Partito di Alternativa Comunista

La strategia imperialista di colonizzazione dell’Ucraina

La strategia imperialista di colonizzazione dell’Ucraina

 

 

 

 

 

di Alejandro Iturbe

 

 

Nell’attuale guerra di liberazione nazionale, l’Ucraina ha ottenuto delle vittorie, parziali ma importanti, sull’esercito occupante russo. Dall’inizio della guerra, la Lit-Quarta Internazionale ha appoggiato senza ambiguità la resistenza ucraina e, per questo, abbiamo festeggiato queste vittorie come un passo verso la sconfitta militare di Putin. Affermiamo che il fattore centrale che le spiega è l’eroismo e l’abnegazione della classe lavoratrice ucraina nella difesa del proprio Paese.
Allo stesso tempo, abbiamo segnalato che in questa recente offensiva ucraina era stata possibile per la fornitura di armi e per l’appoggio tecnologico da parte dell’imperialismo statunitense. Questo appoggio non ha nulla di disinteressato: fa parte di una politica che tenta, da una parte, di costruire un esercito regolare ucraino dipendente dagli Usa; dall’altra, di indebolire la difesa del territorio essendo quest’ultima l’espressione più chiara di un processo di lotta armata della classe lavoratrice che può assumere un’indipendenza maggiore e pericolosa. In entrambi gli aspetti, il governo borghese di Zelensky agisce come strumento di questa politica.
La dipendenza militare rispetto all’imperialismo da parte delle forze armate di un Paese è uno dei tratti principali di una situazione semi-coloniale. Per questo rafforzare tale dipendenza è uno degli obiettivi strategici che si è posto l’imperialismo statunitense in Ucraina, con la collaborazione del governo di Zelensky.
Ma questo obiettivo strategico non è l’unico: si lega intimamente con l’avanzamento della semi-colonizzazione del Paese sul terreno finanziario e dell’economia. A questo secondo obiettivo puntano non solo l’imperialismo statunitense, ma anche le potenze europee attraverso l’Unione europea (Ue). Tutti gli «aiuti finanziari» (e anche quelli militari) che stanno dando l’Ue, il Fmi e il governo di Joe Biden saranno ripagati in futuro: «si mangeranno» l’Ucraina dietro le mentite spoglie della sua «ricostruzione». Non a caso tutte le quote di «aiuti» che hanno dato e che daranno nei prossimi mesi sono legate a impegni firmati dal governo Zelensky per garantire questa svendita.

 

Un po’ di storia

Prima di analizzare questi impegni, è importante ricordare che questo processo di semi-colonizzazione dell’Ucraina non sia nuovo: anche se inframezzato dalla guerra odierna, è una continuazione di quello che iniziò nel 2014 dopo la «rivoluzione di Maidan» e la caduta del regime di Janukovich. Un progetto di svendita che il governo di Zelensky (e i settori della borghesia ucraina di cui è espressione) ha assunto con molta chiarezza fin dal 2019.
La Repubblica ucraina faceva parte della vecchia Unione sovietica (Urss), quella in cui Gorbaciov iniziò il processo di restaurazione del capitalismo nel 1986. In seguito, alla fine del 1991, l’Urss si sciolse e l’Ucraina divenne una repubblica indipendente. A partire dalla restaurazione capitalista, cominciò a sorgere una borghesia ucraina, proveniente fondamentalmente da settori del vecchio apparato stalinista, che si arricchì rapidamente con la privatizzazione e la rapina delle imprese statali e l’appropriazione di una parte delle ricchissime terre ucraine.
Nonostante questo rapido arricchimento, questa borghesia ucraina è strutturalmente debole e, di conseguenza, cerca di diventare «socia minore» e dipendente delle borghesie straniere più forti. Alcuni settori sono legati alla borghesia russa, con affari comuni, mentre altri cercano di legarsi agli imperialismi europei e statunitense, cosa che genera una politica oscillante.
Di fronte a questa alternativa (entrare nell’Unione europea come semi-colonia o rimanere alleato di Putin), il regime di Viktor Janukovich scelse quest’ultima opzione. In risposta, si produsse il processo rivoluzionario di Maidan dalla fine del 2013 all’inizio del 2014. È stata una rivoluzione democratica classica, nel senso che ha rovesciato un regime essenzialmente bonapartista ottenendo libertà democratiche molto più ampie. Ma nella coscienza dei lavoratori e delle masse ucraine c’era una gran confusione politica, che si esprimeva nell’illusione seminata da importanti settori borghesi sul fatto che l’ingresso nell’Ue avrebbe garantito non solo la democrazia, ma anche l’indipendenza e la prosperità economica.
Nonostante questa confusione e la politica di deviare il processo rivoluzionario attraverso i processi elettorali borghesi, c’è stato un cambiamento nel rapporto di forze tra le classi, che si è espresso in molti scioperi operai con occupazioni di fabbriche e con la formazione di nuovi sindacati indipendenti che hanno combattuto questi governi.
Allo stesso tempo, facendo leva su questa confusione, a partire dal 2019 il governo di Zelensky avanzava chiaramente in questa politica di integrazione semi-coloniale nell’Ue e anche nella possibilità di far aderire il Paese alla Nato. In questo quadro, nel 2022 Putin ha ordinato l’invasione dell’Ucraina e la situazione interna ucraina si è trasformata in una guerra di liberazione nazionale per l’esistenza stessa del Paese.
Tuttavia, così come abbiamo detto in un recente articolo: «anche nel mezzo di una guerra di resistenza nazionale, questa borghesia e il governo di Zelensky hanno mantenuto il loro progetto strategico di svendere l’Ucraina come semi-colonia agli imperialismi europei (attraverso l’ingresso nell’Unione europea) e statunitense». Vediamo, quindi, i fatti, le cifre degli «aiuti» e gli «impegni» che, come contropartita, vengono firmati dal governo di Zelensky.

 

Gli «aiuti» sono investimenti imperialisti per «mangiarsi l’Ucraina»

Un articolo pubblicato lo scorso maggio sulla pagina della Commissione europea (organismo esecutivo dell’Ue), ci informa che dall’inizio della guerra in Ucraina, l’Ue ha «aiutato» l’Ucraina con 4.100 milioni di euro e che, nel resto del 2022, le avrebbe dato prestiti per altri 9.000 milioni. Inoltre, che a questa data il Fmi avrebbe prestato quasi 15.000 milioni di dollari.
Serve dunque un primo chiarimento: non si tratta di «aiuti», ma di prestiti che l’Ucraina dovrà ripagare in futuro e che si sommano al debito estero già esistente. Un altro articolo di un medium specializzato statunitense ci informa che, considerato come percentuale del Pil, il debito estero era passato dal 50,7% nel 2021 al 90,7% nel 2022.
L’Ue pianifica nuovi prestiti futuri per «aiutare la ricostruzione dell’Ucraina». Denys Smyhal, primo ministro ucraino, ha stimato il «danno materiale della guerra» in circa 100.000 milioni di dollari. In questo quadro, anche nel linguaggio tradizionalmente eufemistico di questi organismi, comincia a sciogliersi il «bandolo della matassa» delle intenzioni delle potenze imperialiste dell’Ue. Da un lato, l’articolo dice che l’Ucraina dovrà pagare questi prestiti «in tranche con scadenze lunghe e tassi di interesse vantaggiosi». Dall’altro, che l’Ucraina «deve accordare la disponibilità di garanzie addizionali».
Il centro della questione è chi dovrà dirigere questa «ricostruzione» e al servizio di quali obiettivi e interessi: quelli dell’Ucraina come nazione indipendente o quelli delle potenze dell’Ue? Con il suo linguaggio, l’articolo risponde a questa domanda: «Una piattaforma di coordinamento internazionale, la “piattaforma di ricostruzione dell’Ucraina”, co-diretta dalla Commissione che rappresenta l’Unione europea e dal governo ucraino, funzionerà come organismo di governance strategica generale, responsabile di sostenere un piano di ricostruzione, elaborato e implementato dall’Ucraina. Il piano di ricostruzione “RebuildUkraine” sostenuto dalla piattaforma, basato su una valutazione delle necessità, si trasformerà nella base in cui l’Unione europea e gli altri soci [leggi l’imperialismo statunitense] determineranno le aree prioritarie selezionate per il finanziamento di progetti specifici» (traduzione dall’inglese e corsivi dell’autore).
La tedesca Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, chiarisce ancora di più il tema: «Questo significa che gli investimenti andranno mano a mano con le riforme che aiuteranno l’Ucraina a proseguire il suo percorso europeo». In altre parole: non sono «aiuti», ma investimenti, e la «ricostruzione» avverrà secondo le priorità fissate dalle potenze imperialiste e al servizio dei loro interessi e dei loro obiettivi di semi-colonizzazione dell’Ucraina.
In questa parte, abbiamo analizzato l’azione delle potenze imperialiste dell’Ue. L’imperialismo statunitense è un socio in questo progetto. Come abbiamo visto, i suoi prestiti e «aiuti» si sono concentrati sull’aspetto militare della semi-colonizzazione. Ma interviene anche attraverso il Fmi, organismo nel quale ha un peso determinante.
In base a tutta l’esperienza storica, sappiamo che il Fmi non presta un solo dollaro a Paesi dipendenti se questi non si impegnano a realizzare «riforme strutturali» (leggi privatizzazioni di imprese statali e facilitazioni per il capitale straniero) e accettare le «missioni» di supervisione e controllo delle loro politiche economiche. I prestiti del Fmi all’Ucraina sono cominciati nel 2015. Questo organismo si arrabbiò nel 2020 perché il governo di Zelensky non avanzava con sufficiente rapidità una delle «riforme strutturali» chiave: la privatizzazione della terra.

 

«Gli affari sono affari»

I governi delle potenze imperialiste e le grandi multinazionali capitaliste di cui difendono gli interessi «non cuciono senza filo». E lo stesso vale per le guerre. Da un lato, si schierano in queste guerre in funzione dei loro interessi profondi e dei loro obiettivi strategici; dall’altro, approfittano delle guerre in quanto tali per fare affari tramite queste. Per questo possiamo distinguere affari immediati e progetti a breve e lungo termine.
Un esempio di affare immediato è quello delle armi nel caso dell’imperialismo statunitense. Le voci di bilancio già votate e quelle che sta attualmente proponendo il governo di Joe Biden per la guerra in Ucraina, come abbiamo visto, hanno come obiettivo il rinnovamento dello stock e della tecnologia del suo arsenale, che significa grandi opportunità per le imprese private del cosiddetto complesso militare-industriale, come la Lockheed Martin, la Northrop Grumman o la Boeing.
Sugli affari a breve termine, ovviamente, si concentreranno nella «ricostruzione» dell’Ucraina. Non sappiamo ancora quali saranno le imprese statunitensi o europee che beneficeranno di questi contratti. Ma abbiamo un esempio dalla guerra in Iraq: l’impresa Halliburton e la sua sussidiaria Kellogg, Brown & Root ottennero grandi contratti tanto per la costruzione di installazioni militari come per la ricostruzione di edifici distrutti. Ricordiamo che Dick Cheney (allora vicepresidente di George Bush figlio) era stato Direttore esecutivo di questa impresa che, con questa vicenda, vide crescere ampiamente le proprie dimensioni.
Negli affari di più lunga durata vi sono le cosiddette «riforme strutturali» dello Stato ucraino. Cioè, lo sfruttamento delle privatizzazioni delle imprese statali e il conseguente controllo di settori chiave dell’infrastruttura e dei servizi. Fin dalla decade del 1990, abbiamo visto numerosi esempi di cosa significano e quali sono le conseguenze di queste «riforme» e delle privatizzazioni: un avanzamento profondo nel carattere semi-coloniale di un Paese.

 

Le ricchissime terre ucraine

Tuttavia, l’obiettivo più strategico delle potenze imperialiste e delle loro imprese è appropriarsi delle ricchissime terre del Paese. L’Ucraina possiede una delle tre maggiori pianure delle migliori terre del mondo, insieme alla pampa argentina e alle praterie centrali statunitensi (anche la Russia ne possiede una parte).
Non a caso, il Paese viene chiamato il «granaio d’Europa»: prima della guerra forniva il 12% delle esportazioni mondiali di grano e il 16% di quelle di mais. Un’altra produzione importante è quella dei girasoli, dalla quale deriva l’esportazione di importanti quantità di olio. Nel 2020, il totale delle esportazioni di origine agraria del Paese raggiunse 22.000 milioni di dollari. L’Ucraina possiede anche una grande ricchezza di minerali metallici e non metallici, che include ferro e altri elementi più rari ma di uso crescente nei nuovi processi industriali, come titanio, gallio e germanio, con un certo peso delle loro esportazioni nei mercati mondiali.
Vale a dire che la proprietà della terra è la chiave del controllo dell’economia ucraina. In questo articolo ci concentreremo sulle terre agricole, dato che il Paese destina all’agricoltura 42,5 milioni di ettari (32 milioni di primissima qualità produttiva) dei poco più di 60 milioni totali. Il 70% della superficie dell’Ucraina!
Vediamo un po’ la storia della sua proprietà. Quando l’Ucraina era parte della vecchia Unione sovietica, tutte le terre coltivabili erano proprietà dello Stato e si sfruttavano in fattorie collettive nelle quali lavoravano operai agricoli. Dopo la restaurazione del capitalismo e lo scioglimento dell’Urss (1991), i governi dell’Ucraina indipendente cominciarono un processo di privatizzazione che dura già da 30 anni: attualmente il 68% delle terre è in mani private, mentre il 32% continua ad essere nelle mani dello Stato.
Inizialmente, questa privatizzazione si realizzò attraverso la consegna di certificati di proprietà di piccoli appezzamenti di terreno ai lavoratori delle vecchie fattorie collettive. Questa politica è stata orientata e finanziata dal Fmi e da altri organismi internazionali. Si stimava che ci fossero sette milioni di nuovi piccoli proprietari in queste condizioni. Ma la minore redditività e la crisi economica del Paese fecero sì che molti di questi agricoltori si indebitassero, dovendo vendere i loro appezzamenti. Cominciò un processo di concentrazione della proprietà, che fu capitalizzato da una nuova oligarchia agraria. Nel 2001 il governo istituì una moratoria di questi debiti per evitare nuovi trasferimenti di terre private e fermò la privatizzazione delle terre statali. Il processo che abbiamo analizzato rimase allora «congelato».
Le privatizzazioni ripartirono nel 2016, con i nuovi governi post-Maidan. Quello di Zelensky, in particolare, «ordinò al parlamento ucraino di presentare un progetto di legge sulla riforma agraria con l’obiettivo di riaprire la compravendita di terre nel Paese il 1° dicembre 2019». Abbiamo già detto che nel 2020 il Fmi si «arrabbiò» con questo governo perché non avanzava con sufficiente rapidità in questa «riforma strutturale». Una politica di cui si sarebbe approfittata, ovviamente, l’oligarchia agraria ucraina, ma che, essenzialmente, avvantaggiava le grandi imprese internazionali produttrici di alimenti, che potevano così comprare terre di prima qualità a prezzi molto migliori che negli stessi Paesi imperialisti o in altri come l’Argentina.
Anche durante il periodo della citata «moratoria», nel 2016, si stimava che «dieci multinazionali controllavano 2,8 milioni di ettari di terra ucraina» e che, con Zelensky, questa cifra era cresciuta a 3,4 milioni di ettari. Altre stime, se si considerano le associazioni di cui sono azionisti gli oligarchi ucraini, alzano questa cifra a 6 milioni.
La guerra ha significato un’impasse nell’applicazione di questa politica, ma non ha significato la sua fine. Al contrario, i governi imperialisti e le grandi imprese vogliono che si faccia un passo verso il suo completamento: «Tre grandi multinazionali statunitensi comprarono 17 milioni di ettari di terra di prima classe da Zelensky […]. Le banche occidentali stanno imponendo il consolidamento del modello di agrobusiness su grande scala a spese dei piccoli produttori, che costituiscono un ampio settore della popolazione del Paese». Vale a dire, secondo le parole di un documento della Banca mondiale del 2019, «l’accelerazione degli investimenti privati nell’agricoltura».
Senza eufemismi, una pubblicazione della sinistra statunitense si riferisce all’insieme della politica che prepara Zelensky per il dopoguerra (e che in alcuni casi sta già venendo applicata) nel modo seguente: «L’Occidente si prepara per saccheggiare l’Ucraina del dopoguerra con una terapia di shock neoliberista: privatizzazione, deregolamentazione, riduzione dei diritti dei lavoratori».

 

Alcune considerazioni finali

Abbiamo caratterizzato il conflitto militare in Ucraina come una guerra giusta di liberazione nazionale delle masse popolari ucraine contro l’invasione russa. Per questo, diamo il nostro appoggio incondizionato alla resistenza ucraina e, nella misura delle nostre possibilità, esprimiamo questo appoggio in forma concreta, come abbiamo fatto con due carovane di aiuti operai all’Ucraina. Questa caratterizzazione e questa politica ci pongono nello stesso campo militare del governo borghese di Zelensky in quello che i marxisti chiamano «unità d’azione».
Allo stesso tempo, sempre come marxisti, siamo pienamente coscienti che, dentro questo campo militare comune e dell’unità di azione, vi sono interessi di classe differenti e opposti. Da un lato, quelli della borghesia ucraina e del governo borghese di Zelensky; dall’altro quelli della classe operaia e delle masse popolari ucraine. Pertanto, nel quadro di questa unità d’azione, dobbiamo combattere politicamente questo governo che è il soggetto che attualmente conduce la guerra.
In primo luogo, per la forma stessa in cui la conduce: costruendo un «normale» esercito borghese, dipendente dall’imperialismo, a detrimento delle Difese territoriali operaie e popolari. In secondo luogo, ma non meno importante, perché, come abbiamo già detto prima in questo articolo, «anche nel pieno della guerra di resistenza nazionale, questa borghesia e il governo di Zelensky hanno mantenuto il loro progetto strategico di svendere l’Ucraina come semi-colonia agli imperialismi europei (attraverso l’ingresso nell’Unione europea) e statunitense. Nei fatti, stanno mettendo lo sforzo e l’eroismo delle masse popolari ucraine al servizio di questo progetto».
In altre parole, il governo di Zelensky combatte contro la sottomissione alla Russia ma, allo stesso tempo, continua a stimolare un’altra sottomissione, in questo caso «pacifica». Questo significa che la classe operaia e le masse popolari ucraine devono unire la lotta urgente e imprescindibile per difendere la propria sovranità contro l’aggressione russa con il compito di difenderla contro la svendita di questa sovranità agli imperialismi europei e statunitensi. Politica, questa, che il governo di Zelensky sta già applicando e che si prepara ad accelerare dopo la fine della guerra. In entrambe queste lotte, per la classe operaia e per le masse popolari ucraine si pone la necessità di avanzare obiettivi e misure proprie della transizione al socialismo.
Parliamo di una combinazione di obiettivi sulla base dinamica della concezione trotskista della rivoluzione permanente. Cioè due obiettivi «democratici» (la lotta per la difesa del Paese di fronte all’aggressione russa e la lotta contro questo progetto di semi-colonizzazione degli imperialismi europei e statunitense) si combinano con obiettivi minimi propri della classe operaia (come la difesa del salario e delle condizioni lavorative e, anche, le condizioni per difendere i territori) e con obiettivi propri della transizione socialista, come l’espropriazione delle grandi imprese nazionali e straniere, industriali e agricole, il controllo operaio della produzione e della distribuzione, la cancellazione del debito estero.
La chiave perché si possa avanzare in questa dinamica è che la classe operaia ucraina avanzi nella sua mobilitazione e nella sua organizzazione indipendente. Una classe operaia che si armi per la guerra contro la Russia e si organizzi per questa lotta. Un’esperienza che deve applicare anche per difendersi contro le leggi antioperaie del governo di Zelensky e contro il progetto di semi-colonizzazione che abbiamo analizzato, ancora di più se la guerra culminasse in una vittoria ucraina, dato che le sue misure cominceranno rapidamente a essere applicate, mascherate da «ricostruzione».
La dichiarazione della Lit-Quarta Internazionale del 6 settembre 2022 ha formulato nel modo seguente questa combinazione di obiettivi che propone alla classe operaia e alle masse popolari ucraine, invitandole a sostenere: «l’espropriazione di tutti i patrimoni degli oligarchi e delle imprese russe associate al regime di Putin; la nazionalizzazione e la centralizzazione nelle mani dello Stato dell’economia, al servizio della difesa nazionale, sotto il controllo dei lavoratori; nei territori difesi dall’invasione organizzazione della resistenza in milizie operaie che favoriscano l’indipendenza dal governo. Dobbiamo fare appello a difendere la sovranità nazionale a costo dei profitti capitalisti e a bloccare i licenziamenti, le sospensioni forzate, a garantire la piena occupazione come parte di un piano di difesa nazionale, con una politica di rivendicazioni e denunce nei confronti della politica concreta di Zelensky».
In questa dinamica di rivoluzione permanente è fondamentale anche il ruolo della classe operaia mondiale. Da un lato serve l’appoggio alla resistenza ucraina. Dall’altro, in particolare ai lavoratori dei Paesi imperialisti europei e degli Usa, chiediamo di impegnarsi anche nella lotta contro la politica dei propri governi e delle proprie imprese che vogliono «mangiarsi l’Ucraina».

 

 

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