Partito di Alternativa Comunista

Finanziaria e nuovo patto di stabilità: potrebbe andare peggio?

Finanziaria e nuovo patto di stabilità: potrebbe andare peggio?

 

 

 

di Alberto Madoglio

 

 

 

Gli ultimi provvedimenti in materia economica presi dal governo Meloni alla fine del 2023 hanno confermato il vecchio adagio popolare che al peggio (in questo caso per i proletari) non c’è mai fine. Non torniamo qui ad analizzare nel dettaglio il contenuto della manovra finanziaria per il 2024: per chi fosse interessato ad approfondire rimandiamo all’articolo apparso sul nostro sito in data 22 novembre intitolato «Finanziaria: peggio di quanto ci si potesse aspettare» (1).

 

Una manovra di austerità

Ci limitiamo a ricordare solo i provvedimenti più significativi: non sono previste risorse in grado di garantire il recupero del potere d’acquisto per milioni di lavoratori pubblici che attendono il rinnovo contrattuale, stesso discorso per i finanziamenti alla sanità pubblica. Il taglio del cuneo fiscale per i redditi che prevede un misero aumento di poche decine di euro al mese è confermato solo per l’anno in corso.
Definitivamente archiviata anche la tanto sbandierata tassa sugli extra profitti delle banche, annunciata la scorsa estate. Parliamo di un settore che nel 2023 ha registrato utili pari a circa 40 miliardi di euro!
E per il capitolo più atteso, quello delle pensioni, non solo non è stata abolita la legge Fornero e introdotto il diritto alla pensione con 41 anni di contributi a prescindere dall’età anagrafica, come promesso in particole dalla Lega di Salvini nella campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento dell’autunno del 2022. Si sono, al contrario, introdotte modifiche che prevedono «una stretta quasi a tutto campo sui pensionamenti anticipati», come ha scritto un giornalista del Sole24Ore il 29 dicembre scorso (2).
Tuttavia è molto probabile che a questa manovra di austerità, con qualche piccolissima concessione in vista delle elezioni europee della prossima estate, se ne debba aggiungere un’altra ancora più pesante, potremmo dire di «austerità 4.0». Infatti la tenuta della Finanziaria 2024 si fonda su previsioni di crescita fatte dal governo che già oggi sono ritenute irrealistiche da tutte le istituzioni finanziarie, nazionali e internazionali, che annunciano invece una crescita inferiore di circa il 50%. E senza escludere una possibile vera e propria recessione, che renderebbe molto precaria la tenuta politica della maggioranza parlamentare.

 

Non è che l’inizio

Se possiamo ritenere quasi certo il varo di una manovra correttiva, crediamo allo stesso tempo che il governo farà di tutto per posticiparla a dopo il voto europeo, per evitare di vedere sancito, non solo dai sondaggi, il calo del consenso tra gli elettori.
Nel frattempo si parla di una nuova massiccia tornata di privatizzazioni, per raccogliere risorse in modo tale da rendere più sostenibili le finanze tricolori, in particolar modo per quanto riguarda il rapporto debito pubblico - prodotto interno lordo, vera spada di Damocle su ogni decisione in materia economica di ogni governo da trenta anni a questa parte.
Monte Paschi di Siena, Poste, Ferrovie: sono questi i beni del patrimonio pubblico che il governo «sovranista e patriottico» è pronto a svendere al grande capitale, nazionale e internazionale, anche se pare molto difficile raccogliere la somma di 20 miliardi di euro di cui si vocifera secondo indiscrezioni giornalistiche.

 

L’opposizione sindacale che non c’è

Se non stupisce la scelta di una politica economica «austera» da parte del governo Meloni, scelta che, come prevedibile, spazza via tutte le promesse elettorali del 2022, non era invece scontata la «riposta» data dalle direzioni sindacali.
Lo sciopero generale indetto da Cgil e Uil è stato un mezzo fallimento annunciato, con una bassissima adesione nei posti di lavoro, anche se alcune manifestazioni, specie nelle grandi città, hanno avuto un buon numero di partecipanti. Un risultato che conferma la nostra analisi (3).
Il governo, per nulla intimorito, non ha modificato di una virgola i propri provvedimenti. L’affermazione, da parte di Landini, che la mobilitazione non si è interrotta ma proseguirà fino al conseguimento dei suoi obiettivi, assomiglia a una smargiassata, a uno stanco rituale di chi deve fare la faccia feroce per tenere a bada il malcontento e la sfiducia verso gli apparati che cresce sempre più tra lavoratori e iscritti sindacali, ma nei fatti non vuole disturbare il manovratore, in questo caso il governo.
È uno spettacolo che abbiamo già visto al tempo dell’introduzione dell’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. All’epoca si diceva che, dopo aver perso la battaglia in Parlamento, sarebbe stato reintrodotto in occasione dei rinnovi dei contratti nazionali, grazie al ricorso alla mobilitazione. Sappiamo tutti come è andata a finire.
L’assenza di una piattaforma rivendicativa in grado di mobilitare la maggioranza della classe operaia, e la mancata individuazione di una o, come sarebbe necessario sulla scorta della recente esperienza francese, più giornate di sciopero, sono la prova che le nostre non sono illazioni polemiche ma una triste verità.
Quanto questo gioco possa continuare ancora, non è prevedibile.
Sappiamo però che il momento della resa dei conti si avvicina sempre di più, perché, come scritto in apertura di questo articolo, al peggio non c’è mai fine.
«Potrebbe esser peggio. E come? Potrebbe piovere». Questo famosissimo dialogo tra Marty Feldman e Gene Wilder, protagonisti del film di Mel Brooks Frankenstein Junior, bene si adatta alla situazione che nei prossimi anni dovranno affrontare i lavoratori in Italia.

 

L’imperialismo europeo detta legge

Anche se ciò che ci aspetta, più che una semplice pioggia sarà una vera e propria tempesta. Questo è ciò che prevede la riforma del Patto di stabilità, sancita a livello continentale, con il sostegno del governo di destra italiano.
Dopo la sospensione delle regole del Patto causata dalla crisi economica scoppiata in concomitanza alla pandemia Covid 19 nel 2020, si sono rese necessarie modifiche che rendessero realmente applicabile quanto stabilito a livello europeo.
Nel nuovo Patto di stabilità sono previsti degli obblighi di correzione dei conti pubblici di ogni Paese dell’Unione europea, la cui entità varia a seconda di quanto detti conti divergono dai determinati standard finanziari.
Alcuni esponenti della maggioranza hanno salutato la sottoscrizione delle nuove regole come una vittoria del governo, anche se è ormai noto che sono state Parigi e Berlino a trovare una quadra tra le loro differenti visioni in materia di finanze pubbliche, per poi imporle agli altri Paesi, Italia compresa.
Con questo non vogliamo in nessun modo assecondare la retorica che descrive il Belpaese come una nazione a sovranità limitata, obbligata ad accettare le scelte di altri, e che in Europa bisognerebbe difendere gli interessi della Patria, mettendo in secondo piano le differenze di classe. Quello che accade è che le due potenze imperialiste egemoni nel Vecchio Continente hanno possibilità maggiori per far valere i propri desideri, perché alla fine dei conti, archiviati proclami, minacce e retorica sono i fondamentali economici a farla da padrone. E il più debole imperialismo italiano non può far altro che abbozzare.
D’altro canto, che il nuovo Patto di stabilità non dispiaccia alla grande borghesia italiana lo possiamo intuire da diversi fatti.
Il primo, che tutti i maggiori mezzi di informazione, direttamente o indirettamente nelle mani del capitale nazionale, hanno applaudito alla riforma e sostenuto il governo nella decisione di ratificarlo. Mentre hanno, di contro, criticato il fatto di non aver approvato il nuovo regolamento del Meccanismo Europeo di Stabilità, che permetterebbe di imporre nuove misure di austerità a livello continentale nel caso si ripresentassero scenari simili a quelli che si sono verificati tra il 2010 e il 2015 e che hanno imposto ai lavoratori di Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda e Cipro misure che definire «lacrime e sangue» risulta riduttivo.
Crediamo che il no alla rarifica del Mes sia solo una momentanea scelta del governo Meloni, che dopo aver dovuto smentire anni di retorica populista con la finanziaria 2024 e il Patto di stabilità riformato, non avrebbe retto a un terzo schiaffo con il sostegno a uno strumento avversato per molto tempo. Anche in questo caso, passate le elezioni estive, Meloni e soci faranno buon viso a cattivo gioco e si piegheranno alle richieste della borghesia tricolore.
Il secondo è che dal calcolo per definire i parametri di bilancio sono esclusi gli investimenti nel settore della difesa, per la gioia di due veri e propri colossi italiani del settore a livello mondiale come Leonardo e Fincantieri. Inoltre questa deroga alle regole di bilancio mette definitivamente la parola fine a ogni illusione su un possibile carattere sociale dell’Unione europea. Per armi e strumenti di potenza imperialista si può spendere a piacimento, mentre per scuola, sanità, trasporti e welfare si può tagliare a più non posso. Ed è quello che toccherà all’Italia.

 

Quali prospettive?

I pareri sono discordanti sul fatto se gli aggiustamenti di bilancio nel prossimo periodo dovranno avvenire in quattro o sette anni. Poco importa, anche nella seconda ipotesi, più favorevole, per così dire, per l’Italia sono previsti tagli per dodici miliardi annui, che corrispondono a un avanzo primario del Pil di circa il 4% per il periodo considerato. Ricordiamo che l’avanzo primario è la differenza tra entrate e uscite prima del pagamento degli interessi sul debito accumulato. Sommando l’avanzo primario per i prossimi sette anni a quello di quasi venti anni precedenti, fatta salva la sospensione causa Covid, possiamo affermare che l’Italia era e sarà in un’epoca di austerità senza fine.
Quindi non solo il governo dovrà rendere conto a milioni di lavoratori che ciò che aveva promesso non potrà avverarsi, ma anzi si dovranno imporre ulteriori sacrifici sempre più duri.
Ma anche le burocrazie sindacali si troveranno presto o tardi a fare i conti con i loro vuoti proclami e le loro continue menzogne. L’era delle menzogne, dei trucchi da imbonitori da fiera di paese sta per finire. Come in Francia, Gran Bretagna, Germania e decine di altri Paesi del mondo, anche in Italia la rabbia e la disperazione per lungo tempo compresse prima o poi esploderanno.
Il compito dei rivoluzionari, del nostro Partito, è quello di far sì che il momento della resa dei conti si avvicini sempre di più. E che l’unica soluzione per porre fine a questa situazione sempre più insostenibile sia, finalmente, il trionfo dell’opzione rivoluzionaria, dell’esproprio della borghesia e della creazione di un governo che nei fatti, non solo a parole, rappresenti e difenda gli interessi dei lavoratori, cioè della stragrande maggioranza della società, non quelli di un piccolo numero di sfruttatori e parassiti, interessati solo ai loro profitti, ottenuti a spese di milioni di proletari.

 

 

Note

1)www.partitodialternativacomunista.org/politica/nazionale/finanziaria-peggio-di-quanto-ci-si-potesse-aspettare

2) Marco Rogari, “Pensioni: finestre e lavoratori contributivi, le novità per il 2024”, disponibile al link https://24plus.ilsole24ore.com/art/pensioni-finestre-e-lavoratori-contributivi-novita-il-2024-AF16Yh9B

3) https://www.partitodialternativacomunista.org/articoli/sindacato/giu-le-mani-dal-diritto-di-sciopero-giu-le-mani-dalle-lavoratrici-e-dai-lavoratori-volantino-del-pdac-per-lo-sciopero-del-17-novembre

 

 

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