Partito di Alternativa Comunista

Il lavoro riproduttivo di Silvia Federici: continuità o rottura con il marxismo?

Il lavoro riproduttivo di Silvia Federici:

continuità o rottura con il marxismo?

 

 

di Gustavo Machado*

 

Con la pubblicazione di questo saggio, già comparso sulla nostra rivista teorica Trotskismo oggi, continuiamo il confronto critico con le principali correnti femministe. Dopo la questione del patriarcato (si vedano gli articoli di Laura Sguazzabia), analizziamo ora la tematica del lavoro riproduttivo. In questo articolo, Machado passa in rassegna le principali teorie di Silvia Federici, dimostrando che si basano su un’interpretazione errata di Marx (FS).

 

In questo articolo faremo un'analisi critica dei libri di Silvia Federici: Il patriarcato del salario. Critiche femministe al marxismo e anche: Caliban e la Strega: donne, corpo e accumulazione primitiva. L'obiettivo, tuttavia, non è quello di affrontare tutti gli aspetti contenuti in tali opere, ma il loro rapporto con il pensiero di Marx. Nonostante ciò, è importante sottolineare che non perderemo tempo a dimostrare che l'elaborazione di Silvia Federici non corrisponde a quella presentata da Marx nel Capitale.
Alla fine, l'autrice ne è pienamente consapevole. La sua lettura cerca consapevolmente di riformulare alcuni aspetti centrali dell'opera principale di Marx, perché non sarebbero corretti. Questi aspetti avrebbero come nucleo centrale quello che l'autrice chiama lavoro riproduttivo. Però, Federici non intende scartare totalmente l'opera di Marx, anzi, presuppone che, almeno in alcune delle sue linee fondamentali, il Capitale sia un valido punto di partenza, ma che debba essere riformulato in quello che considera il suo principale errore: il ruolo del lavoro domestico all'interno della società capitalista come autentico prodotto di questa forma sociale e da essa promosso.
Quello che cercheremo di dimostrare, in questo articolo, è che, alla luce degli obiettivi di Marx nel Capitale, tutte le riformulazioni e i cambiamenti proposti da Federici sono privi di significato. È importante, tuttavia, che diamo un’avvertenza prima di andare avanti. Il nostro obiettivo non è, in nessun senso, negare l'oppressione delle donne in relazione ai temi di quello che Federici chiama lavoro riproduttivo e domestico. È un fatto indiscutibile e della massima importanza che le donne subiscano una brutale oppressione nella sfera domestica nella società capitalista. Ciò non significa, ovviamente, che qualsiasi elaborazione che abbia come obiettivo tali temi debba essere approvata. Prendiamo come esempio proprio il caso di Marx. La sua teoria sorge proprio per combattere diverse idee socialiste che riconoscevano e denunciavano la condizione di sfruttamento dei lavoratori. Però, fraintendo la forma e la natura di questo sfruttamento, indicavano vie d’uscita altrettanto errate. È esclusivamente in questo quadro che vanno comprese le critiche che seguono all'elaborazione di Silvia Federici.
Ci sono quindi alcuni commenti preliminari sul Capitale di Marx in modo da valutare in che misura gli elementi proposti dall'autrice italiana siano validi.

 

Cosa Marx cerca di realizzare nel Capitale

Una delle critiche comunemente rivolte al Capitale di Marx non è stata su quello che ha esaminato ed effettivamente analizzato nel suo lavoro, ma su quello che non ha analizzato. L'idea generale è la seguente: dato che è in analisi il modo di produzione capitalistico, tutto ciò che riguarda questo modo di produzione dovrebbe lì essere contenuto. Se così fosse, il lavoro di Marx sarebbe stato evidentemente impossibile.
Nel Capitale, Marx non è preoccupato di analizzare una particolare realtà, locale o nazionale. Non si dedica all'Inghilterra o alla Francia del XIX secolo, o a qualche altro caso. La sua analisi ha una preoccupazione più ampia: spiegare gli aspetti necessari del modo di produzione capitalistico, presenti ovunque e in ogni momento in cui questo modo di produzione domina. Questi aspetti sono doppiamente importanti per un autore che ha come scopo della sua opera, e della sua vita, la distruzione di questo modo di produzione. Principalmente per due motivi.
Innanzitutto, perché tali aspetti, quando compaiono in ogni forma di società capitalistica, devono essere presi in considerazione in ogni analisi particolare. In secondo luogo, mostrano quali legami devono necessariamente essere sciolti se vogliamo distruggere questa forma di società. È perché il capitalismo si sviluppa sulla base di queste relazioni fondamentali e universali che si rende non solo possibile ma necessaria un'organizzazione socialista mondiale, con l'obiettivo di distruggere questo modo di produzione anch’esso mondiale, tenendo conto di tutte le particolarità quando applicato ad un particolare contesto, ma senza mai perdere di vista la base universale sulla quale si sviluppa ogni particolarità.
Facciamo un esempio. Marx nel Capitale si occupa di studiare e comprendere lo sfruttamento del lavoro nel capitalismo. In particolare il plusvalore. Che tipo di relazioni permettono al capitalista di ottenere lavoro in eccedenza dai lavoratori che impiega, anche supponendo che i capitalisti e i lavoratori siano sul mercato come persone giuridicamente libere, ognuno vendendo la propria merce per il suo valore? Come può nascere lo sfruttamento da uno scambio di equivalenti, un baratto tra valori uguali? La soluzione a questo problema chiarisce come funziona il capitalismo e si riproduce ovunque e in qualsiasi momento nel tempo.

È chiaro che la produzione di plusvalore sarà legata ad altre specificità locali e storicamente sviluppate per consentirne il pieno sviluppo. L'analisi di questi tratti specifici, ad esempio: la questione indigena e nera in Brasile, la divisione dei lavoratori in diverse nazionalità in diversi Paesi, sono ugualmente importanti. Ma per capire come tali aspetti influenzano le dinamiche della produzione di plusvalore, dobbiamo prima capire cos'è il plusvalore. Questo è il compito del Capitale: svelare la struttura generale e universale del modo di produzione capitalistico, in modo da servire come base per tutte le altre analisi di questo modo di produzione.
Vediamo solo alcune di queste categorie universali e necessarie che Marx sviluppa nel Libro I del Capitale:


Merce → Valore → Lavoro astratto → Denaro → Capitale → Classe lavoratrice e classe capitalista → Processo di valorizzazione del valore → Plusvalore assoluto → Cooperazione industriale → Plusvalore relativo → Forma di salario → Accumulazione di capitale → Esercito industriale di riserva e così via.

Secondo voi, queste categorie devono essere aggregate con quelle del lavoro riproduttivo? Questo è quello che sostiene Silvia Federici. Vediamo in cosa consiste la sua argomentazione.

 

Il Capitale a pezzi

La tesi di Silvia Federici è la seguente: Marx ha trattato solo della separazione dei contadini dalla terra, della loro separazione dai mezzi di produzione, rendendoli in grado di vendere la loro forza lavoro come merce, ma non avrebbe visto un altro aspetto della questione: il lavoro riproduttivo. Quest'ultimo riguarda il lavoro di produzione e riproduzione della forza lavoro, svolto in ambito domestico attraverso il lavoro non salariato prevalentemente femminile. In linea generale, Marx avrebbe ignorato il lavoro che permette alla classe operaia di riprodursi in quanto tale, nel senso di ciò che avviene quando gli operai tornano a casa dopo essere stati consumati nelle fabbriche o negli uffici. Non sarebbe qualcosa di pre-capitalistico, ma uno sviluppo specifico della società capitalistica, non ancora pienamente sviluppata ai tempi di Marx, quando il lavoro domestico e la famiglia nucleare erano incipienti, poco sviluppati.
Questa critica di Federici è corretta? Per avere maggiore chiarezza a questo proposito, faremo alcune considerazioni sul modo in cui interpreta e analizza il lavoro principale di Marx.
È importante essere chiari sul fatto che Marx non va in giro a creare concetti di qualsiasi tipo. Quando analizza ed espone il plusvalore o l'accumulazione di capitale, Marx non crea assolutamente tali concetti. Ciò che fa è tradurre concettualmente alcuni tipi di relazioni reali e necessarie che si svolgono all'interno del modo di produzione capitalistico. Pertanto, i concetti non sono una scelta della nostra mente, ma sono definiti all'interno di questo modo di produzione. Ma in tutto il suo libro, l'autrice italiana non tiene conto di questi aspetti. Prima di cercare di capire questa connessione interna, prende l'opera a pezzi, senza collegare ciascuna delle sue parti, assumendole o scartandole per giustificare ciò che proporrà nella sequenza. Prendiamo un esempio di modellazione, in questo senso.
Nel suo libro Il patriarcato del salario. Critiche femministe al marxismo, dice Federici: «Se il lavoro riproduttivo può essere meccanizzato solo in parte, il programma di Marx per cui l'espansione della ricchezza materiale dipende dall'automazione e la conseguente riduzione del lavoro necessario, viene interrotto, perché il lavoro domestico e, soprattutto, la cura dei figli, costituiscono la maggior parte del lavoro su questo pianeta. Lo stesso concetto di lavoro socialmente necessario perde gran parte della sua forza di convinzione. Come possiamo definire il lavoro socialmente necessario quando il settore lavorativo più grande e indispensabile del mondo non è nemmeno riconosciuto come parte essenziale del concetto? E quali criteri e principi regolerebbero l'organizzazione del lavoro assistenziale, sessuale e procreativo quando queste attività non sono considerate parte del lavoro socialmente necessario?» (pag. 91).  
Come si vede, per Federici, il concetto di lavoro socialmente necessario come misura di valore perde molto della sua efficacia quando non si considera il lavoro riproduttivo, in quanto non terrebbe conto del più grande settore lavorativo del mondo. Tale settore sarebbe poco influenzato dall'automazione, oltre ad essere gratuito e, quindi, non valorizzato dal tempo di lavoro socialmente necessario. Questo concetto dovrebbe quindi essere riformulato o, forse, addirittura lasciato da parte.
Ma vediamo un po'. Di cosa parla esattamente Silvia Federici? Cos’è il tempo di lavoro socialmente necessario? Ebbene, è la misura del valore delle merci che si incontrano e si equiparano una all'altra sul mercato. La sua misura nasce dal fatto quando le merci messe a confronto le une con le altre, si riducono, in realtà a un'unica sostanza comune tra loro: il lavoro generico astratto misurato in unità di tempo. Seguendo l'argomentazione di Federici, il lavoro riproduttivo sarebbe il «produttore» della merce forza lavoro. Capita che l'autrice ignori il fatto che il valore delle merci non è determinato dal valore della forza lavoro. Questo è talmente vero che, nel Brasile coloniale, era possibile produrre beni per la società capitalista, il cui valore si misura in base al tempo di lavoro socialmente necessario, con il lavoro degli schiavi. Anche se Federici avesse ragione e la forza lavoro fosse prodotta dall'attività da lei denominata lavoro riproduttivo, ciò non altererebbe in nessun modo la misura del valore delle merci, per il semplice fatto che tale misura non è determinata dal valore della forza lavoro. Esaminiamo più attentamente la questione.
Quando Marx esamina la misura del valore delle merci nel Capitolo I del Capitale, la merce forza lavoro non è ancora emersa, apparirà solo nel Capitolo 4. E questo ha la sua ragione d'essere. Secondo l'esposizione di Marx, il valore della forza lavoro non interferisce affatto nella misura del valore delle merci, perché le merci possiedono questa misura in sé stesse, oggettivamente, secondo il tempo di lavoro socialmente necessario per produrle. Facciamo attenzione al fatto che la forza lavoro non costituisce l'immensità delle merci che il capitalista accumula come capitale. La forza lavoro è proprietà del lavoratore, è la sua capacità interna e materialmente inseparabile da lui. Il capitalista non compra dal lavoratore la proprietà della forza lavoro, ma il diritto di utilizzarla per un certo periodo di tempo. Il valore della forza lavoro non altera quindi in nulla l'elemento di misura dei valori delle merci, il tempo di lavoro socialmente necessario, il cui processo avviene indipendentemente dal valore della forza lavoro.
Ma Federici segue e commenta questa procedura espositiva di Marx? No. Mostra qualche equivoco nella dimostrazione della misura del valore delle merci? Assolutamente no. Allude solo al fatto che in questa misura è stata usata la parola «lavoro»: «tempo di lavoro socialmente necessario» e come Marx ha lasciato fuori uno di questi fondamentali tipi di «lavoro», il lavoro riproduttivo, e prosegue dicendo che la determinazione della misura del valore non è corretta. Ma Federici mostra come questo lavoro riproduttivo determina il valore delle merci? Non una sola riga a questo proposito.
Succede che chi definisce cosa sia il lavoro nel modo di produzione capitalistico non è la testa di Marx o di chiunque altro, ma il modo di produzione capitalistico stesso. Non è una nostra scelta. Lì, il lavoro, quello che valorizza il valore del singolo capitalista, è il consumo della forza lavoro nel processo di produzione delle merci. Non è la spesa generica dell'energia, non è la realizzazione di qualche attività, né quanto tale attività sia importante per il capitale stesso. Ma Federici risponde a questa questione in modo un po' strano. Lei dice: «Va sottolineato che, affermando che il lavoro che svolgiamo in casa nostra è produzione capitalistica, non esprimiamo il desiderio che esso sia legittimato come parte delle “forze produttive”. In altre parole, non è un ricorso al moralismo. Solo dal punto di vista capitalistico, essere produttivi è una virtù morale, addirittura un imperativo morale. Dal punto di vista della classe lavoratrice, essere produttivi significa semplicemente essere sfruttato» (pp. 32-33).
Confessiamo che increduli abbiamo letto più volte questo passo. Il soggettivismo che lo domina, e in tanti altri passaggi, è sorprendente. Dice che non «ha il desiderio» di legittimare il lavoro riproduttivo come parte delle forze produttive. Ma non sono i desideri di Silvia Federici che ci interessano. Vogliamo sapere come e in che modo il lavoro riproduttivo si presenta oggettivamente come lavoro per il capitale e lo valorizza. Ma lei chiama questa procedura «moralismo». Cosa? Significa che l'accumulazione di capitale non esiste? Che è un mero prodotto morale del capitalismo? Nella frase che segue, diventa un po' più chiaro, per quanto possibile, ciò che passa per la mente della nostra autrice. Far parte delle forze produttive è un'analisi «dal punto di vista capitalistico». È interessata al «punto di vista della classe operaia». Questo procedimento può anche sembrare molto rivoluzionario, ma è proprio il contrario. Vediamo un po'.
È certamente possibile vedere la forma sociale in cui viviamo dal «punto di vista della classe capitalista» e anche «dal punto di vista della classe operaia». Ma non si tratta, in alcun modo, di un'analisi soggettiva del processo visto da due diversi punti di vista. Per Marx, «il punto di vista della classe lavoratrice» è quello che permette di vedere la società capitalista nel suo insieme, senza coprirne una sola parte, poiché la classe lavoratrice non ha nulla da nascondere rispetto alla posizione che occupa oggettivamente. Il «punto di vista del capitalista», invece, vede il processo unicamente dal punto di vista della circolazione delle merci, sfera superficiale della valorizzazione del capitale, sfera in cui esso agisce come agente diretto nella ricerca infinita della valorizzazione del suo capitale. Ma per Federici la situazione è ben diversa. Il «punto di vista del capitalista» è una parte del processo. Il «punto di vista della classe lavoratrice» è un altro pezzo. La scienza che si propone di fare è quella che prende il pezzo che le interessa e che la soddisfa, considerando i suoi interessi soggettivi.
Dal punto di vista di Federici, «essere produttivi significa semplicemente essere sfruttati», perché far parte delle «forze produttive» è il pezzo che corrisponde al punto di vista capitalistico. Con questa stranissima procedura, l'autrice getta nella spazzatura l'intera analisi di Marx sul funzionamento interno della società capitalista e conserva qualcosa di assolutamente generico: essere sfruttato, cosa che non basta nemmeno a distinguere il lavoratore salariato da uno schiavo o da un servo. Da questo punto lei parte per la sua analisi specifica del lavoro riproduttivo, scollegata da qualsiasi aspetto determinato della forma di società che si propone di analizzare.

 

Infine, il lavoro riproduttivo

Da parte nostra, e seguendo la prospettiva di Marx, che comprende l'intera società e non appena un pezzo come se fosse «il punto di vista della classe lavoratrice», la nozione di lavoro riproduttivo è sbagliata rispetto a due motivi principali:

  1. non è lavoro
  2. non è riproduttivo.

Vediamo, prima di tutto, il fatto che il lavoro riproduttivo non è lavoro nella funzione specifica che svolge all'interno di una società capitalista. In questa forma di società, il lavoro è il consumo della forza lavoro che può essere venduta apertamente sul mercato in quanto tale. Senza il consumo di forza lavoro non c'è valore, non c'è plusvalore, non c'è accumulazione di capitale e tutto il resto. Detto in questo modo, non si tratta di giudicare moralmente se questo è un bene o un male, quali attività sono più o meno importanti, ma di capire come funziona la società. Le attività più spregevoli per quanto riguarda il loro scopo, se vengono svolte sotto forma di consumo della forza lavoro venduta, sono, quindi, per il capitale, lavoro. Allo stesso modo, le attività più nobili e più rilevanti se sono svolte al di fuori di questo rapporto, per questo motivo, non sono lavoro da un punto di vista capitalistico.
Come abbiamo visto, quello che Federici chiama lavoro riproduttivo non viene venduto sul mercato, ma esercitato in modo opprimente nell’ambito domestico. È chiaro, quindi, che per trasformare tali attività in lavoro, Federici deve creare un concetto di lavoro che sia mero dispendio di fatica e di energie in una qualsiasi attività. Così facendo, toglie il carattere storico al concetto di lavoro e non lo considera nella sua forma capitalistica ma nella sua forma generica e a-storica. Ma succede che questo contraddice direttamente gli obiettivi dell'autrice: vuole dimostrare che il lavoro riproduttivo è il motore della società capitalista e una forma tipica di questo modo di produzione, ma per farlo ha bisogno di concettualizzare il lavoro in modo non-storico e generico. A tal punto che tale concetto di lavoro, così spogliato della sua specifica forma storica, potrebbe essere applicato alle attività di qualsiasi individuo in qualsiasi forma sociale del passato. Se consideriamo dal punto di vista del capitale e del capitalismo, resta da vedere che non esiste il lavoro domestico, se non quando si vende la propria forza lavoro come lavoratore/lavoratrice domestico.
Ma non è solo questo. Anche il lavoro riproduttivo di Federici non è riproduttivo. È impressionante come Silvia Federici discuta pagine e pagine sul fatto che il lavoro domestico non è salariato. E parla costantemente della dittatura del salariato. Ma si dimentica di commentare che il salario è esattamente la parte di capitale che garantisce la sussistenza della classe lavoratrice. Ancora più importante. Diversamente dal lavoro domestico, questa è la condizione necessaria che permette al lavoratore di sopravvivere in questa forma di società. Qualsiasi famiglia di lavoratori cessa di esistere senza il salario. Nel capitalismo, questa è la condizione necessaria per la sua sussistenza e, non senza ragione, «dal punto di vista del lavoratore», è l'elemento fondamentale da rivoluzionare, senza il quale non è concepibile alcuna trasformazione socialista. D'altra parte, il lavoro domestico non è una condizione necessaria per la riproduzione della forza lavoro dei lavoratori, ma una condizione contingente e, per questo motivo, non apparirebbe come una categoria specifica nel Capitale di Marx.
Per quali motivi, allora, Federici chiama questi compiti di lavoro riproduttivo? Lei utilizza il termine riproduttivo nel senso della riproduzione individuale del lavoratore, cioè «il complesso delle attività e delle relazioni attraverso le quali la nostra vita e il nostro lavoro si ricostituiscono quotidianamente» e non nel senso della riproduzione della forma di organizzazione sociale. Il termine lavoro, come abbiamo già analizzato, appare nel senso generico e astratto di spesa di energia e di cervello in un’attività qualsiasi. In entrambi i casi, lei astrae dalla forma sociale capitalista in cui si verificano tali attività. Attenzione! Federici, in ogni momento, cerca, con ragione, di indicare che questi elementi precedentemente indicati sono prodotti specifici e hanno un impatto diretto sulla società capitalista. Ma così facendo, astrae in modo contraddittorio l'aspetto sociale e storico del suo concetto di lavoro riproduttivo. Questo perché deve rimuovere esattamente il legame sociale che unisce gli individui all’insieme della società: l'acquisto e la vendita di forza lavoro pagata sotto forma di salario. Fa una condanna meramente morale del salario, «la dittatura del salariato», e non lo inserisce oggettivamente nelle sue categorie. Questo è il centro di tutta la confusione che si moltiplicherà in ogni pagina dei suoi libri.
Ebbene, in quel momento il lettore può chiederci: negando la categoria del lavoro riproduttivo, dove entrano in gioco i compiti domestici del lavoratore? Significa che non hanno alcuna rilevanza? Assolutamente no. Trattandosi di un'attività non pagata svolta in ambito domestico, riduce il valore della forza lavoro. Non è responsabile della sua riproduzione (ecco perché non è riproduttivo), ma interferisce con il suo valore. Non nel valore delle altre merci, ma unicamente nel valore della forza lavoro stessa. Il valore della forza lavoro, a sua volta, interferisce nella quota di ricchezza da distribuire tra lavoratori e capitalisti. Più alto è il valore della forza lavoro, minore è il plusvalore (o il profitto) e viceversa.
Detto questo, il lettore potrebbe ancora chiederci: ma se il lavoro domestico riduce il valore della forza lavoro, essendo un'attività gratuita svolta dalle donne in ambito domestico, non ne consegue che è qualcosa di importante nel momento in cui interviene nella quota di valore che il capitalista accumula sotto forma di capitale?
Certamente sì. Certamente il lavoro domestico interferisce sull’entità del plusvalore ed è quindi qualcosa di grande rilevanza. Succede che nel Capitale Marx non studia tutto ciò che è importante. Se così fosse, il compito di quest’opera sarebbe stato impossibile e ogni capitolo aprirebbe altre 1000 pagine su aspetti rilevanti e che interferiscono nell’accumulazione di capitale. La domanda è: il lavoro domestico è una condizione necessaria per l'accumulazione di capitale? Evidentemente no.
Il lavoratore vende la sua forza lavoro, ma è l’uso di questa forza che crea valore. Il capitalista come compratore di questa specifica merce, può in linea di principio consumarla come desidera ed estenderne il consumo oltre i limiti necessari per pagare la merce che ha acquistato. Cioè può estendere l'uso della forza lavoro al di là di quanto necessario per pagare il salario ed estrarne un surplus, il plusvalore. Quindi, qualunque sia il valore della forza lavoro, inferiore o superiore a seconda, ad esempio, del lavoro domestico, il capitalista può estendere la giornata lavorativa oltre quanto è necessario per il pagamento di questa forza lavoro e, quindi, ottenere un plusvalore e mettere in moto il processo di accumulazione del capitale. Non c’è nessun motivo per inserire la categoria di lavoro domestico nel Capitale già che non è una condizione necessaria per la sua riproduzione. E, infatti, Silvia Federici sostiene la rilevanza del lavoro domestico nella società capitalistica, la sua estensione e portata, il suo ruolo specificamente capitalistico e il suo sviluppo storico. Tuttavia, da nessuna parte dimostra che sia un elemento necessario per la riproduzione del capitale, né dimostra il suo vincolo diretto con il processo di riproduzione del capitale.
Lo stesso problema che abbiamo analizzato prima si propaga poi a diversi livelli nelle elaborazioni di Federici. Per esempio, la sua critica che Marx non ha affrontato il problema del lavoro domestico nel capitolo sull'accumulazione originaria. Ma, ciò che Marx cerca in questo famoso capitolo non sono tutti i processi storicamente specifici che hanno fatto parte della formazione del modo di produzione capitalistico. Marx non intende fare la storia della nascita del capitalismo in questo famoso capitolo. Cerca i suoi presupposti necessari, come già indicato dalle ricerche precedenti: la liberazione dei lavoratori da tutti i mezzi di produzione, da un lato e l’accumulazione al polo opposto. Questo processo presuppone l'espropriazione violenta da parte della massa dei lavoratori di tutti i mezzi di produzione. Insieme a questi processi analizzati da Marx potremmo certamente elencarne altri che si sono verificati durante il periodo di formazione del capitalismo. Questi processi potrebbero riempire decine e decine di nuovi libri. Ma Marx non è interessato a questo in quel momento della sua elaborazione scrittura. Cerca i presupposti necessari e non quelli storicamente contingenti. Proprio per questo motivo, la critica di Silvia Federici secondo cui Marx non ha analizzato il ruolo del lavoro domestico nell'emergere del capitalismo non è valida, perché lei non dimostra che sarebbe necessario inserirlo come momento necessario per la formazione del capitale.

 

L’importanza del dibattito

Perché questo dibattito è importante? Sarebbe una mera disputa concettuale senza alcuna rilevanza? Non è, definitivamente, il caso. Non è per mero preziosismo teorico che Marx cerca nel Capitale quelle relazioni necessarie nel processo di riproduzione del modo di produzione capitalistico. Tali relazioni necessarie sono quelle che devono essere riconfigurate se si vuole andare oltre il modo di produzione capitalistico, con i mali e le oppressioni che gli sono propri. Lasciando un po’ da parte la categoria di lavoro riproduttivo nel Capitale, la conclusione a cui siamo giunti non è che il problema sia minore. Il punto è che, se si vuole superare questa forma di società, la questione del lavoro domestico non può mai essere presa isolatamente e staccata dagli altri rapporti necessari e strutturali del capitale e del capitalismo. Non senza motivo, una delle principali parole d’ordine dell'Ail (Prima internazionale) è la «soppressione del lavoro salariato».
Notiamo che questo non rende meno importante la parola d'ordine «soppressione del lavoro domestico». Ma non autorizza, dal punto di vista della classe operaia e della distruzione della società capitalista, il suo uso isolato come asse e centro di intervento, perché da solo non porta invariabilmente alla necessità di distruggere questa forma di società. E questo collegamento del lavoro domestico alle determinazioni dell’acquisto e della vendita della forza lavoro non è un'opzione per i marxisti. È il capitalismo stesso che li collega oggettivamente, a seconda del modo in cui funziona e in cui è organizzato. Ma questo aspetto passa in secondo piano nell'analisi dell'autrice italiana, perché, secondo lei, non è suo desiderio fare questo collegamento.
Pensiamo, al contrario, che a prescindere dai nostri desideri, dobbiamo tenere conto della realtà così com'è, per definire i nostri interventi. Non è il caso di fare una scelta soggettiva su quale tipo di oppressione sia più importante: domestica o salariata. È il caso di capire come tutto questo si articola all'interno della forma di società in questione. In questa analisi vediamo che il lavoro salariato è una condizione necessaria per questo modo di produzione. Il lavoro domestico, a sua volta, destinato in modo opprimente alle donne, frammenta la classe lavoratrice: un polo che svolge il lavoro domestico e un altro che ne beneficia. Per questo combatterlo è fondamentale per l'unità di classe. Questa non è una conclusione morale e utilitaristica, ma oggettiva.
Il moralismo consiste nel cercare di combattere qualcosa perché sarebbe un «male in sé» senza comprendere le basi che lo rendono possibile e quindi le reali possibilità di distruggerlo. Se isoliamo il lavoro domestico, ci muoveremo comunque all'interno delle determinazioni contingenti del capitale - ciò che può essere astrattamente e ciò che può astrattamente non essere all'interno di questo modo di produzione - e mai nel campo rivoluzionario. In questo senso, invece di migliorare, ciò che Federici compie è una rottura con il marxismo, il suo programma, il suo scopo e i suoi mezzi.
È importante qui aprire una parentesi per approfondire la questione. Numerosi altri aspetti interferiscono con l’entità del valore della forza lavoro. Tutti questi aspetti sono rilevanti, devono essere presi in considerazione nell'intervento politico specifico delle organizzazioni marxiste, ma non vuol dire che fanno parte delle necessarie determinazioni del capitale, delle sue condizioni strutturali. Ad esempio, lo sviluppo storico e culturale di un determinato popolo determina o meno l'inserimento di determinati prodotti come necessità di consumo, causando un'enorme diversità nazionale di salari, che variano da Paese a Paese a seconda di tali necessità. Da ciò non deriva che la rivendicazione di un certo modello di consumo e di vita della classe lavoratrice (ad esempio, un modello di consumo brasiliano simile a quello europeo) sia, di per sé, una lotta per la distruzione della società capitalista. Allo stesso modo, i pregiudizi di ogni tipo tra settori della classe di diverse nazionalità e razze abbassano comunemente il valore della forza lavoro della classe lavoratrice in generale e dei settori oppressi con maggiore intensità. È la stessa situazione. Questo rende queste specifiche rivendicazioni una questione di vita o di morte per un'organizzazione marxista, ma in nessun modo una rivendicazione deve essere presa isolatamente, come se fosse di per sé anticapitalista, socialista e rivoluzionaria.

 

Una sintesi dei punti deboli dell'analisi di Federici

Per concludere, vorremmo essere molto sinceri sulle elaborazioni di Federici alle quali abbiamo avuto accesso. Hanno i seguenti problemi:

  • Non segue internamente gli argomenti di Marx che sono al centro della sua critica, ma li lascia fuori già all’inizio come corrispondenti alla fetta di realtà legata «al punto di vista del capitalista» o che semplicemente non è sua intenzione indagare questo o quell'aspetto. Ad esempio: come potrebbe il lavoro domestico interferire con il «tempo di lavoro socialmente necessario» per produrre le merci? Non c'è alcuno sviluppo in questo senso.
  • Ignora i punti centrali che pregiudicherebbero la sua tesi: come il ruolo del salario come condizione necessaria per la riproduzione della forza lavoro. Se tenesse conto di questo aspetto, come dimostrerebbe che la forza lavoro è prodotta e riprodotta dal lavoro domestico? Semplicemente ignora il ruolo dei salari nel modo di produzione capitalistico e si concentra unilateralmente sul fatto che essi servono come base per l'oppressione domestica.
  • Critica Marx per non aver affrontato diversi temi particolari nel Capitale, senza porsi come problema il motivo per cui dovrebbero essere trattati, tenendo presente i suoi obiettivi in quell’opera. Marx non ha cercato di scrivere un'opera megalomane che si occupasse di tutto ciò che riguarda il capitalismo, ma di studiare il capitalismo nel suo complesso.
  • Fa appello ripetutamente all'estensione quantitativa di un dato aspetto della realtà (come l'estensione del lavoro domestico) senza indagare in profondità il ruolo qualitativo che questo aspetto gioca nella realtà capitalistica. È come se l'estensione parlasse da sola ed eliminasse la necessità di esaminare la sua dimensione qualitativa.
  • Ricorrentemente utilizza l’artificio di appropriarsi di certe nozioni di Marx per dare fondamenta alla sua tesi. Però lo fa in forma a-storica. Ad esempio, riducendo il ruolo del lavoro nel capitalismo allo sfruttamento di un individuo su un altro, permettendo così di inquadrare il lavoro domestico in questo concetto reso astratto e a-storico.
  • Confonde la rilevanza empirica del tema con il suo ruolo in quanto determinazione necessaria del modo di produzione capitalista, quest’ultimo obiettivo di Marx nella sua opera.

Concludendo, crediamo che Federici rilevi in modo molto onesto il problema del lavoro domestico e abbia una sincera voglia di attaccarlo. Ma la sua soggettività impedisce, il più delle volte, un trattamento scientifico e oggettivo della questione. Il suo lavoro porta interessanti informazioni empiriche e storiche, ma queste sono contaminate dall'assenza di chiari criteri oggettivi nello sviluppo del tema e dalla propensione a raggiungere, a qualsiasi costo, determinate conclusioni. Non riteniamo che tale lavoro sia scientificamente serio e crediamo che non aggiunga molto al tema e ai problemi che propone dal punto di vista dei concetti che riformula e critica.
La grande difficoltà nell'affrontare il suo lavoro è che l’esplicitazione della sua debolezza concettuale può far sembrare che il problema da lei posto non sia molto rilevante. Dobbiamo avvertire che non è così. Il problema che affronta è di grande importanza, ma il modo in cui lo affronta è teoricamente fragile, senza criteri oggettivi chiari, con una coerenza forgiata artificialmente inserendo nell'analisi solo gli elementi che le interessano, tenendo conto dei suoi obiettivi. Dal punto di vista della sua critica ai concetti scoperti e sviluppati da Marx nella sua opera principale, dobbiamo dire apertamente che la sua opera non ha assolutamente nulla da aggiungere.

 

*Pstu Brasile, redattore del blog Teoria e Revolução

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