Marelli di Crevalcore: non si svende la lotta!
Militanti del Pdac portano la solidarietà agli operai Marelli
Cronaca e intervista a cura di Fabiana Stefanoni
La lotta delle operaie e degli operai della Marelli è iniziata lo scorso settembre, quando l’azienda ha comunicato la decisione di chiudere lo stabilimento di Crevalcore in provincia di Bologna: 230 lavoratori, tra cui molte donne, rischiano di perdere il posto di lavoro. È una notizia che, da subito, ha avuto molto clamore: non stiamo parlando di una piccola fabbrica, ma di una delle aziende più grandi del settore automotive. Se un tempo la Magneti Marelli era all’interno del gruppo Fiat, nel 2018 Fca l’ha venduta al colosso statunitense Kkr, che vanta profitti miliardari e stabilimenti in molti Paesi del mondo.
Da subito gli operai, con i sindacati presenti all’interno della fabbrica, hanno organizzato uno sciopero prolungato con picchetto e blocco delle merci, dimostrando una grande disponibilità alla lotta. I militanti di Alternativa comunista sono passati spesso al presidio per portare loro la solidarietà, coinvolgendo anche gli operai di altre fabbriche, sia del territorio che di altre regioni (dall’Ilip di Bazzano alla Pirelli di Bollate). Alessia, una nostra compagna che studia Cinema all’università, ha realizzato un cortometraggio raccogliendo le testimonianze dirette degli operai.
Particolarmente importante, per dare sostegno alla lotta degli operai Marelli, è stata la campagna internazionale promossa dal Fronte di Lotta No Austerity, che ha raccolto la solidarietà anche di alcuni comitati e sindacati di fabbrica di altri Paesi (tra cui i Co.Bas della Magneti Marelli di Barcellona) (1). La Conferenza nazionale del Fronte di Lotta No Austerity che si è svolta a Firenze il 18 novembre ha votato una mozione in solidarietà con la lotta in Marelli (2).
A fine ottobre i dirigenti sindacali di Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm hanno proposto, in assemblea, la «rimodulazione» dello sciopero, cioè la riduzione delle ore di sciopero con l’interruzione del blocco delle merci: di fatto si permetteva all’azienda di riprendere gran parte della produzione e vendita delle merci. Si tratta di una proposta che abbiamo giudicato errata: solo alzando il livello dello scontro di classe col padrone, solo estendendo e generalizzando gli scioperi in tutti gli stabilimenti del gruppo, solo coinvolgendo negli scioperi altre fabbriche è possibile creare i rapporti di forza per imporre ai padroni condizioni vantaggiose per gli operai. I padroni non regalano mai nulla ai lavoratori se questi non impongono le loro condizioni con la lotta.
In questi giorni i nodi stanno venendo al pettine. Siamo stati di nuovo davanti allo stabilimento di Crevalcore per raccogliere le impressioni delle operaie e degli operai: c’è molto sconforto, perché la promessa di un nuovo acquirente non si è tradotta in nulla di concreto e, soprattutto, sembrano scontati licenziamenti o trasferimenti in altri stabilimenti. È grande, in particolare, la preoccupazione tra le donne, soprattutto quelle che hanno delle limitazioni per problemi di salute: a loro stesso dire, rischiano di essere le prime ad essere penalizzate, essendo considerate dagli azionisti «meno produttive» degli uomini in una fabbrica metalmeccanica.
Abbiamo intervistato Antonio, un operaio che da decenni lavora alla Marelli, nonché uno dei sette operai che, in assemblea, hanno votato contro la «rimodulazione» (riduzione) degli scioperi: secondo noi una scelta giusta.
F: Antonio spiegaci perché hai deciso di votare contro la «rimodulazione» dello sciopero in assemblea.
A: Perché si è proposto di far uscire il materiale: a quel punto il picchetto non ha più senso. Eravamo arrivati a un punto che noi operai potevamo gestire la situazione [con lo sciopero e il blocco delle merci, ndr] ma molti operai non se la sono sentita di rischiare e andare contro la proposta. In assemblea c’era anche l’assessore Colla del Comune di Bologna che ha invitato gli operai a fidarsi, ha detto che lui «ci mette la faccia». Ha detto agli operai: «se voi mi seguite io vi do una mano a trovare un nuovo acquirente, se invece non mi seguite io non posso far niente». Gli operai hanno avuto paura di restare senza soldi, senza busta paga e così la grande maggioranza ha votato a favore dell’accordo: noi in 7 abbiamo detto no all’accordo. Però purtroppo la maggioranza vince e questo è il risultato.
F: E come è andata? Le promesse che hanno fatto i dirigenti sindacali e i rappresentanti delle istituzioni si sono realizzate? È stato trovato un nuovo acquirente con la tutela di tutti i posti di lavoro oppure no?
A: A quattro mesi di distanza non c’è ancora nulla di certo. Siamo nel limbo. Ci sono due acquirenti in teoria, ma non c’è nulla di scritto. Dicono che dovrebbero rimanere a lavorare 150 operai, ma anche su quello c’è incertezza. E soprattutto: gli altri cosa faranno? Per il momento non c’è niente di scritto, quindi non è cambiato nulla. È tutto a parole, adesso c’è un’offerta di due aziende ma non è vincolante: tra un mese si incontreranno di nuovo, secondo me la trattativa andrà avanti per un bel po’. Il grosso problema saranno i tanti operai che non rientreranno in fabbrica.
F: Quindi tu vedi il rischio concreto di licenziamenti o trasferimenti?
A: Trasferimenti non so, ma licenziamenti sicuramente ci saranno. Hanno detto che daranno la Naspi, poi ci sarà un’agenzia apposita che entro un anno dovrebbe fare delle proposte di lavoro… E io anche su questo ho dei dubbi: in un anno se non ti fanno nessuna offerta cosa fai? Dopo la Naspi resti disoccupato senza reddito?
F: C’è anche il rischio che si creino delle divisioni tra lavoratori, tra chi deve essere assunto e chi licenziato. Questo può indebolire ulteriormente il fronte operaio.
A: Sì è ovvio. Anche perché non si sa poi come sceglieranno, se in base alla professionalità, in base al sindacato… Ci sono anche questi aspetti da valutare. E sappiamo l’Italia come è fatta. Quindi ci sono molti dubbi tra gli operai, che si chiedono: «chi sceglieranno? Come faranno la selezione?».
F. E i padroni se ne approfittano: se vedono che gli operai sono divisi cercheranno di dettare le loro condizioni.
A. Sì, è così. Soprattutto nel reparto plastiche ci sono dei movimenti continui di personale e ci sono delle persone che hanno delle limitazioni per problemi di salute. C’è il timore che chi ha delle limitazioni venga sbattuto fuori. E tra l’altro per questi operai sarebbe un grosso problema trovare un nuovo lavoro. Anche questo è un grosso problema.
F. Diciamo che però una cosa positiva c’è stata: la solidarietà da parte di altre realtà operaie e di lotta. I rappresentanti delle istituzioni come si sono posti?
A. Abbiamo smosso il mondo. Per quanto riguarda le istituzioni, dal Comune di Crevalcore abbiamo avuto un supporto, ci hanno dato il gazebo e del cibo. Per il resto, vedremo…
F. Alternativa comunista non si fida delle istituzioni. Noi pensiamo che rappresentino sempre prima di tutto gli interessi dei padroni, non certo quelli degli operai. Crediamo che solo con lo sciopero prolungato e, soprattutto, con l’estensione della lotta ad altre fabbriche si possano respingere i licenziamenti. Gli operai uniti e in lotta riescono a sconfiggere qualsiasi padrone.
A. Diciamo che i rappresentanti delle istituzioni locali sono stati in qualche modo costretti a prendere posizione a nostro favore, perché stiamo parlando della Magneti Marelli, azienda leader nel settore. Abbiamo avuto una grandissima risonanza, anche mediatica. Purtroppo non è successo lo stesso con altre aziende in crisi. In questo senso, tra virgolette, siamo fortunati, ma siamo sempre nel limbo, non abbiamo alcuna certezza. La situazione non è affatto bella, non riusciamo nemmeno a lavorare in modo consono, ci chiediamo continuamente: «Cosa sarà di me? Cosa succederà?». Staremo a vedere.
[Articolo uscito sul numero di febbraio di Progetto comunista]
Note
1. www.frontedilottanoausterity.org/articoli/giu-le-mani-dalle-lavoratrici-e-dai-lavoratori-marelli/
2. www.frontedilottanoausterity.org/articoli/cacciamo-il-governo-meloni-ennesimo-governo-del-capitale/