Partito di Alternativa Comunista

Finanziaria 2023: un film già visto

Finanziaria 2023: un film già visto

 

 

 

di Alberto Madoglio

 

 

È un esercizio sterile quello di fare una classifica sul carattere anti operaio di questo o quel governo borghese, anche se chi scrive in passato non ha resistito a stilare una simile graduatoria. Quindi non ci porremo l’obiettivo di stabilire se la finanziaria che il governo Meloni si appresta a far votare in Parlamento è la peggiore degli ultimi anni o si posiziona su altri gradini del podio.
Possiamo però dire, senza timore di essere smentiti, che si inserisce nel solco delle politiche di austerità contro i lavoratori che, in particolare negli anni successivi alla recessione del 2007/2008, hanno caratterizzato l’azione di ogni maggioranza - fosse di centrodestra, centrosinistra, unità nazionale - che si è trovata a governare il Paese.

 

Dalle promesse elettorali all’austera realtà

Le promesse, più o meno mirabolanti, fatte in campagna elettorale, le affermazioni sul fatto che la nuova maggioranza di centrodestra, una volta insediatasi a Palazzo Chigi, avrebbe rotto con le politiche del passato, si sono sciolte come neve al sole.
Non si può escludere che qualche piccola modifica alle proposte governative verrà approvata in Parlamento (anche se i tempi stretti per evitare il ricorso all’esercizio provvisorio spingeranno il governo a imporre limiti serrati al dibattito tra i parlamentari) senza però cambiarne gli assi fondamentali.
Per quanto concerne la spesa pubblica legata al welfare, si continua, anzi per alcune voci di bilancio si accentua, la politica di austerità.
Una nota della Corte dei Conti afferma che, senza nuovi e sostanziosi finanziamenti (al momento non previsti), la quota della spesa sanitaria rispetto al Pil è destinata a passare dal 7 al 6%, limite sotto il quale secondo l’Oms un sistema sanitario rischia di collassare.
Sulle pensioni, le promesse di abolire la legge Fornero, riducendo il numero di anni necessari per andare in pensione, sono ormai un ricordo del passato. Non solo, l’esecutivo è riuscito a peggiorare la già ridicola quota 102 (data dalla somma tra età anagrafica e anni di contribuzione), alzandola di un anno. Si modifica, peggiorandola, la cosiddetta Opzione Donna, metodo che consentiva alle lavoratrici di andare in pensione con un’età inferiore rispetto alla legge Fornero, avendo un assegno pensionistico fortemente ridotto.
Per quanto concerne le politiche salariali nulla cambia. Per milioni di lavoratori del pubblico impiego sono previsti per il 2023 aumenti pari all’1,5% in attesa di rinnovo dei contratti nazionali già scaduti. E questo nonostante ai lavoratori pubblici siano stati imposti da oltre un decennio enormi sacrifici tra tagli al personale, blocco degli aumenti salariali, fino ad arrivare a ritardare di molti mesi, in alcuni casi di anni, l’erogazione del Tfr.
Nemmeno il taglio del cuneo fiscale pari a 4,5 miliardi servirà a mitigare il calo del potere d’acquisto. Questa misura viene pagata con la fiscalità generale, che per la maggior parte è ricavata da tasse che gravano sui lavoratori: un misero aumento che in futuro richiederà nuovi sacrifici in nome della «disciplina» di bilancio.
La ciliegina finale, per così dire, è la progressiva riduzione dei fondi e del numero dei beneficiari del reddito di cittadinanza, che certo non aveva cancellato la povertà come asserito dagli imbroglioni a 5Stelle, ma aveva mitigato, seppur in parte, i colpi della crisi economica.

 

Un chiaro connotato di classe

Mentre per lavoratori e pensionati si continua a imporre sacrifici, lo stesso non si può dire per quello che la manovra finanziaria prevede per i padroni.
Si ritorna a parlare, nell’interesse degli investitori, di costruire il Ponte sullo Stretto, inutile opera che è già costata in progetti vari diverse centinaia di milioni di euro, che se dovesse realmente passare alla fase attuativa sarebbe un vero e proprio crimine economico e ambientale.
Si fissa una ridicola aliquota del 33% sui sovraprofitti che le imprese del settore energetico hanno ottenuto negli ultimi tempi e che in alcuni casi sono aumentati fino a 6 volte rispetto al recente passato. Aliquota che è di poco superiore a quello che paga un lavoratore dipendente con uno stipendio medio.
Per cercare di ottenere il sostegno della piccola e media borghesia viene varato un nuovo piccolo condono fiscale, aumentato il limite per i pagamenti in contanti e innalzato il livello di reddito delle partite Iva per beneficiare di una flat tax al 15%. Anche in questo caso si tratta di azioni che non sono assolutamente in grado di aiutare artigiani, lavoratori autonomi, professionisti vari nel resistere ai colpi che la crisi economica e la ormai certa prossima recessione (prevista per il 2023) sferra contro di loro, così come fa contro i proletari.
Infine due piccoli provvedimenti chiariscono ulteriormente il carattere anti operaio del governo: la decisione di stanziare 400 milioni di euro per le Olimpiadi invernali del 2026 (che secondo gli organizzatori sarebbero dovute essere a costo zero per le casse pubbliche), e la tassazione di favore prevista per la speculazione legata alle cripto-valute (Bitcoin e simili), operazioni che ovviamente sono appannaggio non di piccoli risparmiatori ma di grandi fondi speculativi.

 

Pd e Cgil: opposizione che non si oppone

Quali sono state le reazioni politiche a tutto ciò? Le forze di opposizione in parlamento, Pd e 5Stelle, alzano la voce solo per fini di consenso elettorale, mentre Calenda e Renzi aprono a un confronto sui temi con Meloni. Si candidano così a essere la futura stampella del governo nel caso i loro voti fossero necessari.
Sul versante sociale risalta il giudizio critico dato alla manovra da Confindustria. A prima vista questo potrebbe sembrare la prova che il governo ha ascoltato le richieste di quelle classi sociali che negli anni hanno visto peggiorare le proprie condizioni di vita.
Si tratta in realtà di mera «tattica sindacale». Le risorse economiche per la finanziaria sono molto limitate e i padroni ne chiedono una fetta ancora maggiore. La stessa richiesta di destinare fondi ulteriori al taglio del cuneo fiscale, aumentando così di un po’ i salari, va incontro agli interessi di Confindustria. L’aumento del potere d’acquisto permette di riuscire a vendere le merci prodotte, dall’altro permetterebbe, nei desideri della borghesia, di mitigare il malessere sociale, evitando che possa esplodere in proteste di massa come sta accadendo in altri Paesi, senza pesare sui profitti aziendali (le aziende potrebbero resistere meglio a richieste di aumenti salariali, giocando sul fatto che questi si sono ottenuti con le politiche fiscali).
E la Cgil? Il comportamento dei vertici della Confederazione non finisce mai di stupire. Prima delle elezioni, davanti a migliaia di delegati riuniti a Bologna, Landini evitò di dare un’esplicita indicazione di voto, non per marcare l’indipendenza di classe nei confronti di governi borghesi, ma per non inimicarsi quella che appariva la coalizione vincente. Dopo il 25 settembre affermò di non aver pregiudizi nei riguardi del governo di destra.
Ora la politica accomodante e subalterna a padroni e ministri continua, anche se in forma differente. A parole, attraverso interviste, dichiarazioni, comunicati stampa, Landini e soci promettono, come sempre hanno fatto in passato, fuoco e fiamme.
Quando poi la «poesia» barricadera si trasforma in prosa, vediamo quale è la volontà che anima l’azione sindacale: quella di evitare a ogni costo che la rabbia e il malcontento sociale che covano da lungo tempo possano andare oltre proteste di facciata. L’intervista in cui Landini riconosce al presidente degli industriali la disponibilità al dialogo, così come la visita in Vaticano del 19 dicembre, dove migliaia di quadri sindacali andranno a baciare la pantofola papale, sono tutti atti che confermano la volontà di non disturbare troppo il manovratore.
La scelta di indire una mobilitazione a livello territoriale, convocando scioperi di poche ore, anziché indire una mobilitazione che possa portare a uno sciopero generale contro l’azione del governo, sono l’ennesima prova del ruolo centrale che l’apparato sindacale svolge per garantire che i padroni facciano i loro affari senza grossi problemi.
Quando agli effetti della manovra finanziaria si sommeranno quelli della già citata probabile recessione nel prossimo anno, è fondamentale che la classe operaia riesca a spezzare le catene che le impediscono di mobilitarsi. Gli operai, con i loro scioperi, possono cacciare questo governo, ma devono anche lottare contro il sistema capitalistico, un sistema che impone loro continui sacrifici a colpi di austerità, distruzione dello Stato sociale, precarietà di massa e licenziamenti. Noi saremo al loro fianco.

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