lavoratori), legata al ministero del lavoro. Il suo principale
dirigente, il deputato Oswaldo Vera, appare negli atti del Psuv come
"rappresentante" dell'Unt, benché nessun organismo del sindacato lo abbia
designato come tale. Vera ha duramente attaccato la decisione di convocare le
elezioni. Ecco quanto denuncia Orlando Chirino (dirigente della Ccura ed uno
dei coordinatori nazionali dell'Unt): "Penso
che le dichiarazioni di Oswaldo Vera siano la risposta ‘ufficiale' del governo centrale
contro gli sforzi per riunificare il sindacato". Chirino ha aggiunto che
questa risposta è destinata alla "imposizione
dei candidati o a dividere il sindacato stesso", spingendo gli iscritti ad
abbandonarlo (www.aporrea.org, 3/8/2007).
Come
Lit-Ci, respingiamo tutti i tentativi del governo Chávez di manipolare coloro
che devono essere i "rappresentanti" dei lavoratori. Difendiamo il diritto
dell'Unt di realizzare le proprie elezioni interne, senza intromissioni del
governo. Rivendichiamo la necessità che l'Unt continui nel percorso per essere
un sindacato totalmente "autonomo" dai padroni e, soprattutto, dal governo.
Cosa che potrà verificarsi solo col rispetto più assoluto della democrazia
operaia al suo interno. Tuttavia,
è necessario trarre tutte le conclusioni da questi fatti. Il governo di Chávez
non è disposto a tollerare la minima "autonomia" dell'Unt. Neanche l'elementare
diritto di eleggere liberamente la sua direzione. E, se non si disciplina, la
sua politica è cercare di dividerla e distruggerla. Per
questo, è chiaro che Chávez ed il suo governo sono totalmente contro qualsiasi
espressione di democrazia operaia. Cosa possiamo attenderci, allora, dagli
organismi di presunto "potere popolare" previsti dal progetto di nuova
costituzione, che saranno direttamente nominati dai ministri, dai governatori e
dai sindaci? Benché alcuni di essi possano avere l'ingannevole appellativo di
"soviet" (col tentativo di associare questo progetto alla Rivoluzione russa del
1917), il vero obiettivo sarà quello di controllare i lavoratori e, al tempo
stesso, utilizzarli come arma per distruggere i più genuini processi di
organizzazione, come l'Unt.
<riquadro>
Il caso della Sanitari
Maracay
E le "imprese
socialiste"?
Il
progetto di nuova costituzione venezuelana include vari articoli che parlano
degli "obiettivi sociali della produzione", del diritto dello Stato ad
intervenire nell'economia ed espropriare settori considerati "strategici" e
della creazione di "imprese socialiste". Sicuramente,
questa parte del testo accrescerà l'entusiasmo di coloro che appoggiano il
governo di Chávez, considerandolo un passo avanti nella "marcia verso il
socialismo". Tuttavia, se lo confrontiamo con la realtà, vediamo che
quest'entusiasmo non ha nessuna giustificazione. In
primo luogo, lo stesso Chávez ha dichiarato che ogni impresa produttiva
nazionale o straniera avrà posto nel "socialismo del XXI secolo". Suona molto
somigliante ad un capitalismo con qualche grado d'intervento statale. Cosa che
è stata evidenziata in questi anni di governo, nei quali la borghesia nazionale
e straniera continua a fare grandi affari nei settori petrolifero,
automobilistico, bancario, ecc., mentre le dure condizioni di vita dei
lavoratori e del popolo non cambiano. Ma
se c'è una cosa che dimostra il carattere di "pubblicità socialista
ingannevole" di questi articoli è il caso della Sanitari Maracay, un'importante
impresa dell'omonima città (capitale dello Stato Aragua), fondata 47 anni
orsono.
Stanchi
di sopportare i permanenti abusi del suo proprietario, Álvaro Pocaterra (un
uomo molto legato ai vecchi politici di Azione Democratica e sostenitore del
golpe del 2002), gli 800 lavoratori hanno realizzato, negli ultimi anni, varie
lotte per il pagamento dei salari e la realizzazione delle clausole del
contratto collettivo. A
fronte di ciò, il padronato ha posto in essere la solita vecchia manovra per
sconfiggere i lavoratori: nel 2006,
ha abbandonato l'impresa annunciandone la chiusura. I
lavoratori hanno occupato la fabbrica, decidendo di assumerne il controllo e
mantenere la produzione. Da allora, reclamano che il governo realizzi quanto
indicato anni fa dallo stesso Chávez ("impresa
chiusa dai padroni, impresa aperta dal governo"). Per questo, chiedono che
il governo la espropri e la nazionalizzi perché continui a funzionare sotto
controllo operaio. Tuttavia,
lungi dal realizzare quella promessa, anticipando così il presunto spirito
"socialista" della nuova costituzione, il governo ha fatto tutto il possibile
per porre fine alla lotta di questi lavoratori ed affinché la fabbrica torni
nelle mani dei suoi vecchi proprietari. I
rappresentanti del ministero del Lavoro dissero loro che "la cosa migliore da fare è accettare la vendita dell'impresa ed
incassare le liquidazioni". Al tempo stesso, come denuncia Orlando Chirino
nella menzionata inchiesta, il governo nazionale ha bisogno di prodotti
sanitari per le 18.000 abitazioni del Programma Petrocasa. Ma ha optato per
appaltarli ad altre imprese, molte delle quali di proprietà di impresari
golpisti del 2002, invece di comprare la produzione sotto controllo operaio
della Sanitari Maracay, che oltretutto sono di ottima fattura e molto
economici. Come
se tutto ciò non bastasse, i lavoratori hanno anche subito la repressione
governativa. Stanchi per la mancanza di risposte alle loro rivendicazioni,
hanno deciso di marciare sugli autobus alla volta di Caracas, il 24 aprile
scorso. Ma sono stati duramente repressi nel percorso dalla polizia del
governatore di Aragua, Didalco Bolívar, e da battaglioni della Guardia
nazionale. Ne è scaturito, nel maggio scorso, un combattivo sciopero regionale
di questo Stato, in solidarietà con i lavoratori e la rivendicazione delle
dimissioni del governatore. Per
questo, non dobbiamo confonderci. Il governo di Chávez, e gli interessi della
"borghesia bolivariana", possono portare a nazionalizzare imprese come la Cantv e la Elettricità di Caracas,
comprando i loro pacchetti azionari. Ciò che mai farà è sostenere un processo
di espropriazione generalizzata della borghesia nazionale e delle proprietà
dell'imperialismo nel paese, né sviluppare il controllo dei lavoratori nelle
imprese nazionalizzate. Circostanza
che viene chiaramente dimostrata da come funzionano oggi queste imprese statali
o nazionalizzate, come Pdvsa o Cantv, dirette dalla "borghesia bolivariana",
senza nessuna possibilità per i lavoratori di controllarne il funzionamento.
Ancor meno il governo chavista intende sostenere la mobilitazione generalizzata
della classe operaia e del popolo per far avanzare questo processo. Perciò,
quando fa la sua comparsa un genuino esempio di controllo operaio e di
mobilitazione per l'espropriazione di un'impresa, come quello della Sanitari
Maracay, invece di appoggiarlo e mostrarlo come un esempio da seguire, il
governo di Chávez lo attacca e lo reprime. I
suoi discorsi ed il testo del progetto della nuova costituzione possono essere
imbellettati di riferimenti al "socialismo". Però, sfrondandola da questa
retorica, la sua politica reale non ha niente a che vedere con gli interessi e
le necessità dei lavoratori, ma - questo sì - molto a che vedere con quelli dei
borghesi come Álvaro Pocaterra.
(Traduzione
di Valerio Torre)
[1] La massima espressione di questa borghesia bolivariana è Disonado
Cabello, governatore dello Stato Miranda e capo del Comando nazionale del Mvr
(l'organizzazione politica del chavismo prima del Psuv). In un'inchiesta
giornalistica, ripresa l'anno scorso da vari periodici, il vecchio combattente
venezuelano Domingo Alberto Rangel denuncia che Cabello "ha acquistato, attraverso prestanomi, l'industria di inscatolamento di
Eveba nel Cumanà, le imprese industriali che erano appartenute ai gruppi Sosa
Rodríguez e Montana, oggi dissolti, tre banche commerciali, varie imprese di
assicurazioni (...) questa è la verità".
[2] Questa caratterizzazione fu utilizzata
da Lev Trotsky per definire il governo di Lázaro Cárdenas ed il sistema di
potere in Messico, nel decennio del 1930.
[3] Queste organizzazioni sono il Mvr
(Movimiento Quinta República, il chavismo propriamente detto); Ppt (Patria Para
Todos, rottura di Causa R); Podemos (rottura del Mas); la Upv di Lina Ron (una specie di
dirigente piquetera venezuelana); il Pcv e, persino, il Prs.
[4] Centrale dei Lavoratori Venezuelani.
Storica centrale sindacale del paese, fondata nel decennio del 1930. La sua
direzione è sempre stata molto legata al partito borghese Azione Democratica
(Ad). Dopo il suo appoggio al golpe del 2002 ed al boicottaggio economico degli
imprenditori al governo Chávez, si è spaccata e numerose organizzazioni,
correnti e dirigenti l'hanno abbandonata per fondare, poco dopo, la Unt.
[5] Corrente classista rivoluzionaria
unitaria autonoma, situata alla sinistra all'interno dell'Unt. Un settore di
questa corrente, diretta da Osvaldo Chirino, ha rifiutato di entrare nel Psuv;
mentre un altro, diretto da Stalin Pérez Borges, lo ha fatto.
Il 2 e il 3 giugno
scorsi, a Lisbona, si è tenuta il V congresso del Blocco di Sinistra (Bs), che
rappresenta, in Portogallo, i cosiddetti partiti anticapitalisti. A questo congresso
sono state presentate 4 mozioni di diverso orientamento. Nel mentre tutto il
dibattito politico si è concentrato prima e durante il congresso sulla
discussione tra i diversi progetti politici proposti dalla mozione A, che
rappresenta la direzione del Bs, e dalla mozione C, composta da elementi di
Ruptura/Fer (sezione portoghese della Lit) e un settore di indipendenti di
varie regioni del paese e legati al mondo sindacale. La mozione/lista A ha
ottenuto 404 voti (77,5%) e 62 eletti alla Tavola Nazionale, la mozione/lista C
ha ottenuto 78 voti (15%) e 12 eletti, le liste B e D hanno rispettivamente
eletto 4 (5%) e 2 (2,5%) rappresentanti in questo organismo dirigente del Bs. In una situazione
nazionale caratterizzata dai profondi attacchi del governo neoliberale del ‘'socialista''
Josè Socrates e da varie mobilitazioni di massa, che da settembre 2006
protestano contro le politiche governative che attaccano i lavoratori e
favoriscono il grande capitale, il grande dibattito durante il periodo del
congresso si è sviluppato attorno alla politica nazionale e alla conseguente
necessità di come fare l'opposizione al governo. In questo senso la stessa
mozione A ha scelto come titolo: "La sinistra socialista in alternativa al
governo Socrates", anche se, comunque, il suo contenuto non rappresentava una
risposta conseguente e di lotta per la costruzione di questa propaganda
alternativa. Di fatto i
sostenitori della mozione A, durante tutto il periodo delle lotte (con
manifestazioni di più di 100.000 persone) nel periodo che precedette il
congresso non hanno mai appoggiato la necessità di un appello allo sciopero
generale nel paese. La direzione del Bs ha appoggiato la proposta di sciopero
generale solo quando è stato convocato dalla Cgtp, ormai finito il culmine
delle lotte contro il governo e dopo che erano state applicate le principali
leggi.. Già da vari mesi la mozione C parlava della necessità dello sciopero
generale, appellandosi alla necessità di unificazione delle lotte per
combattere il governo Socrates. Queste differenze sul tema dello sciopero
generale, che sono in realtà differenze su come affrontare il governo, hanno
avuto eco anche nelle proposte di alleanza formulate dalle 2 mozioni. La mozione C ha
presentato la proposta di un appello generale al Pcp, alla Cgtp, ai socialisti
che si oppongono alle politiche del governo, e a tutti gli indipendenti in
lotta, per concretizzare un'unità d'azione con lo scopo di lottare contro il
governo, sconfiggere le sue politiche di attacco ai lavoratori e accorciargli
la vita. La mozione A ha
chiarito che la sua priorità sono le alleanze coi settori di sinistra del Ps,
in una strategia non centrata nelle lotte, ma nel parlamento, in una
prospettiva di progressivo logoramento del governo, che si dovrebbe tradurre,
alle prossime elezioni, in un miglior risultato per il Bs.
Nell'ambito internazionale uno dei
temi più controversi è stata la presenza del Bs nel Partito della Sinistra
Europea (Pse), presieduto da Fausto Bertinotti di Rifondazione Comunista, che è
al governo in Italia. La mozione C ha difeso l'impossibilità della presenza del
Bs nello stesso partito europeo di Rifondazione Comunista, partito che nel
governo italiano applica le politiche di guerra e privatizzazione che il Bs
combatte in Portogallo, nello stesso momento in cui la mozione A sottolineava
la necessità di alleanze internazionali ed europee che non mettessero in
discussione i "posizionamenti tattici" degli altri partiti del Pse. Anche il
Libano è stato argomento di discussione, nella misura in cui la mozione C
difendeva una grossa campagna per il ritiro delle truppe portoghesi da tutti
gli scenari di guerra e la mozione A non faceva nemmeno riferimento al Libano,
per il fatto che nella Mozione A c'è un settore, rappresentato dal deputato
europeo Miguel Portas (Política XXI), che è favorevole all'invio di truppe in
questo paese. Infine sono state
discusse anche le differenti alternative per la costruzione del Bs, con la
mozione C favorevole a un maggior inserimento del Bs nel mondo del lavoro,
attraverso la costruzione di alternative sindacali ampie, più democratiche,
combattive e di classe dentro gli organismi di rappresentanza dei lavoratori, e
la costruzione di nuclei del Bs nelle aziende, nelle scuole, per dinamizzare
maggiormente questo lavoro. Dal canto suo la mozione A ha continuato a
scommettere nella difesa del lavoro "in rete" nel movimenti sociali, il che
significa il mantenimento dell'attuale struttura di funzionamento del Bs, dove
i nuclei sono quasi esclusivamente regionali e senza intervento nelle realtà di
lotta del paese, e in cui ogni militante è lasciato al suo destino - senza
attuazione della politica e senza appoggio - pregiudicando così la possibilità
di costruire delle alternative di base e combattive nei movimenti sociali. Di qui l'importanza
anche dell'altra discussione sul progetto di partito per il Bs, con la politica
della mozione A a rafforzare un Bs sempre più istituzionalizzato, sempre più rivolto
verso il parlamento e più lontano dalle lotte sociali, con minore spazio per la
base e per la discussione, e perciò con meno militanti. La mozione C, al
contrario, ha difeso la necessità di un maggior intervento nelle lotte sociali,
maggior organizzazione interna con spazio per la base e per la discussione. Il
risultato raggiunto dalla mozione C, come unica vera direzione di sinistra per
un Bs che percorre un cammino di sempre maggior adattamento al sistema, non
deriva solo dall'accordo coi due assi politici che aveva fissato come
programma, ma anche dal fatto importante di essere il prodotto di una convergenza
della corrente morenista in Portogallo con un altro settore indipendente
all'interno del Bs, e che si è espressa, oltre che nelle votazioni,
nell'elezione di 76 delegati in 17 città del paese. Ora la sfida
consiste nella trasformazione della mozione C e, conseguentemente, della
convergenza di cui essa è stata il prodotto, nella costruzione (già in corso)
di un'alternativa costante per la sinistra nel Bs, che inizia a concretizzarsi
nella formazione di una tendenza nel Bs.
Regione Campania Emergenza rifiuti: la
storia infinita Giuseppe Guarnaccia
L'emergenza rifiuti in Campania continua, ma sotto
traccia, dopo le grandi manifestazioni di protesta dei mesi scorsi. Achille
Pansa - prefetto di Napoli - guida l'organo commissariale dopo la parentesi
Bertolaso. La decisione è stata presa a Palazzo Chigi, direttamente dalla
Presidenza del Consiglio dei ministri. Il prefetto, in qualità di nuovo
commissario straordinario, sarà in carica fino alla fine dell'emergenza che il
governo prevede durerà almeno un anno, fino cioè al ritorno ad una situazione
di normalità. Pansa, che aveva già cominciato ad occuparsi del problema rifiuti
a Napoli negli ultimi giorni, mentre si accavallavano le contestazioni a
Bertolaso e la situazione si faceva di nuovo incandescente, sarà affiancato da
una task force di tecnici, come aveva già annunciato il governatore della
Campania Antonio Bassolino.
Nella sostanza, la successione alla guida del
commissariato speciale è atto dovuto in un certo senso, e la nomina di Pansa è
in linea con il disegno del Governo Prodi, cioè, costruire discariche a cielo
aperto a poche centinaia di metri da parchi naturali e centri abitati.
Dunque, dopo appena sessanta giorni Bertolaso ha
dovuto dimettersi e incassare la sconfitta. Prodi aveva dato fiducia e poteri
straordinari al capo della Protezione Civile. Da questa vicenda ne esce
sconfitto non solo Bertolaso, ma soprattutto il governo Prodi, incapace di far
fronte alla emergenza rifiuti e in grado solo di inviare a Serre, nel
salernitano, esercito e polizia per sgomberare un sito, quello di Valle della
Masseria, presidiato dalla popolazione locale a difesa di un parco naturale,
ubicato a poche centinaia di metri dal sito di stoccaggio.
L'individuazione dei nuovi siti
Con la conversione in legge del decreto emanato dal
governo, sono stati individuati i nuovi siti dove aprire le discariche per lo
smaltimento dei rifiuti. Ospiteranno i rifiuti campani: Serre, Terzigno,
Savignano Irpino e Sant'Arcangelo Trimonte. Sostanzialmente la situazione non
cambia, i nuovi siti tra cui Serre e Terzigno, sono molto vicini ai parchi
naturali presenti sul territorio, e il rischio di una devastazione ambientale è
molto elevato. I prefetti, è scritto nel decreto, potranno assumere "ogni
necessaria determinazione per assicurare piena effettività agli interventi e
alle iniziative previsti dal decreto e attuati dal Commissario delegato".
Ciò significa che il governo non esiterà ad inviare la polizia sui siti di
stoccaggio in presenza di prevedibili proteste delle popolazioni locali, e non
esiterà a far caricare - come d'altronde già avvenuto a Serre e Terzigno - i
cittadini e i comitati civici sorti a difesa dell'ambiente e della salute
pubblica.
Prospettive future
Nei fatti, la protesta continua e deve svilupparsi
anche al di fuori dei comitati civici e dei cittadini, deve coinvolgere i
lavoratori, gli studenti, i pensionati e i precari, perché solo attraverso
l'unificazione delle lotte e dei lavoratori è possibile sconfiggere i signori
del profitto che intendono devastare il territorio campano con l'apertura di
discariche attigue a parchi naturali, condannando il territorio e le
popolazioni a subire i gravissimi danni prodotti. Il PdAC sostiene e partecipa
alle lotte dei cittadini e dei comitati civici per la difesa della salute e del
territorio, consapevole che solo un programma dichiaratamente anticapitalista
potrà risolvere la questione ambientale, economica,politica e sociale. Solo un
governo dei lavoratori e per i lavoratori potrà sviluppare e risolvere
coerentemente e compatibilmente con l'ambiente la questione dei rifiuti.
Sgomberato l'ennesimo campo Rom a
Milano nel quartiere di Via San Dionigi. In questo posto dimoravano circa 200
rom assistiti da alcune associazioni laiche milanesi. Già qualche settimana prima
dello sgombero, i democratici di sinistra avevano guidato una fiaccolata di
protesta contro i campi nomadi di Chiaravalle, facendo a gara in razzismo con
Lega Nord ed An. Il quadro politico milanese è quello della competizione, a
"destra", tra esponenti del nuovo Partito democratico, guidati dal Presidente
della Provincia, Filippo Penati (governo provinciale con il Prc) e la destra
fascista e leghista, sull'altare della cosiddetta "legalità", quella borghese e
più reazionaria, contro i diritti democratici degli immigrati presenti nella
metropoli milanese.
Bologna
Lo sceriffo Cofferati ancora
all'attacco. Dopo aver ingaggiato una feroce lotta contro dipendenti comunali,
immigrati e lavavetri, adesso è la volta dei graffitari. Lo sceriffo felsineo,
che vorrebbe che fossero assegnati a sindaci e polizia municipale anche poteri
di polizia giudiziaria per un'azione di repressione più "efficiente", ha
scatenato la caccia ai graffitari, mettendo in pratica le dichiarazioni del
presidente del consiglio, Prodi, che chiedeva tolleranza zero anche per loro.
La risposta dei writers bolognesi è stato il disegno del faccione del sindaco "sceriffo"
sulle mura della città.
Libano
Un rapporto di Human rights watch sulla guerra in
Libano accusa pesantemente Israele di aver causato, con bombardamenti
indiscriminati, la morte di migliaia e migliaia di civili. Non è certamente una
notizia nuova ed è evidente anche il ruolo di appoggio delle forze
imperialiste, con elmetto blu, al criminale governo israeliano. E' un ulteriore
ottimo motivo per chiedere il ritiro delle truppe italiane dal Libano come da
tutti gli scenari di guerra.
Chieti
Altro incidente alla Sevel Val di
Sangro con l'ennesima esplosione di un cavo che, per fortuna, non ha arrecato
danni agli operai dell'azienda, ma ha riproposto il tema della sicurezza sul
lavoro che molti sindacalisti compiacenti hanno derubricato dall'agenda delle
rivendicazioni, rinunciando di fatto alla conflittualità contro il padronato.
Qualche mese fa un'operaia era stata gravemente ustionata dall'esplosione di
una cavo simile. Lo Slai Cobas aziendale ha indetto uno sciopero di protesta.
Genova
Nuovi premi ai macellai del G8
genovese. Questa volta un'onorificenza, per il suo "tributo" dato sul campo di
battaglia contro il movimento, è stata assegnata al dottor Toccafondi, con il
reintegro in servizio. Il suo nome può non dir niente ai più, però è
sicuramente ricordato dai militanti no global che sono stati "affidati" alle
sue "cure". È un imputato al processo di Genova per le torture ai manifestanti,
dei quali, invece, avrebbe dovuto occuparsi per visitarli e curarli o farli
trasferire in ospedale. Invece, pare proprio che il buon dottor Toccafondi
abbia partecipato alla mattanza, offrendo la sua gentile "collaborazione",
nell'elargire violenze a buon mercato. Adesso, quindi, il dottore che a
Bolzaneto non indossava un camice, ma una maglietta con la scritta "polizia
penitenziaria" e pantaloni mimetici, è stato reintegrato in servizio dal
Ministero della difesa, nonostante un'accusa ancora in piedi di violenza
perpetrata ai manifestanti.
Torino
Mobilitazione per chiedere la
verità sulla morte di Aber, immigrato morto ai murazzi del Po il 30 agosto,
durante un controllo della Guardia di Finanza, per essere finito in acqua ed
annegato. Pare proprio che non sia caduto casualmente...
Roma
Il Comitato di lotta popolare per
il diritto alla casa di Roma ci informa che è in atto una "gara" di solidarietà
militante, attraverso cene sociali e feste autorganizzate, per recuperare fondi
a sostegno delle famiglie sgomberate dalla ex Zecca all'Alberone dalla
sbirraglia del sindaco "democratico" Veltroni.
Modena
Successo di adesioni allo
sciopero di otto ore e per tre giorni non continuativi alla New Holland di
Modena proclamato dalle Rsu dello Slai Cobas contro l'introduzione di ulteriori
sabati straordinari che impedisce nuove assunzioni, aumentando notevolmente il
profitto della multinazionale. C'è da dire che l'accordo è stato firmato dalle Rsu
dei sindacati confederali e ha visto una forte opposizione
operaia in fabbrica.
Una lettera di Roberto Massari a Progetto Comunista
Cari compagni della redazione
di Progetto Comunista, ho letto con interesse e con piacere
l'articolo di Francesco Ricci - "Il Che: un rivoluzionario incorruttibile" -
pubblicato sul n. scorso del vostro giornale. L'interesse è determinato dal
fatto che non si finisce mai d'imparare nel vedere come le varie correnti
politiche possono guardare alla figura del Che, indicando pregi ed errori ai
quali magari non si era mai pensato per semplice pigrizia mentale o anche
perché il passare del tempo, più che sclerotizzare, cementifica le certezze in
chi determinati interrogativi se li è posti magari quando il Che era ancora in
vita (nel mio caso dal 1966) o subito dopo la sua morte, vale a dire quando
iniziò la grande opera di rimozione. Devo anzi dirvi che, avendo ricevuto un
bellissimo testo da uno studioso libertario - "Riflessioni di un comunista
anarchico su Ernesto Guevara", di Pier Francesco Zarcone - ho deciso non solo
di pubblicare questo breve saggio sul prossimo numero (7) di Che Guevara.
Quaderni della Fondazione, ma anche di sollecitare analoghi contributi da
altre correnti politiche, anche se possono aver nutrito verso Guevara critiche
severe o vera e propria ostilità. Quest'ultimo non è il caso
vostro, e sarò comunque ben lieto di riprodurre il vostro articolo sul prossimo
Quaderno, nella sezione Interventi. Il piacere, invece, deriva dal fatto che l'articolo di Ricci
denota grande rispetto e stima verso la figura di Guevara, già a partire dal
titolo: "Il Che: un rivoluzionario incorruttibile" - che ammetterete, con i
tempi che corrono, non è cosa da poco. Vi sono poi i tre punti in cui si
rimarcano le "somiglianze" tra il pensiero politico di Guevara e il marxismo
rivoluzionario, tra le quali - accanto al riconoscimento del suo
antielettoralismo e del suo organico internazionalismo - spicca il
riconoscimento della coincidenza della sua prospettiva politica con i princìpi
della rivoluzione permanente. È un'ammissione importante, anzi importantissima,
non solo rispetto alla teoria tappista dei Pc latinoamericani (e del resto del
mondo) come fate notare voi stessi, ma anche rispetto a tutte quelle tendenze
pseudoleniniste dogmatiche o trotskoidi di varia deformazione che, a tutt'oggi,
la teoria della rivoluzione permanente nella sua sostanza dialettica e nella
sua attualissima applicabilità, non l'hanno capita né in teoria né
istintivamente nella pratica o non l'hanno voluta capire. C'è infine un quarto punto di
somiglianza che è sparso nel testo e affiora qua e là (e che considero oggi
politicamente cruciale visto che in Italia una ben precisa corrente di "filocubani"
nostalgici dello stalinismo - Pdci, ex Ernesto e Rete dei comunisti - sta
cercando di camuffare questo aspetto del pensiero del Che, con grande impegno
ma anche con grande disonestà intellettuale): è la critica di Guevara ai paesi
presunti "socialisti" che egli, alla fine della sua troppo breve vita,
considerava avviati verso il capitalismo e di fatto già "complici
dell'imperialismo". È vero, non era ancora la comprensione storicamente fondata
della dinamica dello stalinismo, ma anche voi riconoscete che dalle passate
simpatie staliniste il Che si era nettamente differenziato e che, attraverso lo
studio di Trotsky, si stava avvicinando a posizioni di rigetto della burocrazia
in quanto casta controrivoluzionaria. Il "si stava avvicinando" non significa
che ci fosse arrivato, ma indica pur sempre una linea di tendenza nel suo
orientamento politico. Un orientamento che, nella Dichiarazione programmatica
della Fmr (testo fondamentale della nostra tendenza internazionale, scritto nel
1975, ma poi discusso ed emendato fino alla sua definitiva pubblicazione su La
Classe e su altre riviste all'estero), definii/definimmo come "centrismo di
sinistra" (apparve su La Classe n. 31-32/1980, ma tra breve lo potrete
leggere nel quarto volume dei miei scritti inediti, attualmente in stampa): "All'interno della direzione
fidelista è infatti esistita anche una tale tendenza centrista di sinistra,
in via di organizzazione e popolarissima tra le masse, che aveva tratto alcuni
primi importanti insegnamenti dal processo di rivoluzione permanente in America
latina e dall'esperienza economica degli Stati operai burocratizzati; disposta
a sacrificare in parte gli interessi nazionali di Cuba per quelli
internazionali del movimento operaio; di formazione culturale antiburocratica e
antistalinista; incapace di offrire alternative reali, ma conquistabile
concretamente da parte di un'organizzazione internazionale rivoluzionaria che
invece di adattarsi alle sue debolezze, le avesse combattute fraternamente. Per
le masse lavoratrici latinoamericane e di buona parte del resto del mondo non
vi sono stati dubbi sul fatto che il massimo esponente di questa corrente soggettivamente
rivoluzionaria è stato Ernesto Che Guevara, insieme ai suoi compagni morti
combattendo per una concezione errata di rivoluzione socialista e
internazionalistica. Dal 1968 tale corrente non esiste più ed è scomparsa (in vari
e in parte oscuri modi) dalla scena politica cubana". Penso che più chiari non si
potrebbe essere. Qualcosa di analogo e più sbrigativo, del resto, lo avevo
scritto - sempre in La Classe - nell'articolo di commemorazione per il
decennale della morte (ottobre 1977). E ciò ci porta alla critica
fraterna nei miei confronti che compare nell'articolo, là dove Ricci mi colloca
tra coloro che "vedono nel guevarismo uno sviluppo del marxismo (è il caso dei
testi - comunque utili - di Roberto Massari)". E poiché in un'apposita finestra
bibliografica si cita con stima la mia principale opera sull'argomento (Che
Guevara. Pensiero e politica dell'utopia, 1987/1994), viene il dubbio che
tale opera sia stata fraintesa in una parte specifica che tra breve citerò. Premetto che per me non è mai questione della singola frase
o citazione per dimostrare un orientamento di pensiero. Proprio per questo me
la sento di poter dire che in tutto il volume non si fa altro che dimostrare
che il Che passò la sua vita a riscoprire Marx (compreso il giovane Marx), che
non lesse affatto la letteratura del "comunismo di sinistra" europeo, che si
avvicinava a Trotsky, ma non ci arrivò a farlo suo (per morte in combattimento
e non per morte in vecchiaia), che era un autentico autodidatta anche se su di
lui ebbero un'enorme influenza culturale due donne: la madre, per tutta la
vita, e la prima moglie Hilda Gadea. E a un punto importante del libro (p.
144), dopo aver riassunto più o meno le cose qui ricordate, dopo aver detto che
ci rimane la curiosità di sapere cosa sarebbe venuto fuori da un confronto del
marxismo guevariano col freudismo, coi dati della moderna antropologia, con i
nuovi sviluppi scientifici del pensiero umano, si afferma chiaramente l'idea
che ho sempre avuto in testa e che credo di aver esposto in tutte le mie opere
sul Che: "È difficile stabilire che cosa
sarebbe potuto nascere da simili esperienze culturali, col passare degli anni e
mentre si dipanava una serie di processi storici contemporanei, sui quali
l'attenzione di Guevara era fortemente concentrata . Possiamo invece affermare
con relativa certezza che da quella eventuale riflessione difficilmente
sarebbero potuti scaturire dei contributi guevariani significativi per un
arricchimento della strumentazione più propriamente metodologica conoscitiva
del marxismo. La sua non era una mente speculativa, nel senso di una
naturale predisposizione all'indagine dei fondamenti gnoseologici di una
determinata teoria. Né s'era ancora mai sviluppata in lui la capacità di
elaborazione ‘minuziosa', mattone su mattone, delle strutture del discorso
teorico, fino ad arrivare alla costruzione di un universo di discorso, vale a
dire di quell'edificio sistematico della ‘grande generalizzazione', cui si può
poi anche dare il nome di ‘nuova acquisizione teorica'". Spero che il chiarimento sia utile a tutti e che sulla base
di ciò che ci accomuna (ben più importante di ciò che ci divide) nella
valutazione positiva dell'opera del Che si possa realizzare nel futuro una
collaborazione concreta su tale tema. Vi parlo come presidente della Fondazione
Guevara, ma anche come esponente di Utopia rossa.
Hasta la victoria,
Roberto Massari
Caro Roberto, registriamo volentieri le tue precisazioni
e siamo disponibili a organizzare, magari anche nelle prossime settimane, nei
giorni dell'anniversario della morte del Che, iniziative comuni di dibattito.
Specie perché, di là dallo spessore delle differenze politiche e teoriche tra
noi, riteniamo che i tuoi testi su Guevara, a partire dalla biografia, siano un
punto di riferimento di grande importanza per chi è interessato a una lettura
marxista di Guevara. Così pure, le differenze che ci sono tra il nostro
partito e Utopia Rossa su questioni tattiche e strategiche non ci ha impedito
di valorizzare, come sai, anche negli scorsi mesi nel dibattito del movimento no
war, i punti di contatto e, quando possibile, di collaborazione.
Il bel film di Huerga su un militante anti-franchista
Francesco Ricci
A fine aprile, con una distribuzione limitata a pochissime
sale (tutte occupate da film di quart'ordine), è uscito anche in Italia Salvador
- 26 anni contro. E' il film che Manuel Huerga e lo sceneggiatore Lluis
Arcarazo (basandosi su un libro di Escribano) hanno dedicato alla storia vera
di Salvador Puig Antich, militante anarchico catalano, morto a 26 anni, vittima
del regime franchista.
In una prima parte, il film racconta con un piglio
scanzonato, che ricorda il Butch Cassidy di George Roy Hill (1969), le
rapine di autofinanziamento che Salvador (studente, figlio di operai) compie
insieme ai suoi compagni del Mil (Movimento Iberico de Liberacion), durante gli
ultimi anni della dittatura di Franco. I proventi degli "espropri"
vengono usati per finanziare la propaganda, stampare libri anarchici (Berneri)
e sostenere lotte operaie. Si tratta di spettacolari azioni fatte a volto
scoperto, in modo un po' goffo e un po' incosciente (le pistole che si
inceppano, piccoli imprevisti comici), che il regista narra con tecnica
eccellente, aiutato da un montaggio efficace, accompagnato da una colonna
sonora che rispolvera vecchi pezzi dell'epoca, Suzanne di Leonard Cohen,
il Bob Dylan di Pat Garrett e Billy The Kid (altro film citato a piene
mani nella prima ora), i Jethro Tull (Locomotive Breath). E' un inno
alla gioventù che infrange la cappa di ipocrisia del regime, rifiuta di chinare
la testa e contrappone all'idea della sottomissione individualistica la lotta,
la ribellione e la solidarietà (rapide e realistiche scene, quasi delle
pennellate, dipingono le amicizie che Salvador stringe nella militanza e i suoi
amori interrotti).
La seconda parte vira in tragedia, la telecamera si fa più
lenta, le inquadrature si restringono, le immagini sono immerse nella musica di
Starless di King Crimson, Demis Roussos (We shall dance) e dalla
colonna sonora originale di Lluis Llach, cantautore catalano impegnato (che aggiorna
la sua I si canto trist, scritta all'epoca dei fatti, e compone nuovi
bellissimi pezzi). Salvador è stato arrestato. Nelle concitate scene
precedenti, durante la cattura, si è difeso da un tentativo della polizia
politica di ucciderlo in un androne e, nello scontro a fuoco, è ferito un
poliziotto - in realtà ucciso dal "fuoco amico" dei suoi compari
anche se il fatto è addebitato a Salvador che viene condannato a morte.
In tutta Europa si svilupperà una campagna per salvargli la
vita, senza esito. Il franchismo vuole una condanna che terrorizzi ogni
opposizione; inoltre proprio in quelle settimane (dicembre del 1973), il capo
del governo franchista, Carrero Blanco, salta in aria in uno spettacolare
attentato dell'Eta (episodio a cui Pontecorvo ha dedicato il bel film Ogro),
e le speranze (comunque già esigue) di una grazia sfumano definitivamente.
Senza nessuna retorica, Huerga racconta allora gli ultimi
giorni di Salvador in carcere, in attesa che un boia arrivi con la garrota: un
cerchio di ferro che, fissato a un palo, viene stretto con una vite attorno al
collo fino a provocare, lentamente, il soffocamento. La carica umana e la
coraggiosa intelligenza del giovane (impersonato da un Daniel Bruhl in stato di
grazia, già visto all'opera in Goodbye Lenin) lo aiuteranno a farsi
amico anche un secondino che all'inizio incarnava perfettamente tutti i
pregiudizi di un proletario che ha tradito la sua classe, un servo del potere
che poi, grazie alle conversazioni con Salvador e alle letture che gli
suggerisce il suo prigioniero, diventa anti-franchista. L'episodio (peraltro
vero) non vuole essere una assoluzione del regime e dei suoi sgherri (gli altri
poliziotti assistono ridendo alla terribile esecuzione).
Alcuni reduci del Mil (il gruppo di Puig Antich) e gli anarchici
spagnoli e italiani hanno contestato il film, lamentando che la loro
organizzazione ne uscirebbe sminuita: in realtà ne esce probabilmente ritratta
come dotata di una progettualità confusa, appunto anarchica. Hanno poi
sostenuto che il film vorrebbe indurre a credere che ogni lotta è perdente. In
questa rozza critica (che sa di zdanovismo) sfugge il fatto che in campo
artistico spesso la intentio operis (l'intenzione dell'opera) prevale
sull' intentio auctoris (l'intenzione dell'autore), constatazione banale
che non richiede approfonditi studi semiotici e che ben sa chiunque abbia avuto
il piacere di leggere, ad esempio, il reazionario Balzac. Il regista in effetti
non è interessato particolarmente alle idee politiche di Salvador e le lascia sulla
superficie della sua pellicola. Ciò non toglie che il film - che suggeriamo di
vedere, magari quando uscirà in dvd - risulta un vitalissimo inno alla lotta
contro il conformismo della società capitalistica. Il finale, carico di
energia, mostra la rabbia dei giovani che per protesta contro l'uccisione di
Salvador (avvenuta nel marzo 1974) tornano nelle piazze e sfidano la brutalità
della repressione e delle cariche a cavallo della polizia. Si esce dal cinema
con gli occhi lucidi, pieni di una incantevole fotografia, e con i pugni
stretti.
Un passo in
avanti nella ricostruzione della IV Internazionale
Ruggero Mantovani
Un seminario di formazione
teorica, internazionale e giovane
"Senza teoria rivoluzionaria non
vi può essere movimento rivoluzionario", così scriveva Lenin nel Che fare?,
riferendosi anzitutto alla necessità della formazione teorica e politica dei
militanti e dei quadri impegnati sul terreno della costruzione del partito
rivoluzionario e della lotta di classe. Un momento significativo in
questa direzione è stato il seminario della Lit (Lega Internazionale dei
lavoratori-Quarta Internazionale) organizzato dal PdAC, sezione italiana della
Lit, che si è tenuto ad Otranto dal 25 al 30 luglio del 2007. Un seminario
caratterizzato non solo dalle lezioni tenute dai relatori, dal ricco dibattito
e dagli approfondimenti storici e teorici degli oltre 120 militanti (di cui una
cospicua parte è arrivata da Spagna, Portogallo, Francia, Belgio, e da Russia, Turchia,
Marocco, Nuova Caledonia), ma anche da momenti di allegria e festa, agevolati
dal magnifico contesto ambientale offerto dal territorio di Otranto. Un seminario di formazione
teorica, internazionale e giovane che ha confermato l'esistenza di una nuova
generazione di rivoluzionari. Un seminario che ci indica la necessità di
accrescere e potenziare una scuola di educazione politica il cui portato
essenziale non può essere il riflesso di un esercizio di acculturazione
libresca sui temi del marxismo rivoluzionario, ma la formazione di quadri e di
militanti che si pongono sul terreno della costruzione del partito mondiale
della classe operaia.
"Ripartire dall'ottobre per
sconvolgere ancora il mondo!"
La prima relazione dal titolo
"Dalla rivoluzione di febbraio all'ottobre 1917: tutto il potere ai Soviet",
tenuta dal compagno Antonino Marceca, partendo da una minuziosa ricostruzione
dei principali avvenimenti storici della vicenda Russa (dalla formazione del
movimento operaio all'evoluzione della borghesia liberale, alla rivoluzione del
1905), ha dettagliatamente approfondito la rivoluzione Russa del 1917. Il
relatore ha messo in evidenza come la rivoluzione di febbraio, malgrado
egemonizzata dalla classe operaia, abbia visto la borghesia impossessarsi del
potere politico grazie alla politica di collaborazione di classe espressa dal
menscevismo e all'inefficacia del partito bolscevico, all'epoca minoritario e
confuso. Solo con le Tesi di Aprile di Lenin, il partito bolscevico
ricondurrà la sua politica alla conquista della maggioranza dei lavoratori
espressi nei soviet, imprimendo nella storia universale dell'umanità un
avvenimento mai accaduto precedentemente: tutto il potere alla classe operaia e
ai contadini. La seconda relazione dal titolo
"Dalle Tesi di aprile allo
scioglimento dell'assemblea costituente. Il programma transitorio del
bolscevismo", tenuta dalla compagna Fabiana Stefanoni, ha mostrato come la
concezione del programma transitorio, lungi dall'essere una pura enunciazione
di desideri, ha rappresentato un metodo e una guida per l'azione
nell'esperienza pratica del movimento operaio, assolvendo un ruolo fondamentale
in alcune esperienze storiche del movimento comunista internazionale. La
relatrice ha in particolare affrontato il contenuto transitorio espresso con le
Tesi di Aprileda Lenin
nel 1917, con cui il rivoluzionario russo ha indicato alla classe operaia e
contadina la necessità di rompere ogni collaborazione di classe con la
borghesia e al contempo, nel vivo della rivoluzione, ha dimostrato alle masse
che la soluzione delle conquiste parziali (pace, lavoro e pane) sarebbe stata
possibile solo con la presa del potere da parte dei soviet e con lo
scioglimento dell'assemblea costituente. La terza relazione dal titolo "La
formazione del partito bolscevico e l'influenza della rivoluzione russa sul
movimento operaio italiano e sulla formazione del Pcd'I", tenuta dal compagno
Ruggero Mantovani, ha ricostruito i principali avvenimenti storici che
concorsero alla formazione del partito bolscevico fino alla rivoluzione del
1917, descrivendo come la politica rivoluzionaria espressa dal bolscevismo,
ebbe una specifica influenza sul movimento operaio italiano e sulla nascita del
Pcd'I: dalle inadeguatezze del massimalismo socialista al fallimento del
biennio rosso; dagli errori della prima direzione del Pcd'I, al III congresso
celebrato a Livorno nel 1926. Il relatore ha sottolineato in particolare
l'atteggiamento contraddittorio di A. Gramsci, il quale nel momento in cui
vinceva la battaglia contro l'infantilismo bordighista e riorientava il partito
al bolscevismo, espresso nei primi quattro congressi dall'Internazionale
comunista da Lenin e Trotsky, sul terreno internazionale maturò un
atteggiamento conformista rispetto alla bolscevizzazione e alla campagna
antitrotskista, con cui lo stalinismo cominciò a seppellire la politica
bolscevica. La quarta relazione dal titolo "
Il partito leninista: la differenza tra la Comune di Parigi e la Comune di
Pietrogrado", trattata dal compagno Francesco Ricci attraverso una minuziosa
ricostruzione storica dei principali avvenimenti, ha mostrato come la
borghesia, dopo la rivoluzione francese, avesse perso progressivamente la sua
carica rivoluzionaria. Il relatore, offrendo un'originale ricostruzione della
Comune di Parigi, ha evidenziato come il suo fallimento fosse da addebitarsi
essenzialmente alla mancanza di un partito rivoluzionario: quel partito, il
partito bolscevico, che, viceversa, rappresentò il grimaldello della classe
operaia russa nell'ottobre del 1917, senza il quale, come disse Trotsky, la
rivoluzione non avrebbe vinto. La quarta relazione dal titolo
"Dal movimento di Zimmerwald alla formazione della Terza Internazionale",
trattata dal compagno Valerio Torre, partendo da una dettagliata ricostruzione
della II Internazionale e dal quadro storico e sociale del contesto
internazionale dei primi anni venti, ha analizzato il movimento pacifista che
si espresse, come reazione al tradimento del grosso della socialdemocrazia
europea, alle conferenze di Zimmerwald e di Kienthal e come questo movimento rappresentò
la nascita, seppur "di fatto", della III Internazionale, che vide i natali
formalmente nel 1919. La sesta relazione dal titolo "I
dieci giorni che sconvolsero il mondo. Le ripercussioni della rivoluzione russa
sul movimento operaio internazionale. L'attualità del programma bolscevico come
unica risposta delle odierne illusioni di Chavez", trattata dai compagni Daniel
Martins della sezione portoghese (Ruptura-Fer) e Joao Calvao della sezione
spagnola (Prt-Ir), partendo da una approfondita analisi dell'economia
capitalistica mondiale, ha affrontato nello specifico il contesto
socio-economico del Venezuela. I relatori hanno evidenziato come proprio le
contraddizioni di un paese semidipendente, in rapporto all'imperialismo, mostrano
l'inadeguatezza, oltre che l'inganno, del chavismo: un mix di populismo e
nazionalismo piccolo borghese, particolarmente egemone sulle burocrazie del
movimento operaio che di fatto impedisce lo sviluppo delle contraddizioni
capitalistiche del Venezuela nella prospettiva della costruzione di un governo
operaio. La relazione ha mostrato, inoltre, come anche agli inizi del terzo
millennio si riproponga la necessità della costruzione del partito mondiale del
proletariato che prospetti come unica soluzione la presa del potere della
classe operaia. La settima lezione dal titolo
"L'attualità della rivoluzione bolscevica e la battaglia della Lit per la
ricostruzione della Quarta Internazionale" trattata dal compagno Josè Pau
partendo da una analisi dettagliata della storia della IV Internazionale, ha
approfondito, in particolare, i temi della crisi maturata al suo interno nei
primi anni '50: la regressione politica imposta dal centrismo pablista e
l'inadeguatezza dell'opposizione di sinistra che di fatto, al di là di alcuni
tentativi di organizzazione frazionista, contribuì a disperdere le innumerevoli
avanguardie sparse per il mondo. Nell'ambito di quella crisi storica il
relatore ha valorizzato la posizione di Moreno e della tendenza internazionale
a cui diede vita, che negli anni successivi tentò, malgrado alcuni errori di
valutazione e di posizione, di ricostruire la IV Internazionale delle origini,
di cui la storia della Lit oggi rappresenta la continuità politica e
programmatica.
Note sul disastro giapponese e la situazione italiana
Claudio Mastrogiulio
Nonostante il silenzio di gran
parte dei giornali e delle televisioni nazionali, ci è giunta notizia
dell'incidente nucleare avvenuto poco tempo fa in Giappone. In seguito ad un
terremoto di magnitudo 6,8 della scala Richter, nella città di Kashiwazaki
(sede dell'impianto nucleare più potente del mondo in termini di capacità di
rilascio energetico) è avvenuta la perdita di materiale liquido radioattivo in
mare. La centrale nucleare è di proprietà della Tepco, il primo produttore di
elettricità dell'Asia.
Il caso Giapponese e le sue implicazioni
Quest'azienda era già ben nota in
Giappone da qualche anno quando, nel 2003, in seguito ad uno scandalo sulla
sicurezza degli impianti, fu costretta a chiudere tutte le centrali della
nazione. Inizialmente un comunicato dell'azienda aveva gettato in pasto
all'opinione pubblica proclami tranquillizzanti e tendenti a minimizzare
l'accaduto. Si è infatti immediatamente detto che la perdita di acqua con
materiale radioattivo in mare corrispondeva alla "innocua" quantità di 1,5 litri (non è
assolutamente così, in mare sono precipitati un centinaio di barili, scaricando
1200 litri
di acqua radioattiva). Bisogna ora considerare la veridicità delle informazioni
che derivano dall'azienda privata che gestisce gli impianti; vale a dire è
compatibile con la realtà affermare che l'emissione di materiale radioattivo in
mare, indipendentemente dalla quantità, sia insignificante per quel che
riguarda le conseguenze sulla salute dell'uomo ?
Attingendo da informazioni ben
meno opinabili, è doveroso ricordare che la radioattività, per essere eliminata
del tutto rispetto al materiale con cui è entrata in contatto impiega
tantissimi anni. La sua pericolosità consiste nella circostanza che si lega
all'ossigeno ed entra ovunque, nel corpo umano od anche negli alimenti.
L'assorbimento nel tratto gastro-intestinale è immediato e completo; totale è
l'intossicazione del corpo tramite il sangue. Per questo semplice motivo è
inutile stilare una sorta di funesta classifica che abbia come ambizione quella
di squalificare la nocività del nucleare in quanto tale. Questo approccio
equivarrebbe a giustificare un disastro ambientale e soprattutto a legittimare,
in modo più o meno ignavo, un modo di produzione che con lo sviluppo delle
forze produttive globali risulta essere in un rapporto castrante piuttosto che
progressivo.
E' infatti una falsità tanto
grossa quanto interessata il messaggio secondo cui la deriva nuclearista sia
l'unica prospettiva che si innesti in un processo di continuità con il
fabbisogno energetico mondiale. Niente di tutto questo. Il nucleare, infatti,
rappresenta una delle più nocive fonti di energia non rinnovabili, e per questa
sua semplice peculiarità comporta numerosi danni. Oltre a quelli più
macroscopici, conseguenze di incidenti ed imperizie varie da parte dei vertici
padronali delle aziende produttrici, vi sono quelli più prettamente insiti a
questo modo produttivo e maggiormente tacitati dal mondo politico ed economico
dei Paesi a capitalismo avanzato.
La situazione italiana
Uno di questi, ormai noto, è
quello delle scorie radioattive, cioè degli inevitabili scarti di lavorazione delle
centrali nucleari. Stando ai fatti nostrani è quanto mai necessario un monito
per chi ha a cuore la salute propria e delle future generazioni che popoleranno
questa Terra martoriata; un monito che ci veda attenti e vigili sulle attività
di pressione delle varie lobbies dell'atomo che pubblicizzano un ritorno
all'attività nucleare anche in Italia. Non bisogna dimenticare Latina, Caorso,
Saluggia, Moltanto di Castro, oltre all'Enea di Rotondella. Quell'Enea di
Rotondella con le 64 barre di uranio regalateci dagli Usa; quell'Enea che negli
anni Settanta intrattenne scambi di ricercatori e di plutonio con l'allora
amico di comodo dell'imperialismo occidentale Saddam Hussein; quell'Enea che è
ormai un impianto di vero e proprio stoccaggio senza alcun tipo di valutazione
critica e scientifica in merito; quell'Enea in cui è presente materiale
radioattivo derivante dalla mancata solidificazione di 2.7 metri cubi ad alta
radioattività depositati nello stesso centro; quell'Enea (allora Cnen) la cui
istituzione ingannò facilmente tanta parte del proletariato locale, promettendo
sicuri ed agiati posti di lavoro, ed offrendo al contrario soltanto malattie
come le leucemie, i cancri, e le degenerazioni del sistema respiratorio. Questo
è stato l'apporto che l'instaurazione del nucleare ha avuto nei confronti dei
territori limitrofi, non solo all'Enea di Rotondella, ma anche negli altri
centri sparsi per l'Italia. Tenendo maggiormente presente che, come il
Giappone, siamo un paese ad elevata sismicità; ma, al contrario del paese
asiatico non possediamo la medesima attenzione e specificità rispetto alla
tematica delle costruzioni antisismiche.
L'unica alternativa
A tranquillizzarci non saranno
certamente i proclami di quelle istituzioni che hanno decretato l'adozione e lo
sviluppo di questa fonte energetica. Al contrario riteniamo necessario
mantenere alta l'attenzione sui danni provocati, facendone il fulcro per
un'opposizione di classe; tanto più in un momento in cui, nel dibattito
politico italiano, da destra e da sinistra, arrivano nuove aperture al nucleare.
Nel novero delle marionette delle lobbies dell'atomo rientrano certamente tutte
quelle organizzazioni politiche ed ambientaliste che, più o meno ingenuamente,
tentano di trovare un accordo tra due aspetti totalmente inconciliabili tra
loro. E' impensabile prospettare un futuro in cui ci si possa liberare da
queste obsolete e nocive modalità di produzione energetica, se non si
costruiscono le basi per una pianificazione raziocinante ed estensiva
dell'economia e di tutto ciò che le orbita intorno.
Per questi motivi riteniamo molto
più costruttivo prendere in considerazione il carattere classista di questo
modo produttivo, incanalando il nostro approccio sulla caratterizzazione delle
entità sociali per le quali il nucleare è una prospettiva positiva. L'instaurazione
di centrali, con tutti i margini di profitto che creano, in particolar modo con
i finanziamenti statali, sono una miniera d'oro per quegli squali delle
economie nazionali e transnazionali che ora battono cassa per "ristrutturare"
le centrali in disuso, vista l'eccezionalità finanziaria di una costruzione
"nuova". Al contrario, possiamo notare che, indipendentemente dalla centrale,
ad entrare in contatto con l'imprescindibile radioattività che essa provoca
sono gli operai e le popolazioni locali, con tutto il portato di malattie che
comporta. E' pertanto chiaro ai nostri occhi che difendere le masse popolari da
questi attacchi sempre più imponenti delle lobbies dell'atomo e del sistema
politico al loro servizio significa legarsi indissolubilmente ad una prospettiva
anticapitalistica.
Di conseguenza concludiamo
ritenendo fondamentale pensare alla lotta contro il nucleare come una
possibilità di vittoria transitoria, che troverà la sua necessaria completezza
soltanto con il superamento di quel sistema economico e politico che lo ha
prodotto; consci che solo una mobilitazione unitaria e di classe può
raggiungere tale obiettivo.