Famiglia tradizionale o non tradizionale? Questo è il dilemma
di Laura Sguazzabia
Da qualche giorno in Italia si è tornati a parlare di famiglie omogenitoriali. Come annunciato in campagna elettorale, il governo Meloni ha avviato l’offensiva contro le famiglie «non tradizionali», spostandosi dal piano ideologico a quello istituzionale, prima con la circolare con cui si è chiesto ai comuni di smettere di registrare i genitori non biologici negli atti di nascita di bambini con due padri o con due madri, poi con l’opposizione a una proposta di regolamento europeo sul tema.
Dura lex sed lex
Il tema è complesso e per essere affrontato adeguatamente occorrerebbe una laurea in giurisprudenza e la capacità di districarsi nei cavilli burocratici. Non essendo dotati né dell’una né dell’altra caratteristica, proviamo a riassumere schematicamente quelli che sono ad oggi gli ostacoli per le famiglie «non tradizionali» nel contesto legislativo italiano.
Il punto di partenza è che in Italia non esiste una legge sul riconoscimento del legame di parentela tra figli e genitore non biologico (cioè la madre che non ha partorito o l’uomo che non ha donato il seme per la nascita): in questi casi, l’unico genitore riconosciuto è quello biologico, mentre l’altro è considerato un estraneo. Concretamente significa che può aver bisogno di una delega per poter andare a prendere i suoi stessi figli a scuola, almeno fino a quando non si ottenga una qualche forma di riconoscimento, cosa che può richiedere anni. Sebbene la Corte costituzionale abbia ripetutamente esortato il parlamento a provvedere per sanare questo vuoto normativo, ad oggi la situazione rimane invariata. Di conseguenza, diverse amministrazioni comunali hanno elaborato soluzioni alternative e da alcuni anni consentono di riportare i nomi di entrambi i genitori al momento della firma del certificato di nascita all’ufficio di stato civile, in quello che funziona come riconoscimento vero e proprio ma che, in assenza di una legge ad hoc, mantiene uno status giuridico precario. L’alternativa è la stepchild adoption, cioè l’adozione dei figli dei compagni da parte dei genitori non biologici, che però è possibile solo quando uno dei due membri della coppia sia già genitore e che comunque richiede un processo molto lungo e accidentato, la cui decisione finale spetta a un giudice.
In questo quadro normativo molto complesso, si inserisce in senso peggiorativo una circolare del ministero dell’interno con cui si chiede ai sindaci lo stop alle trascrizioni dei certificati dei figli di due padri, nati all’estero con maternità surrogata; si sollecita ad interrompere i riconoscimenti dei figli di due madri nati in Italia e si riserva di dare indicazioni su quelli nati all’estero sempre da due donne.
Inoltre la commissione del Senato che si occupa di politiche europee ha espresso un parere negativo sul certificato di filiazione, ovvero una proposta di regolamento dell’Ue che puntava a uniformare le procedure di riconoscimento dei figli in tutti gli Stati dell’Unione.
«La politica è l'arte di impedire alla gente di impicciarsi di ciò che la riguarda»
La battaglia oggi è ovviamente tutta contro il governo in carica, che peraltro non ha mai nascosto la propria posizione in merito, ancora prima di essere eletto. Basti ricordare i cartelloni propagandistici di Giorgia Meloni con lo slogan «Difendo la famiglia tradizionale» o le affermazioni sue e di altri esponenti dell’attuale governo sulla sacralità della famiglia composta da padre-madre-figli, solo per fare alcuni esempi. Ed è probabile che questo sia solo il primo di una lunga serie di attacchi ai cosiddetti «diritti civili», faticosamente conquistati dalla classe lavoratrice con anni di lotte e di mobilitazioni.
Ma non dobbiamo dimenticare che c’è una responsabilità importante anche da parte di quelle forze politiche che hanno governato per anni e che oggi sono protagoniste di accorate prese di posizione contro i provvedimenti del governo in carica. Va detto che, per restare in tema, la situazione delle famiglie «non tradizionali» avrebbe potuto modificarsi significativamente a livello legislativo con la famosa e famigerata legge Cirinnà con la quale vennero regolamentate nel 2016 le unioni civili tra persone dello stesso sesso. Il testo originario della legge fu profondamente modificato con un maxi emendamento che riscriveva in parte la legge e la indeboliva: stralciava l’articolo che estendeva la stepchild adoption anche alle coppie formate da persone dello stesso sesso e prevedeva l’inserimento di una serie di modifiche per evitare ogni sovrapposizione tra matrimonio e unione civile. Tale compromesso nacque dalla necessità di superare l’ostruzionismo del M5s e della componente cattolica del Pd.
La famiglia tradizionale è la cellula fondamentale su cui si basa questo sistema e ogni governo borghese, di qualunque orientamento politico, farà sempre il possibile per contrastare riforme del diritto che possano in qualche modo minarne l’importanza. Né d’altronde, come dimostra la storia del movimento operaio, la conquista di diritti civili è mai passata per le riforme di legge. Chi professa questo, vuole solo illuderci che si possa in qualche modo limare qua e là il sistema e renderlo accettabile, senza estirparlo effettivamente. Questa idea è coerente con una visione politica che vede nella realizzazione individuale il mezzo unico di lotta contro le oppressioni. Oggi, con una donna-madre al governo, si dimostra quanto questo approccio sia sbagliato. Ci pare ovvio che la soluzione istituzionale sia impraticabile, sia essa affidata ad una donna o ad un uomo, al centrodestra o al centrosinistra.
«Ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni!»
La mancanza di interesse politico e di misure concrete per combattere la violenza contro la comunità lgbt non è un caso: l’omofobia si configura tra i mezzi utilizzati dal sistema capitalista per mantenere la classe divisa e aumentarne lo sfruttamento mediante l’oppressione in tutte le sue componenti (disuguaglianza, oggettivazione, violenza, ecc.).
Non basta una legge in cui si dice che lo Stato si impegna per questo o quell’obiettivo: sappiamo bene che le leggi nello Stato borghese restano carta straccia (pensiamo alla stessa Costituzione italiana) se non vengono accompagnate da politiche di supporto materiale ai soggetti oppressi. Tutto questo non avverrà mai nel capitalismo.
C’è una sola strada che possiamo percorrere per poter garantire davvero l’uguaglianza di genere e il rispetto dei diritti degli lgbt: è la strada della lotta di classe fino al rovesciamento del capitalismo. È perciò importante dotare questa come altre lotte di un punto di vista di classe, legando la lotta contro l’oppressione e per i pieni diritti civili a quella generale per una vita dignitosa e libera dall’oppressione economica e sociale. È altrettanto importante che l’intera classe lavoratrice faccia propria la battaglia contro le oppressioni, superando ogni separazione e non dimenticando che tra le proprie fila ci sono uomini e donne, giovani e anziani, bianchi e neri, etero, gay, lesbiche, ecc. Ogni volta che compiamo un atto di maschilismo, di omobitransfobia, di razzismo non facciamo che porci dalla parte degli sfruttatori, impedendo quell’unità di classe che è la sola arma verso un futuro migliore per l’umanità, in cui mancando le basi economiche e materiali, scompariranno oppressioni e sfruttamento, in cui «Qualsiasi forma di rapporto sessuale è una questione privata. Solo quando si usa la forza o la coercizione, e generalmente quando i diritti degli altri sono feriti o violati, c'è motivo di azione penale» (G. Batkis, La rivoluzione sessuale in Russia, 1923).