Partito di Alternativa Comunista

Il Libano nella morsa dell'imperialismo

Il Libano nella morsa dell’imperialismo

Gli sviluppi recenti della situazione mediorientale

 

Davide Margiotta

 

Durante l’offensiva israeliana della scorsa estate il governo centrale di Fu’ad Siniora ha abbandonato il sud del Libano al proprio destino, facendo ricadere il peso della resistenza principalmente su Hezbollah, confidando che questo avrebbe portato alla sua distruzione. In realtà, la resistenza otteneva un’inaspettata vittoria popolare, rafforzando enormemente il Partito di Dio dello sceicco Nasrallah.

Proprio l’evidente complicità di Siniora con l’imperialismo occidentale ha portato in novembre alle dimissioni dal governo dei ministri sciiti (che a questo punto non ha più legittimità formale, visto che la Costituzione prevede la necessaria presenza al governo di sciiti, sunniti e cristiani), cui seguiva il ministro greco-ortodosso Yaacub Sarraf.

Nonostante le dimissioni di ben sei ministri dell’Esecutivo, Siniora ha fatto approvare da ciò che restava del suo governo il testo della bozza dell’Onu sul tribunale internazionale che dovrebbe giudicare l’omicidio di Hariri, l’ex premier assassinato due anni fa. Inutile dire che tale sentenza è stata già scritta, visto che da subito Stati Uniti e Israele hanno accusato del delitto la Siria. Siniora ha scelto la prova di forza anteponendo l’approvazione della bozza al negoziato per la formazione di un governo di unità nazionale, provocando la rottura completa con Hezbollah. Da allora, ogni giorno migliaia di manifestanti e militanti di Hezbollah si radunano in Piazza dei Martiri, chiedendo le dimissioni di Siniora e la costituzione di un nuovo governo di unità nazionale.
Pochi giorni dopo la rottura veniva assassinato il ministro dell’Industria Pierre Gemayel, del partito cristiano maronita. Ancora una volta la Siria veniva additata come colpevole, nonostante la condanna dell’accaduto da parte di Damasco.

 

Nella morsa dell’Imperialismo

 

I Paesi imperialisti conoscono molti metodi per convincere i Paesi dipendenti a sottostare alla propria volontà, e una delle armi migliori in loro possesso è quella finanziaria.

La Conferenza dei Paesi Donatori, svoltasi a Parigi a gennaio, è servita allo scopo.

Complessivamente sono stati raccolti per il Libano poco meno di otto miliardi di dollari. Tra i maggiori “azionisti” figurano Banca Mondiale e Banca europea per gli investimenti, Stati Uniti e Francia. Presente anche l’Arabia Saudita, che ha garantito oltre un miliardo di dollari. Un investimento in chiave anti-iraniana, che grazie alla fine del dominio della minoranza sunnita in Iraq e alla propria crescente influenza in Palestina (Hamas) e Libano (Hezbollah), si candida prepotentemente al ruolo di potenza regionale, in diretta concorrenza proprio con l’Arabia Saudita.

L’Italia, rappresentata da Massimo D’Alema, si è impegnata per 120 milioni di euro, oltre al contributo di una consistente forza militare, che alla fine dell’anno sarà costata ai lavoratori del nostro Paese oltre 600 milioni di euro. Ovviamente nessun bravo capitalista presta qualcosa senza essere certo di ottenere guadagni superiori in seguito. Gli Stati Uniti hanno prontamente fatto sapere tramite David Welch, assistente del Dipartimento di Stato per il Medio Oriente, che se il Libano vorrà una continuità nei prestiti internazionali dovrà allentare i rapporti diplomatici con Siria e Iran, aprire un negoziato “aperto e senza pregiudiziali” con Israele, disarmare Hezbollah e i suoi alleati, avvalendosi anche dell’appoggio di Unifil e garantire a Israele la totale neutralità libanese in caso di un conflitto con Damasco.

Fmi e Banca Mondiale, gli organismi finanziari dell’imperialismo internazionale, in cui siedono in carne ed ossa i rappresentanti dei Paesi imperialisti, hanno imposto al Libano una serie di misure liberiste come condizione per ricevere il prestito. Siniora si impegnava così in vista della conferenza per un forte aumento dell’Iva sui generi alimentari di prima necessità, una serie di privatizzazioni (tra cui le telecomunicazioni), e tagli durissimi all’assistenza sociale ai profughi (che al termine del conflitto con Israele erano oltre un milione su una popolazione di tre milioni e mezzo).

La risposta del popolo libanese non si è fatta attendere. Il 23 gennaio un gigantesco sciopero generale indetto dall’opposizione parlamentare guidata da Hezbollah e dall’Unione generale dei sindacati in opposizione al piano economico ha paralizzato il Paese, con scontri e barricate erette dai manifestanti. La reazione dei militanti dei partiti governativi ha causato cinque morti e oltre cento feriti, ma la dimostrazione popolare è stata enorme.

Hezbollah, che quando era al governo ha appoggiato le medesime politiche che ora dice di contestare, ha ribadito la propria richiesta di nuove elezioni e di un governo di unità nazionale.

 

Verso la guerra civile

 

Israele non ha lesinato provocazioni durante questi mesi, al fine di legittimare un intervento diretto delle forze Unifil contro Hezbollah e gli altri gruppi della resistenza libanese.

È recente la notizia di scontri al confine. Soldati dell’esercito libanese hanno aperto il fuoco contro forze israeliane che avevano superato la linea di sicurezza.

Il senatore Sergio De Gregorio, presidente della Commissione Difesa del Senato, non ha perso occasione per alzare il tiro sulla presenza italiana in Libano. Secondo De Gregorio, in vista anche di un’alleanza della resistenza libanese con l’onnipresente Al Qaeda, le truppe italiane devono essere adeguatamente armate in vista della possibilità di uno scontro militare. La tensione sale costantemente in Libano, i nuovi attentati alla vigilia della commemorazione per la morte dell’ex premier Hariri, aumentano la sensazione di essere di fronte all’imminente esplosione di una nuova guerra civile.

Gli organizzatori della manifestazione, le forze filoimperialiste, hanno diffuso un comunicato in cui si chiede che “la comunità internazionale imponga sanzioni contro la Siria” e che “i confini siro-libanesi vengano pattugliati da forze internazionali”, come avviene lungo il confine con Israele.

In Libano si gioca una partita fondamentale per l’imperialismo mondiale, specie ora che le riserve di greggio cominciano a scarseggiare. Una nuova sconfitta, dopo il disastro in Iraq e in Afghanistan, darebbe nuovo impulso alle lotte dei popoli oppressi, cosa che in Medio Oriente potrebbe significare un’enorme sollevazione antimperialista (pur se, almeno nella fase iniziale, certamente a direzione religiosa).

 

Una direzione che manca

 

Attualmente Hezbollah rappresenta la maggiore forza di opposizione al fantoccio Siniora, tuttavia la sua direzione mai come in questo momento si è dimostrata insufficiente per la sconfitta dell’imperialismo e la vittoria delle masse libanesi. Tutta la sua politica si riduce alla richiesta di un nuovo governo di unità nazionale. Eppure lo straordinario sciopero di gennaio ha mostrato ben altre potenzialità per il Libano: il proletariato è stanco di pagare e di sopportare le continue vessazioni dei vari clan della borghesia, internazionale e indigena. Purtroppo oggi manca una direzione comunista e rivoluzionaria capace di guidarlo verso la sua emancipazione. La questione libanese potrà essere risolta soltanto nel quadro di una Federazione Socialista del Medio Oriente. Solo un governo dei lavoratori e per i lavoratori potrà ovviare alla crisi storica in Libano e in Medio Oriente.

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