Partito di Alternativa Comunista

La pandemia nel capitalismo e la soluzione socialista

La pandemia nel capitalismo
 
e la soluzione socialista
 
 
 
 
 
di Diego Bossi
(operaio Pirelli)
 
 
 
Mentre lo scorrere del tempo scandisce l’aumento drammatico dei contagi, dei ricoverati e dei decessi per il Covid-19, relegando nello stanzino della vergogna negazionisti e complottisti di ogni risma, teorizzatori del «poco più di un’influenza», allarmisti della sera nei talk show che poi firmano presunti protocolli di sicurezza al mattino seguente per mandare i lavoratori nelle fabbriche (di morte), e tutta quanta l’insulsa fauna di giullari alla corte del capitale, noi di Alternativa comunista, oggi come ieri, siamo a riproporre la nostra analisi di classe, che potremmo sintetizzare in questa estrema semplificazione articolata in 7 punti: 1) il virus esiste ed è realmente pericoloso; 2) alla mortalità diretta per Covid-19 si somma la mortalità indiretta causata dalla saturazione del sistema sanitario nazionale, massacrato da un decennio di tagli severi operati dai governi borghesi di ogni colore e dai relativi finanziamenti alla sanità privata (la grande assente in questa emergenza); 3) servirebbero urgentemente delle misure drastiche di contenimento dell’espansione pandemica e delle massicce e immediate misure di sostentamento e di assistenza a tutti i lavoratori e alle masse popolari, in particolar modo ai settori oppressi come donne, immigrati ed lgbt che durante il periodo di isolamento hanno visto e vedranno acuirsi l’oppressione nei loro confronti; 4) queste misure non saranno mai possibili nel sistema capitalista, basato sullo sfruttamento dei tanti per il profitto dei pochi, poiché i settori del grande capitalismo industriale, finanziario, dei servizi e della distribuzione non arresteranno i loro profitti, al contempo i finanziamenti pubblici (nazionali ed europei) verranno convogliati nelle tasche della borghesia, generando ulteriore debito pubblico che verrà scaricato sul proletariato; 5) chi pagherà il prezzo più alto saranno lavoratori, artigiani e piccoli commercianti; 6) è inaccettabile la violenta e criminale imposizione a scegliere tra morire di fame o di Covid-19; 7) non esiste e non esisterà nessuna lotta che porti a una reale e definitiva via d’uscita se non la lotta contro il capitalismo, per una società libera dalle catene del profitto e capace di impiegare tutte le proprie risorse nell’interesse generale della collettività.
Vi è poi la drammatica questione del «cosa ci aspetta» nel prossimo futuro: se la prima ondata è stata drammatica per centinaia di migliaia di proletari che hanno perso il lavoro e che aspettano da mesi una misera cassa integrazione promessa e, in molti casi, mai arrivata, la cosiddetta seconda ondata, alla faccia di chi nei mesi estivi sventolava la bandiera della vittoria, darà il colpo di grazia a milioni di lavoratrici e lavoratori. Del resto oltre ai 700.000 posti di lavoro perduti si prevede che, dopo lo sblocco ufficiale (facilmente aggirato) dei licenziamenti, sarà a rischio, come minimo, un altro milione di posti di lavoro: un’apocalisse occupazionale.

Fabbriche in sicurezza o insicurezza nelle fabbriche?
Nel sistema capitalista, sorretto sulla proprietà privata dei mezzi di produzione e la compravendita di merci, le fabbriche non possono fermarsi: la classe operaia industriale è la colonna vertebrale del proletariato. Per questo motivo dietro a tutto ciò che accade si celano gli interessi di classe della borghesia a non chiudere le fabbriche e garantire che i lavoratori si rechino quotidianamente a produrre una ricchezza che verrà loro espropriata dal padrone in cambio di salari sempre più miseri.
Di qui muove la propaganda criminale del «lavoro in sicurezza» avallato dalle direzioni nazionali e confederali di Cgil, Cisl e Uil che, in soccorso alle preoccupazioni di Confindustria che temeva per i suoi associati un drastico arresto dei profitti, hanno firmato per tutti i settori i cosiddetti «protocolli sicurezza», condannando a morte migliaia di donne e uomini. Ma davvero qualcuno pensa seriamente che questi protocolli, nel pieno di una virulenta e devastante pandemia mondiale, possano proteggere le masse proletarie dal contagio? Davvero si pensa che sia possibile mandare milioni di lavoratori a svolgere lavorazioni dove non è possibile alcun distanziamento, a condividere mense, spogliatoi, bagni e box pausa senza che il virus saltelli allegramente da un operaio a un altro? Veramente si crede che tenere scuole elementari e medie aperte per parcheggiare i figli dei lavoratori affinché questi vadano a lavorare, circoscrivendo i bambini in classi pollaio per 6 ore al giorno (fino a poco fa senza nemmeno l’obbligo di mascherina), questi non rientrino a casa da positivi asintomatici contagiando chi, purtroppo, non avrà la fortuna di essere asintomatico? Veramente c’è qualcuno che pensa che aver tenuto aperte tutte le scuole in presenza fino al 6 novembre, contribuendo al totale affollamento dei mezzi pubblici, non abbia aggravato la situazione fino a i numeri tragici a cui assistiamo quotidianamente? No, dobbiamo dirlo chiaramente, nessuno che voglia analizzare seriamente e onestamente la situazione, crede a tutto questo.
I protocolli servono a dare un’illusione di sicurezza che non potrà mai concretizzarsi, facendo leva sulla paura e sulle preoccupazioni di molti lavoratori che in questa crisi temono la disoccupazione e sul bisogno di tanti settori oppressi, come le donne, di scappare dalle loro «galere domestiche» dove sono costrette alle faccende di casa e all’accudimento di figli e di anziani e, purtroppo, dove sono spesso vittime della violenza maschilista. Questa è la soluzione che ci propone il capitalismo: chiede di scalare il vulcano in eruzione armati di un bicchiere d’acqua.

Gli «scienziati» e il sistema sanitario nazionale
«Attenzione! – chiosano i minimizzatori di ogni risma – bisogna distinguere tra i morti di Covid, che hanno contratto il virus e il cui decesso è sopraggiunto a causa del decorso della malattia, e morti con il Covid, ossia morti per l’aggravarsi di una patologia preesistente o perché la medesima aveva già indebolito l’organismo a tal punto da non riuscire a superare il Covid»: questa narrazione è criminale ed è funzionale agli interessi di classe borghesi, infonde la falsa illusione di una percentuale di mortalità da prefisso telefonico: una malattia raramente letale e che riguarda certe categorie a rischio. Non solo tutto questo è falso (si controllino i dati, non aggirabili, di comparazione tra la mortalità totale nel 2019 e nel 2020) ma ad aggravare un quadro già di per sé drammatico dobbiamo aggiungere i morti per il Covid, vale a dire le morti indirette, non conteggiate nelle statistiche ma drammaticamente reali in migliaia di famiglie, di tutti coloro che avevano bisogno di una prestazione sanitaria per qualsiasi motivo e che non ha potuto essere erogata a causa dell’intasamento del sistema sanitario durante l’emergenza pandemica.
Questa retorica criminale si aggrava se è propinata da illustri medici che, in quanto tali, avrebbero il solo dovere di calibrare le loro dichiarazioni pubbliche sulla base degli effetti sociali che queste possono suscitare, cercando di far prevalere sempre la salute collettiva alle elucubrazioni per addetti ai lavori, poiché edulcorare una situazione letale per migliaia di persone risponde ai soli interessi economici della classe dominante e causerà altre vittime tra le masse popolari. Per non parlare di tutti coloro che vanno a raccontarla in tv così com’è: tragica; salvo poi firmare protocolli di sicurezza ad uso e consumo di grandi gruppi industriali per fare andare migliaia di lavoratori dritti al contagio, assumendosi una responsabilità politica che esula dal loro ruolo di scienziati: il medico non deve cercare compromessi tra la salute pubblica e il profitto della borghesia.
Ma il vero problema, che prima abbiamo visto solo di passata, è la saturazione del sistema sanitario nazionale. Nell’ultimo decennio sono stati tagliati 37 miliardi di euro alla sanità pubblica, parallelamente non si sono mai fermati i finanziamenti a quella privata e non hanno alcuna intenzione di arrestarsi, anzi: il welfare aziendale, sancito solennemente nel Patto per la fabbrica sottoscritto da Cgil, Cisl e Uil con Confindustria e recepito in tutti i rinnovi dei contratti nazionali di categoria, devierà una parte importante delle risorse destinate alla fiscalità generale per la sanità pubblica nelle tasche del capitalismo sanitario: contemporaneamente i padroni risparmieranno in tributi e contributi finanziando la sanità privata coi soldi delle pensioni dei lavoratori, con buona pace di quei burocrati sindacali che dai loro pulpiti privilegiati bofonchiano di «rafforzamento della sanità pubblica» e di «difesa del sistema previdenziale» dopo aver contribuito ad affossare entrambi.
Questa è la situazione degli ospedali: la salute è un business, una merce ad alto valore d’uso e di consumo da cui trarre profitto facendo leva sulla disperazione delle masse proletarie. Con il risultato che oggi i medici devono decidere chi curare e chi no, e che i proletari sono tornati a morire soli nelle loro case o su una lettiga parcheggiata nel corridoio di un ospedale o, peggio ancora, dentro un'ambulanza in coda, nella vana attesa di entrare al pronto soccorso.

La borghesia e il proletariato durante la crisi economica e sanitaria
Durante le crisi del capitalismo assistiamo a quel fenomeno che noi chiamiamo «polarizzazione della lotta di classe», vale a dire alla più netta demarcazione tra due poli opposti: la borghesia e il proletariato, ma non solo: per estensione logica diviene anche la polarizzazione tra gli agenti della borghesia nel movimento operaio (burocrazie sindacali e partiti della sinistra riformista) e il movimento rivoluzionario, quindi la polarizzazione della lotta di classe è la polarizzazione tra la rivoluzione e la controrivoluzione.
La crisi economica porterà i borghesi a non concedere più nemmeno le briciole dei loro profitti, milioni di lavoratori cadranno nel dramma della disoccupazione, altri vedranno dimezzati i loro salari in regime di cassa integrazione che arriverà, se arriverà, con mesi di ritardo.
In questo contesto tragico, caratterizzato e aggravato dalla pandemia mondiale di un virus che nella sola Italia, in meno di un anno, ha già mietuto oltre quarantamila vittime, i lavoratori possono assistere alla caduta della maschera di tutti gli attori del sistema capitalista: i padroni, che non hanno voluto perdere i loro profitti, non hanno arrestato la produzione mandando i lavoratori nelle fabbriche; i governi hanno svelato il loro volto borghese permettendo che ciò avvenga, esentando dalle necessarie misure di contenimento tutti i settori della borghesia, convogliando miliardi pubblici diretti e indiretti (vedi Cig) nelle tasche dei padroni, lasciando aperte scuole elementari e medie per parcheggiare i figli dei lavoratori affinché possano andare ad arricchire il padrone, scaricando gli effetti di un lockdown dimezzato (e per questo inefficace) sulle masse popolari, i lavoratori, gli artigiani e i piccoli commercianti; le direzioni sindacali di Cgil, Cisl e Uil hanno firmato con Confindustria i cosiddetti «protocolli sicurezza» per tutelare i profitti del padronato, ma all’interno delle fabbriche, nelle scuole e nei mezzi di trasporto pubblico il virus continua a circolare e contagiare, e i numeri (al ribasso) che leggiamo quotidianamente, ne sono la dimostrazione.
C’è una verità incontestabile che nessuno dice e che non possiamo permetterci di omettere, perché è l’unica verità che ci pone davanti alla soluzione: se fossimo liberi dal profitto di una minoranza di miliardari, questa emergenza sarebbe stata risolta in un mese. Avremmo fermato tutto (tutto!) tranne le attività essenziali, garantendo a queste ultime standard elevatissimi di sicurezza. Avremmo avuto a disposizione la ricchezza e le risorse per garantire reddito a tutti al 100%. Avremmo da anni un vaccino, poiché la Sars è comparsa la prima volta nel 2002, ma allora colpiva solo una parte dell’Asia e le industrie farmaceutiche non svilupparono un vaccino perché non garantiva loro profitti.
Questa è la verità da cui partire e che ci indica la strada: in questa polarizzazione tra rivoluzione e controrivoluzione, l’unica via possibile è quella della rivoluzione socialista.

Il capitalismo uccide
Oggi più che mai, mentre milioni di proletari in tutto il mondo stanno pagando con la salute e la vita gli effetti di questa crisi economica, pandemica e ambientale, dobbiamo essere chiari e gridare in ogni angolo del pianeta che si soffre e si muore di capitalismo. Un sistema libero dal cappio del profitto potrebbe permettersi di fermarsi totalmente: la produzione delle merci non dovrebbe perennemente essere attiva per generare i profitti di una minoranza insaziabile, ma sarebbe pianificata in base alle esigenze della società; l’orario di lavoro sarebbe ridotto e i salari dignitosi; i settori essenziali durante l’emergenza pandemica sarebbero realmente protetti con spazi adeguati, turni brevi e ricambi frequenti del personale, non esisterebbero cliniche e medici «privati»: ogni singolo centesimo della ricchezza prodotta, sarebbe controllato da chi la produce nell’interesse esclusivo della collettività. Per noi questo sistema è il socialismo.
Nel capitalismo non ci sarà alcuna via d'uscita per i lavoratori e le masse popolari, la borghesia sfrutterà la crisi per arricchirsi ancora di più, ricevere finanziamenti pubblici a nove zeri che ricadranno sul proletariato. Non possiamo accettare che per noi l’unica scelta offerta dal capitalismo sia tra la coda per un posto in terapia intensiva e quella per un piatto alla mensa dei poveri.
La proprietà privata deve essere abolita, gli espropriatori devono essere espropriati, gli edifici e le cliniche private requisiti, le fabbriche e i territori devono passare sotto il controllo dei lavoratori e degli abitanti attraverso organismi di democrazia operaia.
Il proletariato divenga classe dominante e liberi l’umanità dal profitto di una minoranza miliardaria che sta devastando il pianeta.
È necessario organizzare le avanguardie coscienti nell’unico strumento in grado di portare a compimento la rivoluzione socialista: il partito rivoluzionario internazionale.
Noi crediamo che questo progetto in costruzione sia oggi la Lega internazionale dei lavoratori - Quarta internazionale, di cui il Partito di alternativa comunista è sezione italiana.
A breve lanceremo la campagna di reclutamento 2021: vieni a conoscerci, unisciti a noi!

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