Partito di Alternativa Comunista

Cgil, Landini segretario: cambiare tutto perché nulla cambi

Cgil, Landini segretario:
cambiare tutto perché nulla cambi
 
 


di Alberto Madoglio

 

 

 
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Il 25 gennaio si è chiuso a Bari il XVIII Congresso nazionale della Cgil.
Si è concluso un percorso iniziato circa un anno fa, che ha visto la maggiore organizzazione sindacale italiana e una delle più importanti a livello internazionale, affrontare una discussione che non è stata priva di tensioni e di momenti di drammaticità. E non per la presenza di un documento alternativo a quello proposto dalla stragrande maggioranza del gruppo dirigente e che ha goduto del sostegno quasi unanime dell’apparato sindacale: degli oltre 10.000 funzionari sindacali, quelli che si sono schierati col documento alternativo (che i compagni del nostro partito iscritti alla Cgil hanno sostenuto) sono state poche unità.
Stante questi rapporti di forza, il risultato congressuale non poteva essere messo in discussione. Possiamo anzi dire che i circa 27.000 voti ottenuti dal documento Riconquistiamo tutto, pari al 2% dei voti, è un risultato non da disprezzare. Nei posti di lavoro, fabbriche, uffici, scuole dove i delegati della sinistra sindacale hanno potuto non solo partecipare ma anche controllare lo svolgimento delle votazioni, i risultati sono stati ben superiori.
Da parte nostra riteniamo e sosteniamo da tempo che l’opposizione in Cgil debba fare un passo in avanti. E’ indispensabile non limitarsi a fare una battaglia negli organismi dirigenti di ogni ordine e grado, confederali o di categoria, ma iniziare a presentarsi, nei fatti e non solo a parole, come l’embrione di quel sindacato di classe, anticoncertativo e democratico, oggi assente in Italia e di cui non si può più rimandare il processo costitutivo.
Per fare questo crediamo sia necessario rompere con una visione settaria e autocentrata, per mezzo della quale non si vogliono creare reali rapporti di collaborazione con quei settori del sindacalismo di base che lottano per questo fine. La prova di questo settarismo è l’assurdo rifiuto di partecipare al processo di costruzione e consolidamento del Fronte di Lotta No Austerity, un'esperienza importante che ha come scopo di unire le lotte presenti nel Paese (e a livello anche internazionale), al di là della collocazione sindacale di chi le anima e le dirige.
La fase politico-economica che stiamo vivendo da quasi dodici anni e che non accenna a migliorare, ha già decretato il fallimento di progetti di collaborazione puramente «diplomatica» fra vari gruppi o gruppetti sindacali.
I compiti che ci assegnerà il prossimo periodo non ammettono più scorciatoie e soluzioni tese a salvaguardare il proprio «orticello».

Il mito Landini smascherato dalla realtà
Non è di questo tuttavia che vogliamo trattare in questo articolo (vi torneremo in altri articoli), ma tentare di tracciare un bilancio politico del congresso e, per quanto possibile, fare delle previsioni sul futuro percorso del sindacato di Corso Italia.
Uno dei compiti che spettavano all’assise appena conclusa era quello di indicare chi avrebbe sostituito Susanna Camusso alla carica di segretaria confederale.
Si poteva pensare che la successione potesse essere una mera formalità, visti la solidità della maggioranza sindacale e il fatto che, a differenza dello scorso congresso, non sono stati presentati emendamenti al documento congressuale della segreteria, modo che in passato era stato utilizzato per dare la possibilità alle varie anime sindacali di conoscere il proprio peso nell’organizzazione e utilizzarlo in seguito per contrattare posti nei vari gruppi dirigenti.
Questo percorso però non è iniziato sotto i migliori auspici e ha rischiato di finire peggio.
La scelta originaria, fatta molti mesi fa e non resa pubblica tra i militanti, era quella di proporre la segretaria della Funzione Pubblica, Sorrentino. Tuttavia questa soluzione non aveva trovato il consenso necessario nell’organizzazione.
Si è così arrivati, a congresso iniziato, alla proposta avanzata dalla Camusso e col sostegno della segreteria confederale, di Maurizio Landini, ex segretario dei metalmeccanici, cooptato in segreteria nel 2017 e assurto negli anni, in maniera assolutamente incomprensibile e immeritata, a paladino dei lavoratori.
Abbiamo scritto in diverse decine di articoli quale è stato il vero ruolo di Landini e quanto disastrosa sia stata la sua azione sindacale per il movimento operario del Paese.
Fin da subito, all’epoca dello scontro con Marchionne circa il cosiddetto «modello Pomigliano», il tentativo, coronato da successo, di cancellare il contratto nazionale nel maggior gruppo industriale italiano, e la simultanea cacciata della Fiom dalle fabbriche del gruppo Fca (ex Fiat), mettevamo in guardia circa l’opportunismo e la doppiezza di questo caudillo.
All’epoca tutte le organizzazioni della sinistra, anche di quella cosiddetta radicale, da Rifondazione a Sel, da Sinistra Anticapitalista a Falce Martello (ora Sinistra Classe Rivoluzione), fino al Pcl, erano nei fatti unite nel coro che tesseva le lodi del sindacalista di Reggio Emilia. Le critiche o i distinguo che a volte si levavano, erano molto timidi.
Nella sostanza si individuava Landini come una possibile nuova speranza per la sinistra politica e sociale, che veniva da anni di sconfitte elettorali e sindacali.
Il trucco fu presto smascherato. L’accordo bocciato dalla Fiom a Pomigliano, venne accettato pochi mesi dopo dalla stessa Fiom a Grugliasco.
Il rifiuto dell’accordo sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014 (il famigerato accordo truffa) venne poi accettato e difeso.
Le tensioni esplose tra la confederazione e i metalmeccanici al XVII congresso (che raggiunse un livello di tensione molto alto, con minacce reciproche di espulsione e scissione) portarono poi alla sottoscrizione comune della proposta di legge sul nuovo statuto dei lavoratori, il nuovo modello contrattuale e, da parte Fiom, del rinnovo del contratto di categoria, peggiorativo di quelli precedenti che la Fiom si era rifiutata di siglare.
Il premio di questa ritrovata pace fu il già citato ingresso di Landini in segreteria confederale.
Si era trattato in sostanza di uno scontro tra due anime della burocrazia anti operaia sindacale, che si scontrava per definire nuovi assetti di potere nell’organizzazione e che allo stesso tempo diveniva il collettore delle tensioni che stavano lacerando il mondo del lavoro, colpito dagli effetti di una pesantissima recessione, costata centinaia di migliaia di licenziamenti, miliardi di ore di cassa integrazione, tagli ai livelli del salario e dello stato sociale.
Questa sorta di quadratura del cerchio ha però incontrato un ostacolo non da poco. La candidatura avanzata in segreteria di individuare Landini come nuovo segretario ha fatto esplodere, di nuovo, tutta una serie di contraddizioni nell’apparato burocratico.
Lo scontro è stato molto duro. Colla, quello che per molte settimane è stato indicato come possibile candidato alternativo (prima informalmente, poi ufficialmente) ha accusato la Camusso di aver fatto una forzatura, impedendo che fosse il congresso ha indicare il suo successore senza una preventiva convocazione. In verità veniva criticato non solo il metodo seguito per il segretario ma anche per il tentativo di indicare già quali dovessero essere i componenti della nuova segreteria.
Dal canto suo Susanna Camusso dal palco congressuale ha attaccato Colla, bollando la sua candidatura come delegittimazione del lavoro della segreteria confederale.
Il dibattito è apparso, e così è stato raccontato da molti osservatori interni ed esterni l’organizzazione, come un conflitto tra destra e sinistra, tra un candidato che aveva fatto un percorso più d’apparato, Colla, e uno più attento alle istanze sociali e più propenso alla lotta e al confronto con padroni e governo, Landini.

Uno scontro reale tra due frazioni della burocrazia
Dobbiamo fare alcune precisazioni. Al di là della rappresentazione fatta dai suoi sostenitori in Fiom e nella Cgil, e di quello che Landini racconta di se stesso, il leader venuto dalla fabbrica è una costruzione di un mito che non ha riscontri con la realtà. Landini ha sì lavorato da giovane per pochi mesi come saldatore ma dopo pochi mesi è diventato parte dell’apparato, fino a scalarne tutte le gerarchie (un ex dirigente della Cgil disse in un’assemblea che Landini ha dovuto sopportare in fabbrica il freddo di un rigido inverno ma non il calore della successiva estate).
Se è vero che alcune categorie che hanno sostenuto Colla (chimici, trasporti, pensionati, questi ultimi non erano del tutto convinti della scelta della Cgil di votare No al referendum sulla riforma costituzionale varata da Renzi) sono tra le più moderate nella confederazione, la semplificazione destra/sinistra è servita a rendere più «caldo» lo scontro per l’opinione pubblica.
Le dichiarazioni di Landini una volta avviata la sua candidatura sono state tutt’altro che barricadere. La proposta fatta al congresso della Camera del Lavoro di Milano circa la creazione di un sindacato unico con Cisl e Uil è stata molto significativa.
Crediamo che oggi non ci siano le condizioni perché i tre apparati sindacali possano fondersi fra loro (troppe poltrone salterebbero) ma il segnale lanciato è stato chiaro: la Cgil non rompe con Cisl e Uil e soprattutto non rompe con la politica rivendicativa ultra moderata seguita dallo scoppio della crisi.
Lo stesso rinnovo contrattuale dei metalmeccanici sopra accennato, è stato un enorme passo indietro che nemmeno le categorie più di «destra», come quella dei chimici, al momento hanno osato siglare.
Paradossalmente è stato lo sfidante ad apparire più radicale, criticando aspramente il governo, e lanciando appelli per un ritorno ad un sindacalismo più conflittuale.
Si è trattato solo di schermaglie da «campagna elettorale». È in verità la piattaforma sulla quale è stata convocata la manifestazione del 9 febbraio, così come i contratti, gli accordi siglati, le proposte di un «nuovo» statuto dei lavoratori che danno il segno di che politica si vuole seguire.
Se nella sostanza tra le due parti non c’erano, né ci sono, differenze di fondo, lo scontro è stato reale e, crediamo, non si sia trattato solo di schermaglie per la spartizione di posti in segreteria e negli altri organismi.
Così come si dividono i vari partiti dello schieramento borghese, pur difendendo tutti questo sistema politico e sociale, lo stesso è avvenuto nel maggior sindacato nel Paese.
Non sappiamo se e fino a quando l’accordo trovato potrà reggere (Ladini segretario, Colla vice, una fedelissima della Camusso in segreteria). Molto dipenderà da che sviluppo avranno la crisi economica e se la lotta di classe prenderà forza e in che forme.
Sappiamo che nonostante tutto quello che abbiamo raccontato, Landini viene visto nella Cgil e tra i lavoratori in generale, come una speranza e come colui che può imprimere una svolta positiva nell’azione sindacale.
Il suo compito sarà quello di illudere le masse proletarie, mantenerne la fiducia, garantendo allo stesso tempo a padroni e governo di continuare con le loro politiche di austerità anti operaia. Si spiega così il fatto che dai piani alti di Confindustria nessuno si sia mostrato preoccupato della sua elezione.
Tuttavia questo equilibrio è molto precario ed è destinato a crollare prima di quanto ci si immagini.
Cosa proporrà Ladini quando il governo confermerà che non ci sono risorse per il rinnovo di milioni di dipendenti pubblici? Cosa proporrà quando la recessione nella quale l’economia italiana è ricaduta chiederà il suo conto fatto di tagli allo stato sociale, licenziamenti, aumento dell’Iva ecc.?
Qui è Rodi e qui bisogna saltare. Il "nuovo corso" landiniano presto si mostrerà per quello che è, l’ennesimo inganno che si tenta di propinare ai lavoratori.
E' compito di chi propone un altro modo di intendere l’attività sindacale, un modello rivoluzionario, combattivo e classista, farsi trovare pronto per raccogliere le sfide alle quali si troverà davanti il movimento operaio.

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