Partito di Alternativa Comunista

La crisi politica in Francia

La crisi politica in Francia

 

 

Segretariato della Lit-Quarta Internazionale

 

 

Le Olimpiadi di Parigi mescolano lo spettacolo degli eventi sportivi trasmessi in tutto il mondo con tensioni politiche molto evidenti.
Le proteste contro la presenza di Israele ai Giochi e il sabotaggio dei binari il giorno dell’inaugurazione dimostrano che il tentativo di nascondere la realtà politica e sociale del Paese potrebbe non funzionare.
Macron, più di chiunque altro, punta sull’anestesia collettiva degli spettacoli olimpici per avere un po’ di tregua dalla crisi politica dopo le elezioni di luglio. A tal fine, ha messo in piedi un enorme apparato repressivo. Tuttavia, il risultato potrebbe non essere quello sperato, ma piuttosto una maggiore irritazione e radicalizzazione dello scontento contro Macron e il suo governo.
Cosa sta succedendo in Francia? Quali sono le prospettive? Cosa significa il rafforzamento dell’estrema destra? Che ruolo avrà il Nuovo fronte popolare? Queste sono alcune delle domande degli attivisti alle quali cercheremo di dare una risposta.

 

Il declino del capitalismo imperialista francese

La prima cosa da fare per capire la realtà del Paese è prendere in considerazione il declino del capitalismo europeo, e di quello francese in particolare. Dalla recessione internazionale del 2007-09 è cominciata una fase discendente nella curva dell’economia mondiale, che continua tuttora.
L’Europa sta soffrendo questo declino, esacerbato dalla guerra in Ucraina. Il suo capitalismo è in ulteriore declino, poiché perde terreno nella competizione globale di fronte al conflitto Usa-Cina. La quota europea del Pil mondiale è scesa dal 25% degli anni Ottanta al 15% nel 2020. Ciò ha un’espressione diretta nei due Paesi centrali dell’Unione europea (Ue), Germania e Francia. L’Ue continua a svolgere un forte ruolo controrivoluzionario, come si evince dal suo sostegno al genocidio israeliano e dal suo piano di riarmo.
La Francia, che ha un’importante produzione industriale nel settore automobilistico e aerospaziale, un importante settore agricolo e un significativo settore dei servizi nell’economia imperialista, è rimasta indietro di fronte alla concorrenza cinese e americana. Il Paese è stato espulso dalle sue ex colonie africane. I suoi servizi pubblici sono in grave declino, la sua economia ristagna (con una crescita anemica dello 0,6% negli anni 2020), con alti livelli di indebitamento (110,6%) e deficit pubblico (5,5%). Il calo degli investimenti (-15% dal 2023) indica un ulteriore aggravamento del declino del Paese.
La borghesia francese sta reagendo a questo declino con attacchi sempre più forti ai lavoratori, attraverso successivi piani neoliberali, come l’ultima riforma delle pensioni imposta da Macron. Dopo le mobilitazioni dei Gilet gialli (2018-2019) è anche l’avanguardia europea nella repressione del dissenso e negli attacchi alle libertà democratiche.

 

La crisi della Quinta repubblica

Il declino del Paese ha un’espressione diretta nella crisi della democrazia borghese.
La crisi capitalistica si traduce in un attacco alle condizioni di vita delle masse lavoratrici nel loro complesso. Ma ha un effetto particolare sulle classi medie e sui settori privilegiati del proletariato. In passato, questi settori costituivano la base sociale stabile della democrazia borghese, con aspettative di avanzamento sociale. Con la decadenza del capitalismo, tutto questo è in crisi.
Si tratta di una tendenza globale, che ha conseguenze diverse da un Paese all’altro. Genera una tendenza alla crisi delle democrazie borghesi, alla crisi dei partiti tradizionali, al rafforzamento delle correnti di estrema destra e a una forte tendenza a regimi bonapartisti, cioè a regimi sempre più autoritari con una crescente concentrazione di potere ai vertici dell’esecutivo.
La democrazia borghese in Francia ha assunto la forma della Quinta repubblica, un regime presidenzialista (istituito da de Gaulle nel 1958) a differenza della Quarta repubblica, che era un regime parlamentare. Nella Quinta repubblica è il presidente a nominare il Primo ministro, non il parlamento, ed è anche il presidente a dirigere la Difesa e gli Affari esteri e a scegliere i ministri di questi portafogli.
Per decenni, la Quinta repubblica ha alternato governi di destra liberale e di sinistra borghese (soprattutto attraverso il Partito socialista). Ciò includeva la cosiddetta «coabitazione» con un presidente «di sinistra» e un primo ministro «di destra» (come François Mitterrand e Chirac, ad esempio), e altre combinazioni, sempre applicando un programma borghese.
L’attuazione di piani neoliberisti molto simili da parte dei cosiddetti governi di «sinistra» e di destra ha portato alla crisi di tutti i partiti del regime e della stessa democrazia borghese.
Lo stesso Macron è stato eletto come «novità» di fronte all’erosione del governo neoliberale del Ps di François Hollande e del tradizionale governo di destra, anch’esso neoliberale, di Sarkozy. Una volta al potere, è tornato ad attuare gli stessi piani neoliberisti.
Macron è stato il grande sconfitto delle ultime elezioni, proprio a causa del rifiuto e dell’odio sociale provocato dalle conseguenze delle politiche da lui attuate, il cui simbolo più grande è la riforma delle pensioni, anche se è riuscito a ridurre la sua sconfitta grazie all’accordo col «Fronte repubblicano».

Il movimento di massa

Per comprendere la realtà francese, non basta guardare i risultati elettorali. Come è noto, nella democrazia borghese i processi reali della lotta di classe appaiono distorti nelle elezioni. In una democrazia in crisi, questo è ancora più vero e il voto diventa ancora più volatile.
È fondamentale vedere cosa sta accadendo nella lotta di classe. E la Francia, onorando la sua tradizione, è probabilmente il Paese occidentale in cui la mobilitazione di massa e i conflitti con il potere si sono spinti più in là negli ultimi tempi.
Le mobilitazioni dei Gilet gialli, che hanno scosso il Paese nel 2018-19, hanno reso evidente al mondo la crisi del capitalismo francese e della Quinta repubblica e l’enorme potenziale della mobilitazione operaia e popolare.
Le mobilitazioni sono iniziate come reazione all’aumento del prezzo del carburante, utilizzando i gilet gialli come simbolo del movimento e il sabato per le manifestazioni di massa in strada. Il movimento si è esteso riunendo strati molto ampi di lavoratori nelle province e molti settori di piccoli proprietari terrieri e contadini impoveriti. Ha raggiunto i giovani delle scuole superiori nei quartieri poveri delle città, ma non è riuscito a mobilitare le università. Non ha mobilitato nemmeno il proletariato delle grandi città, bloccato dalle direzioni delle principali confederazioni sindacali, che si scontrarono con il movimento criticandolo nel modo più indegno, come se fosse espressione dell’estrema destra.
Il movimento dei Gilet gialli ha mobilitato una parte importante del proletariato, tra i lavoratori più vulnerabili e meno sindacalizzati del Paese. Ma, se non in misura molto marginale, non ha ricevuto il sostegno dei grandi apparati sindacali, che lo hanno denigrato e hanno bloccato la solidarietà.
Il governo di Macron ha represso selvaggiamente il movimento, che ha intrapreso azioni dirette e adottato misure di autodifesa. Nonostante la brutale repressione, le mobilitazioni sono cresciute, raccogliendo centinaia di migliaia di persone e imponendo al governo una parziale battuta d’arresto.
Il movimento è nato e cresciuto al di fuori degli apparati politici e sindacali. Ha fatto passi da gigante nell’ampliamento del suo programma di rivendicazioni e nell’auto-organizzazione. La sua forza era rappresentata da una spontaneità che travalicava gli apparati burocratici. Ma alla fine il movimento si è esaurito a causa della repressione e del logoramento, perché non è riuscito a superare la crisi di direzione, perché una direzione non si improvvisa.
Lo stesso Macron ha dovuto affrontare l’enorme mobilitazione contro la riforma delle pensioni nel 2023. Dal 19 gennaio al 6 giugno, il proletariato francese ha organizzato manifestazioni di massa e scioperi parziali, a cui hanno partecipato milioni di persone. Sarebbe stato perfettamente possibile sconfiggere la riforma e far cadere lo stesso Macron se le direzioni sindacali avessero optato per lo sciopero generale fino alla vittoria. Tuttavia, ancora una volta, le burocrazie sindacali – su indicazione della Cfdt, con l’accordo della Cgt – si sono rifiutate di farlo, con l’appoggio politico di La France insoumise e di ciò che resta del Ps e del Pcf, che non hanno mai messo in discussione i meccanismi istituzionali con cui Macron poteva imporre una riforma rifiutata da una grande maggioranza delle masse popolari. Il sindacato Solidaires era favorevole allo sciopero generale, ma non si è mai opposto concretamente alle altre direzioni sindacali.
Alla fine Macron, sapendo che non avrebbe potuto votare la riforma in parlamento, ha utilizzato le risorse bonapartiste della Quinta repubblica per imporre comunque la riforma, che è stata poi convalidata dal Consiglio costituzionale.
Ancora una volta, il movimento è stato sconfitto da un misto di stanchezza e impotenza politica.

L’estrema destra

La democrazia borghese, con le sue elezioni, ha un enorme vantaggio per il dominio del grande capitale: permette di mantenere tra le masse le illusioni di cambiamento sostituendo un governo logorato con un altro apparentemente «nuovo», che in realtà applica alla fine lo stesso programma neoliberista.
Questo meccanismo dell'alternanza, per quanto logoro, è ancora valido in Europa nonostante tutte le crisi, nella misura in cui non c’è né un suo superamento rivoluzionario né un interesse della borghesia a utilizzare una via d’uscita fascista. Lo dimostra il risultato delle elezioni in Inghilterra, con la sconfitta del Partito conservatore (al governo da 14 anni) e la vittoria del Partito laburista.
Tuttavia, il rafforzamento delle varie forze di estrema destra è un elemento nuovo nella realtà europea. È un’espressione della decadenza del capitalismo europeo e dei regimi democratici borghesi. L’ultradestra appare come «qualcosa di nuovo», capitalizzando a suo modo la crisi sociale e il profondo malcontento popolare. La sinistra borghese è vista come parte dei partiti del regime.
L’estrema destra europea ha origini diverse. In diversi Paesi è nata da movimenti direttamente fascisti che si sono adattati a competere alle elezioni e quindi ad arrivare al governo, come nel caso del Rassemblement national (Rn) in Francia, di Fratelli d’Italia della Meloni o dell’Fpö in Austria. Sono già a capo del governo in Ungheria e in Italia, partecipano al governo dei Paesi Bassi e di altri Paesi e hanno acquisito una notevole forza nelle ultime elezioni europee.
In generale, non sono partiti fascisti, a differenza di quanto sostiene la sinistra riformista per giustificare la sua politica di «fronte ampio contro il fascismo», in alleanza con settori borghesi.
L’estrema destra non si affida, come negli anni Trenta, alla strutturazione di bande fasciste armate, composte da settori sociali disperati della piccola borghesia. L’estrema destra europea non lavora attualmente con prospettive insurrezionali, ma con l’idea di utilizzare i canali parlamentari per limitare le libertà e i diritti democratici dall’interno del governo. In alcuni casi con progetti bonapartisti di cambio di regime, come nel caso di Orban in Ungheria. In altri casi, con l'ingresso al governo, si è integrata nel regime, come nel caso della Meloni in Italia.
Ma in generale l'estrema destra include gruppi fascisti minoritari nella propria base e spesso ha un radicamento in parti dell’apparato di polizia e delle forze armate.
In Francia, la vittoria del Rn di Marine Le Pen alle elezioni europee (31,3% dei voti) e la sconfitta di Macron (14,6%) hanno provocato una crisi politica. Macron ha quindi manovrato sciogliendo il parlamento e anticipando le elezioni legislative,
Il Rn ha le sue origini nel Fronte nazionale, guidato da Jean-Marie Le Pen, padre di Marine Le Pen. Da decenni cerca di far dimenticare l'origine fascista del Fronte nazionale per assumere una posizione omologata alla democrazia borghese francese, mentre rafforza il suo programma xenofobo, anti-immigrazione e nazionalista. Ha una base sociale in importanti settori della piccola e media borghesia e del proletariato, nonché in una parte importante dell’apparato di polizia. Il Rn ha il voto di quasi il 60% dei poliziotti e molti di loro sono attivisti del partito.
Il Rn si è presentato alle elezioni parlamentari con l’ambizione di conquistare la maggioranza e di arrivare al governo. Questo ha generato una grande reazione di massa, con una parte dei giovani in prima linea nelle manifestazioni. Il 15 giugno centinaia di migliaia di persone hanno manifestato in Francia contro la possibilità di una vittoria dell’estrema destra. Questa forma di mobilitazione di massa contro l’estrema destra è stata tempestiva e necessaria.
Tuttavia, qualcosa di molto diverso è l’«ampio fronte elettorale contro il fascismo», una politica tipica della sinistra riformista in tutto il mondo, che è stata utilizzata anche in Francia. Al secondo turno delle elezioni si è formata un’alleanza (Fronte repubblicano) tra Macron e il Nuovo fronte popolare, che ha portato al ritiro delle candidature del Nfp a favore dei candidati meglio piazzati di Macron quando c’era un candidato di estrema destra che poteva vincere.
Il risultato elettorale ha fatto scendere il Rn al terzo posto. Il Nuovo fronte popolare, a sorpresa, ha conquistato il primo posto, mentre la coalizione di Macron è arrivata seconda. Ciò ha aperto la prospettiva di un governo di coalizione «contro l’estrema destra».
Questo risultato esprime un esito complesso, che potrebbe essere riassunto in tre conclusioni fondamentali.
La prima è che la democrazia borghese, anche in crisi, continua a funzionare, esprimendo un blocco parlamentare contro l’estrema destra, che di fatto favorisce un ulteriore rafforzamento dell’estrema destra nella società.
La seconda è esattamente una contraddizione della prima: la democrazia borghese, anche se funziona, è in crisi. Oltre a un enorme discredito delle sue istituzioni, ora vive una divisione senza precedenti: l’elettorato è diviso in tre blocchi, con un peso simile: il Nuovo fronte popolare (182 deputati), il macronismo (168) e l’estrema destra (143).
La terza conclusione è che l’estrema destra, nonostante la sconfitta, è diventata molto più forte ed è destinata a rimanere. Infatti è ancora il primo partito in Francia e si candida a una possibile vittoria delle prossime elezioni.

Il Nuovo fronte popolare

Di fronte al rischio di una vittoria dell’estrema destra, si è formato il Nuovo fronte popolare, che ha unito La France insoumise (guidata da Mélenchon), il Ps, il Pc, gli ecologisti, nonché settori considerati di estrema sinistra, come il settore storico dell’Npa. Questo fronte ha ottenuto ottimi risultati alle elezioni, diventando lo schieramento con il maggior numero di seggi all’Assemblea nazionale.
Ci sono grandi aspettative da parte di settori di avanguardia in tutto il mondo nel Nfp. Ma queste aspettative sono realistiche?
Vediamo la composizione di questo fronte.
Il Ps è il partito con la più lunga tradizione nel Nfp. Erede della vecchia socialdemocrazia europea, quando era ancora un partito operaio riformista – come nel primo Fronte popolare degli anni Trenta – è stato un fattore fondamentale nelle sconfitte del movimento di massa. Dopo la Seconda guerra mondiale, a partire dal Congresso di Bad Godesberg (1959) della socialdemocrazia tedesca, come gli altri partiti socialisti europei, cessò di rivendicare l’appartenenza alla classe operaia e al socialismo. Il vecchio programma riformista fu abbandonato e sostituito prima dall’«economia sociale di mercato», poi dal social-liberismo (versione socialdemocratica del neoliberismo). Il partito ha cambiato il suo carattere di classe, passando dall’essere un partito operaio riformista a essere un partito borghese, che ha mantenuto e mantiene una certa base elettorale operaia.
La France insoumise è considerata «di estrema sinistra» dai media. Ma è un partito riformista elettorale, guidato da Jean-Luc Mélenchon, ex senatore del Ps. Ricordiamo che Mélenchon ha rotto con il Ps nel 2009 per formare il Parti de gauche (Pg), che molto presto ha formato un’alleanza con il Pcf e altri denominata Front de gauche. La France insoumise è stata creata per le elezioni presidenziali del 2017.
Il programma di questo partito si colloca a destra persino del programma di Mitterrand del 1981, senza nazionalizzazione delle grandi imprese o delle banche, senza misure antimperialiste o messa in discussione delle basi capitalistiche, il tutto nel quadro dell’Unione europea. Il suo programma socioeconomico si limita al recupero dello Stato sociale, proponendo la cancellazione delle riforme di Macron su pensioni e disoccupazione, l’aumento del salario minimo, il blocco dei prezzi dei beni di prima necessità, l’indicizzazione dei salari e l’istruzione pubblica gratuita. Se riuscirà a entrare nel governo, abbandonerà buona parte di queste rivendicazioni, esattamente come ha fatto Syriza in Grecia.
Questo partito non ha svolto alcun ruolo indipendente di primaria importanza nelle lotte del movimento di massa, perché ha lasciato la leadership alle burocrazie sindacali, contro le quali non vuole combattere. Il suo ruolo è essenzialmente elettorale.
Non ha nemmeno un radicamento nei settori proletari, sebbene sia ormai ben radicato nelle periferie con un’alta percentuale di lavoratori immigrati.
In realtà, La France insoumise svolge il ruolo di ala sinistra della Quinta repubblica, anche se formalmente difende una Sesta repubblica nel suo programma. Potrebbe essere un punto d'appoggio per qualche forma di collaborazione di classe nel prossimo periodo. Non è un caso che Mélenchon abbia stretto un patto con Macron (il Fronte repubblicano) per il secondo turno delle elezioni legislative.
Affrontare l'offensiva del capitale e garantire la realizzazione delle misure sociali promesse è impossibile senza organizzare un movimento rivoluzionario di massa che consenta di espropriare le banche e le grandi imprese, per mettere i mezzi di produzione nelle mani della classe operaia e porre fine alla dominazione imperialista francese all’estero. Tutto ciò è impossibile nel quadro del programma di Mélenchon.
A questi partiti si aggiunge il Partito comunista (Pcf), che ha gestito numerosi tradimenti in passato: come il disarmo del processo rivoluzionario nel dopoguerra su ordine di Stalin; la corresponsabilità – con il Ps – nel soffocamento del processo rivoluzionario operato dal Fronte popolare negli anni Trenta; o, ancora, ha ricondotto il processo rivoluzionario del Maggio 1968 nel quadro istituzionale borghese. Oggi, ridotto a una piccola forza che ha abbandonato qualsiasi prospettiva socialista, il Pcf si colloca alla destra dello stesso partito di Mélenchon.

A questi partiti si aggiungono poi alcuni partiti borghesi minori come Ecologiste e Place Publique (di Raphaël Glucksmann). Quest’ultimo è stato candidato alle elezioni legislative del 2007 per Alternativa liberale e in seguito ammiratore di Nicolas Sarkozy.
Come si vede, la composizione del Nuovo fronte popolare non può giustificare alcuna aspettativa di una direzione rivoluzionaria alternativa per l’attuale crisi politica francese.
Il Nuovo fronte popolare prende il nome dal Fronte popolare degli anni Trenta, duramente criticato da Lev Trotsky che, in alternativa, sosteneva il fronte unico di classe e la mobilitazione di piazza come unico modo per affrontare la destra. All’epoca, di fronte alla grave crisi del capitalismo francese e all’ascesa del fascismo, si formò un governo di collaborazione di classe Ps-Partito radicale, sostenuto dall’esterno dal Pcf, che finì per sconfiggere il processo rivoluzionario iniziato con un’ondata di occupazioni di fabbriche nel 1936 e facilitò, alla fine, l’arrivo del regime di Vichy. L'attuale Nuovo fronte popolare è ancora più a destra di quello criticato da Trotsky.
Nel contesto dei molti dubbi sulle prospettive in Francia, possiamo essere certi di una cosa: che il Nuovo fronte popolare non giocherà un ruolo né rivoluzionario né seriamente riformista nel prossimo periodo.

 

Quali sono le prospettive?

Macron non ha fretta di nominare un Primo ministro. Sta usando i Giochi olimpici per guadagnare tempo. E ha già annunciato che «nessuno ha vinto le elezioni», ignorando la vittoria – anche se senza maggioranza parlamentare – del Nuovo fronte popolare.
Nonostante le proteste di Mélenchon, Macron punta sulla formazione di un blocco tra i suoi deputati e il Ps, isolando La France insoumise e l’estrema destra Rn. Questo gli permetterebbe di continuare ad attuare un programma neoliberista, incurante della sua sconfitta.
Ancora una volta, si affida ai limiti bonapartisti della Quinta repubblica. Poiché è il presidente a nominare il Primo ministro, può mantenere l’attuale Primo ministro, Gabriel Attal, del suo partito. Macron ha accettato le sue dimissioni, ma lo ha mantenuto fino a quando non troverà una soluzione per lui favorevole o fino a quando una mozione di censura parlamentare non farà cadere il governo. Anche in quel caso, avrebbe di nuovo il diritto di nominare il Primo ministro.
Macron può quindi forzare un accordo parlamentare che favorisca la sua strategia. Potrebbe tentare un gabinetto tecnico, in accordo con un’ala del Ps o della Place Publique (Glucksmann), o altre varianti. Qualsiasi variante di governo che mantenga questo tipo di programma neoliberista finirà solo per rafforzare l’estrema destra in futuro. Dato che le elezioni presidenziali non si terranno prima del 2027 è probabile che la crisi della Quinta repubblica conosca ancora molti episodi.
Ma come reagirà il movimento di massa di fronte al perpetuarsi delle impopolari politiche di Macron? Se il risultato delle elezioni ha indicato qualcosa, è che il governo è molto logorato. Potrebbero esserci ulteriori convulsioni.
Non c’è alcuna possibilità di superare la crisi della Quinta repubblica e, di fatto, nemmeno di imporre un programma di governo attraverso i negoziati in parlamento. I negoziati sulla composizione del futuro governo serviranno persino a mettere da parte le richieste sociali del programma del Nfp, come l’abrogazione della riforma delle pensioni o gli aumenti salariali.
È necessario lottare per combinare la mobilitazione diretta delle masse, la loro auto-organizzazione e la lotta per l’indipendenza di classe.
È essenziale articolare la mobilitazione dei lavoratori e dei giovani in difesa dell’abrogazione della riforma pensionistica e degli aumenti salariali come richieste immediate. Puntare sull’organizzazione di un’opposizione militante nei sindacati e sull’autorganizzazione di base, lavorando per superare le direzioni sindacali della Cgt e della Cfdt, che stanno già dimostrando la loro sottomissione agli interessi della borghesia.
La lotta per l’unità dei lavoratori e delle lavoratrici con i giovani e i settori proletari contro la borghesia è il modo migliore per affrontare l’ultradestra, che cerca di mettere una parte dei lavoratori contro l’altra e di unirla alla grande borghesia. Non è un caso che, nelle grandi lotte del proletariato contro la riforma delle pensioni, l’ultradestra si sia ritirata.
Questa auto-organizzazione dei lavoratori deve includere la loro autodifesa contro le possibili aggressioni della destra e la ferocia della polizia.
La chiave dell’attuale crisi politica sta nel fatto che i lavoratori si muovano per costruire una nuova direzione rivoluzionaria che affronti le politiche reazionarie di Macron e Le Pen. Ciò richiede la rottura con questi partiti, ma anche con i partiti borghesi che compongono il Nuovo fronte popolare, come il Ps, il Partito verde e Place Publique.
Ciò implica una paziente discussione con i lavoratori e i giovani che hanno votato per il Nfp e con gli attivisti che si fidano delle direzioni riformiste dei partiti operai che compongono tale fronte, come La France insoumise di Mélenchon.
Dobbiamo essere inflessibili e imparare dalla storia: tutte le presunte alternative fondate sulla collaborazione di classe hanno preparato in passato e stanno preparando oggi nuove sconfitte. Per questo è urgente che i lavoratori rompano con i settori borghesi del blocco del Nfp e si uniscano attivamente agli sforzi per costruire una vera alternativa di classe.
La France Insumise sembra essere il settore più combattivo del Nuovo fronte popolare. Ma il suo programma puramente riformista, la sua scelta di non espropriare la borghesia non possono che condurre, come è successo con Syriza in Grecia o Podemos in Spagna, in nuovi vicoli ciechi disastrosi per i lavoratori.
La lotta per l’indipendenza di classe, contro tutti i blocchi borghesi, implica la paziente educazione dell’avanguardia al fatto che il fronte popolare non è il «male minore», perché in realtà mantiene lo sfruttamento borghese e finisce per aprire lo spazio al «male maggiore». In questo senso, l'argomentazione politica per la tattica elettorale fornita in un testo precedentemente pubblicato sul nostro sito era sbagliata (1).

O il proletariato apre una strada indipendente dalle varie opzioni borghesi, o si prepara a una nuova sconfitta.

Nota

(1) Il riferimento è a un articolo di commento alle elezioni francesi scritto da un gruppo simpatizzante della Lit in Francia.

 

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