Il vassallaggio dei sindacati da Marchionne a Stellantis
di Roberto Tiberio (operaio Stellantis)
Pubblichiamo questo articolo di Roberto, operaio Stellantis, che ci ricorda alcune fasi storiche della storia sindacale e delle lotte consumatesi all’interno (e non solo) delle fabbriche Fiat. Non da ultimo ricordiamo il recente e riuscitissimo sciopero alla Stellantis di Pomigliano, dove i lavoratori hanno formato un corteo interno e hanno protesta contro i carichi di lavoro disumani (la redazione web).
La storia delle relazioni tra la Fiat (ora Stellantis) e i sindacati confederali in Italia è una storia che ha segnato profondamente la classe lavoratrice accompagnandola per oltre un secolo tra lotte, vittorie, sconfitte, accordi, menzogne. Nella centenaria contesa tra operai e padrone si sono susseguite tantissime fasi che hanno visto variare i rapporti di forza e la natura stessa del sindacato, che progressivamente si è allontanato dai suoi originari scopi per diventare qualcos’altro, come vedremo in seguito.
L’eredità di Sergio Marchionne
In tale processo, che non è stato netto, possiamo comunque tracciare una linea di demarcazione, uno spartiacque che rende più chiara la comprensione sulla degenerazione degli istituti che dovrebbero difendere i lavoratori, oltre che evidenziare la natura malsana del capitalismo globalizzato. Quella linea l’ha tratteggiata Sergio Marchionne, imponendo le sue regole di gestione e stabilendo nuovi rapporti con le controparti. Ovviamente il manager col maglioncino non è stato altro che un capitalista come altri, ma è utile ricordarlo per le sue scelte che purtroppo hanno fatto scuola. Prima della sua nomina a ad della Fiat, le relazioni e le dinamiche all’ interno della fabbrica (ci riferiamo qui al settore industriale ma il concetto è esteso a tutte le realtà lavorative) erano piuttosto chiare; vi era cioè una distinzione netta tra i vari soggetti interessati, cioè padroni, classe operaia e direzioni sindacali che si traduceva in rapporti di conflitto, ancora legati alla memoria delle grandi lotte del passato che vedevano appunto contrapposte forze per loro stessa natura inconciliabili: sfruttatori e sfruttati.
Non che tale contrapposizione non fosse minata dai sindacati confederali spesso corrotti e incapaci di guidare le proteste operaie (la storia è piena di tali eventi); quantomeno la classe lavoratrice, anche per il ruolo svolto da militanti politici a sinistra del Pci, aveva più coscienza del proprio ruolo. Marchionne ha spazzato via il passato, accelerando la corsa al capitale distruggendo la classe operaia col beneplacito dei complici governi borghesi. La narrazione agiografica, orchestrata prima e soprattutto dopo la sua morte dai governi e dalle direzioni sindacali, racconta che Marchionne ha risollevato le sorti della Fiat e l'ha portata a sopravvivere e competere con i grandi gruppi mondiali dell’automobile: peccato che nell’equazione non rientri il disastro sociale che ha provocato lì dove ha messo le mani, i costi e i sacrifici pagati dalla classe lavoratrice che oggi continua a pagare. La premessa che ha garantito a Marchionne di elaborare il suo piano finanziario, piano che ha dato benefici solo a sé stesso e agli Elkann, è stata il ricatto: accettate le mie condizioni o in Italia non c’è futuro.
Il ruolo delle burocrazie sindacali
Nel 2010 appunto lanciò il progetto «Fabbrica Italia», col quale si dava il via a una riorganizzazione che prevedeva una serie di investimenti (!) per tenere il passo del mercato globale e far fronte alla crisi finanziaria. In cambio di un impegno pluriennale, Fiat pose delle pesantissime condizioni ai lavoratori: aumento dei turni di lavoro, più flessibilità, straordinari, una nuova metrica di lavoro (Ergo-Uas, che sta provocando danni enormi alla salute degli operai), e una stretta su permessi, malattie e altre tutele dannose al profitto.
Il referendum-farsa, prima a Pomigliano, poi a Mirafiori, fu una logica conseguenza. I sindacati confederali fecero il resto: Cisl e Uil, con dietro la classe politica e i mezzi di informazione si genuflessero ai voleri del salvatore, mentre la Fiom, con a capo il «rivoluzionario» Landini, di fatto non fece opposizione: troppo per i lavoratori, che comunque manifestarono dissenso, anche se isolati.
Il passo successivo fu l’uscita da Confindustria nel 2012, con il malcelato proposito di divincolarsi da norme legislative ritenute dannose al proprio percorso di sviluppo. Infatti, con la stipula del contratto collettivo specifico di lavoro (Ccsl), Marchionne inaugurò una nuova era del capitalismo in Italia e riscritto le relazioni sindacali come mai prima di allora.
Il punto focale, la condizione indispensabile che ha permesso alla Fca, ora Stellantis, di sfruttare senza ostacoli la classe lavoratrice, sta proprio nel modo in cui viene permesso al sindacato di essere in fabbrica. La rappresentanza è ora subordinata all’accettazione preventiva di vincoli che di fatto annullano qualsiasi possibilità di intervento a tutela dei lavoratori.
Un'organizzazione sindacale che rinuncia volontariamente alla principale arma della lotta di classe, lo sciopero, pur di guadagnarsi una poltrona al tavolo coi padroni, non può rappresentare i lavoratori, diventa qualcos’altro. In soldoni, se gli apparati di Cisl e Uil (e Fiom, la cui strategia ondivaga punta essenzialmente alla propria sopravvivenza rinunciando a una posizione netta contro il padrone) vogliono continuare a godere dei loro privilegi all’interno della fabbrica, non devono ostacolare in nessun modo l’azienda nella sua corsa al profitto. Questa può sembrare un'affermazione puramente teorica, ma è una condizione che si ripercuote tutti i giorni nel concreto sugli operai a lavoro.
Come massimizzare la produzione…
Le postazioni sulla catena di montaggio sono regolate da una metrica di lavoro, nel caso di Stellantis denominata come scritto in precedenza Ergo-Uas, che calcola i tempi di singole operazioni basiche e le somma per creare le «saturazioni» che stabiliscono la produzione per ogni turno di lavoro, per ogni lavoratore.
È chiaro che l’adozione di tale metrica ha aumentato vertiginosamente i carichi di lavoro e ridotto i tempi di riposo, allo scopo di massimizzare la produzione, provocando danni alla salute psicofisica degli operai. Ma l’aspetto più drammatico è un altro: chi dovrebbe vigilare sul rispetto di norme da loro stessi approvate, se ne guarda bene, pur avendone tutti gli strumenti per farlo. Risultato? I tempi sono ulteriormente tagliati, i mix produttivi (fondamentali per distribuire meglio il lavoro) dettati esclusivamente da esigenze di produzione, sorveglianza sanitaria inesistente, personale con ridotte capacità lavorative sbattuto sulle linee.
I delegati firmatari sono diventati delegati aziendali, attenti a vendere pensioni e sanità integrative, offrire «protezione» clientelare in cambio di comportamenti adeguati alle aspettative padronali, e sopire ogni accenno di protesta. Le direzioni sindacali confederali hanno tradito la lotta, abbracciando il «modello Marchionne» e proliferando distaccandosi dalla classe operaia, impoverendola e dividendola. Nelle fabbriche Stellantis si avverte rassegnazione, ma anche una rabbia che non riesce ad essere incanalata nella giusta direzione; i lavoratori hanno come unica arma l’unione, per liberarsi dai traditori e riaccendere lo scontro di classe.