Partito di Alternativa Comunista

Ancora una volta Parigi insorta!

Ancora una volta Parigi insorta!

Maggio Sessantotto: la rivoluzione fa tremare il capitalismo

 

 

 

di Francesco Ricci

 

 

Questo articolo è stato scritto qualche anno fa ma, avendo un taglio storico, ci sembra ancora attuale, specie in relazione alle gigantesche mobilitazioni dei lavoratori e dei giovani francesi di questi mesi.
Il senso della ripubblicazione non è individuare una identità tra il Maggio Sessantotto e i fatti attuali, piuttosto è quello di suggerire che, di là dalle differenze (il contesto internazionale, il peso dello stalinismo all'epoca imperante, ecc.), uguali rimangono gli ostacoli da superare (il ruolo delle direzioni burocratiche dei sindacati e dei partiti riformisti) e identico resta il problema da risolvere per sviluppare la lotta jusqu'au bout, come si diceva nel Maggio, cioè fino alla vittoria: costruire una direzione rivoluzionaria, internazionale, cioè un partito trotskista (FR).

Un sasso che manda in frantumi una finestra. È così che Bertolucci nel suo The dreamers (politicamente insulso, cinematograficamente emozionante) fa irrompere il Maggio francese nelle scene finali del film. Nella realtà un sasso ruppe col vetro anche le certezze della borghesia e dei suoi intellettuali che da mesi cantavano l'eterno ritornello della «fine della storia», della pacifica convivenza di padroni e operai «imborghesiti». Ancora solo poche settimane prima dei fatti che narreremo, gli accademici riuniti alla Sorbona celebravano il centocinquantesimo della nascita di Marx infilando il grande rivoluzionario sotto uno strato di naftalina in quantità tale da preservarlo, ben nascosto negli scaffali dell'erudizione, dal contatto con le masse. Ma le vere celebrazioni di Marx sarebbero arrivate subito dopo, nei boulevards nuovamente invasi dalle bandiere rosse.

 

Un'ondata internazionale

Prima di tornare sulla cronologia di quelle settimane converrà ricordare che non vi fu proprio nulla di «casuale» (come fu definito anni fa da alcuni giornalisti della stampa borghese) nel Maggio. Il Sessantotto fu un fatto internazionale, un'ondata gigantesca che sommerse il mondo, bagnando decine di Paesi. L'avvio lo provocarono le masse popolari vietnamite che nel gennaio di quell'anno, con l'offensiva del Tet, dimostravano (così come nel recente passato le resistenze in Iraq e Afghanistan) che anche il più potente esercito del pianeta può essere sconfitto. Nell'autunno precedente, l'Europa, come gli Stati Uniti, era stata attraversata da grandi manifestazioni contro la guerra. Italia, Giappone, passando per la «primavera di Praga» contro lo stalinismo, mobilitazioni in Brasile, il Maggio, e quindi la rivolta (e il massacro) degli studenti in Messico, proseguendo con l'autunno operaio (1969) in Italia per arrivare a metà degli anni Settanta alla rivoluzione in Portogallo (1).
Nulla di casuale, nulla di irripetibile. È dalla nascita del moderno proletariato (due secoli fa) che rivoluzioni - vittoriose o perdenti - si susseguono senza fine e così continuerà, finché la società capitalistica non sarà stata distrutta.

 

Le prime barricate del Maggio

Tutto inizia alla facoltà di Nanterre (sobborghi di Parigi) dove gli studenti sono in lotta per solidarietà con i loro compagni arrestati nelle precedenti manifestazioni contro la guerra del Vietnam. Così 142 studenti si costituiscono il 22 marzo in Movimento. Ma il mondo studentesco è in fermento da qualche tempo sia in relazione ai grandi temi internazionali (Vietnam) sia contro le riforme classiste dell'Università («piano Fouchet»). Bisogna aggiungere (in genere non lo si fa perché stona con la ricostruzione «studentesca» del Maggio) che anche il movimento operaio francese era già stato protagonista di importanti lotte nel 1967 contro la disoccupazione e la compressione dei salari. Lotte private dalla burocrazia sindacale di una prospettiva. I primi a muoversi, in effetti, erano stati proprio giovani operai, come quelli della Saviem di Caen (cinquemila lavoratori) che nel gennaio del Sessantotto occupavano la fabbrica contrastando la polizia a colpi di bastone.
Ma torniamo agli studenti che, cacciati da Nanterre, si spostano alla Sorbona (nel centro di Parigi). Il 3 maggio la polizia circonda e invade l'Università dove quattrocento studenti sono riuniti in assemblea e arresta diversi dirigenti. Di lì parte la concitata sequenza di manifestazioni, nuovi arresti, nuove manifestazioni e scontri, così ben descritta in un altro bel film, che unisce a una splendida fotografia in bianco e nero una pregevole rilettura drammatica di quelle giornate: Les amants réguliers di Philippe Garrel.
Nei giorni successivi le mobilitazioni si estendono a Tolosa, Lione, Marsiglia, Bordeaux... E il canto dell'Internazionale torna a risuonare nelle città francesi, per la prima volta dopo le giornate rivoluzionarie del 1936.
Il 10 maggio, dopo una giornata di cortei, gli scontri proseguono nella notte. Il Quartiere Latino (sulla rive gauche) si riempie di barricate in fiamme che gli studenti difendono con bastoni e molotov dalle cariche dei Crs (l'equivalente della «nostra» Celere). A quel punto, loro malgrado, le burocrazie sindacali di Cgt (egemonizzata dal Partito comunista francese, Pcf), Cfdt e Fo sono costrette a convocare lo sciopero generale, pur rinviandolo al giorno 13.
E il 13 di maggio un milione di manifestanti, studenti e operai uniti, invade Parigi e solo l'intervento del servizio d'ordine di Cgt e Pcf impedisce che si rompano gli argini del regime. Un ruolo importante è svolto dalle organizzazioni dell'estrema sinistra, tanto che al termine della manifestazione sindacale ne parte un'altra (al Campo di Marte) a cui partecipano venticinquemila persone, su iniziativa del Movimento 22 marzo, della Jcr (gruppo giovanile della sezione del Segretariato Unificato di Mandel e Maitan, l'antecedente dell'attuale Lcr e che allora si chiamava Partito comunista internazionalista, Pci), della Fer (altra organizzazione trotskista, detta «lambertista» dal nome del suo dirigente, Pierre Lambert) e di vari gruppi maoisti.

 

La fiammata operaia (i trotskisti provocano la scintilla)

Ma la scintilla che fa divampare il fuoco operaio parte il giorno dopo a Nantes (meno di trecentomila abitanti). Alla Sud Aviation (tremila operai) l'assemblea di fabbrica approva la proposta avanzata dai trotskisti (i lambertisti dirigono lì il sindacato Cft-Fo) di occupare la fabbrica. Il direttore viene sequestrato e la bandiera rossa issata sugli stabilimenti. È l'esempio che viene presto imitato dalle principali fabbriche del Paese: gli stabilimenti Renault di Cleon, Flins e soprattutto quello di Boulogne Billancourt (trentamila operai, storica fabbrica delle lotte del 1936). A Bordeaux entrano in sciopero i lavoratori dei cantieri navali e nei giorni seguenti, fabbrica per fabbrica, settore per settore, tutta la Francia.
Gli scontri tra manifestanti e polizia proseguono senza pausa. Il 24 maggio altri settecento arresti a Parigi. Le caserme di polizia sono impiegate per torturare e terrorizzare (Genova nel G8 non fu un'eccezione, come si vede). Ma la polizia può poco contro una mobilitazione di queste dimensioni e difatti interi reparti sono messi in fuga o si rifiutano di intervenire (quando invece di mani alzate al cielo si trovano di fronte alla autodifesa delle masse, le bande armate del Capitale non possono che indietreggiare).

 

Come spegnere l'incendio (arrivano gli stalinisti)

La borghesia trema di fronte agli operai che ora non sembrano così «imborghesiti» come li raccontavano i sociologi ammaestrati. Dieci milioni di scioperanti. Il governo gollista cerca una via d'uscita tentando la maniglia delle due porte d'emergenza che restano: la «concertazione» e la repressione frontale. La prima uscita di sicurezza è tentata con gli incontri del 25 e 26 maggio tra governo, padronato e sindacati, al Ministero degli Affari Sociali in rue de Grenelle. Il padronato e il suo governo sono disposti a fare una serie di concessioni, anche notevoli, in termini di salario e orario. Come sempre, quando ha il timore di perdere molto o tutto, la borghesia è disposta a concedere qualcosa. I burocrati sindacali sono pronti a fare la loro parte per spegnere un incendio che certo non hanno in nessun modo appiccato. La Cgt dichiara: «resta ancora molto da fare ma le rivendicazioni essenziali sono state accettate». Ma l'opinione dei lavoratori è diversa e a Billancourt, già il giorno dopo, gli «accordi di Grenelle» vengono sonoramente respinti.
De Gaulle verifica intanto l'apertura della seconda uscita di emergenza (la guerra civile, evocata da gran parte della stampa internazionale) e il 29 va in Germania in elicottero per incontrare il generale Massu (già distintosi nei massacri coloniali in Algeria) e verificare la disponibilità delle truppe a marciare su Parigi.
Sempre il 29 una nuova gigantesca manifestazione dei lavoratori e degli studenti paralizza la capitale. Lo slogan che risuona con più insistenza è «governo popolare» o, più esplicitamente, «potere dei lavoratori». Ma le burocrazie riformiste si guardano bene dal raccogliere e tradurre questa rivendicazione e Waldeck-Rochet (Pcf) dichiara: «Il governo deve essere battuto nella prossima consultazione elettorale, cui il nostro partito parteciperà con i suoi candidati e il suo programma».
È il via libera a De Gaulle che scioglie l'Assemblea nazionale e indice nuove elezioni. Un ritorno alle urne per rinnovare gli organismi della democrazia parlamentare borghese recuperandoli dall'orlo del precipizio su cui li ha spinti il proletariato.
Resta da risolvere il problema delle fabbriche che continuano a essere occupate. L'incarico è affidato anche in questo caso agli stalinisti che, in cambio di effimere concessioni dal governo, riescono a spezzare il fronte unitario della lotta e a smobilitare un settore per volta, partendo dai trasporti. Dove la persuasione delle burocrazie non basta, arrivano i fucili della polizia. Come alla Renault di Flins dove nella notte del 5 giugno la polizia circonda la fabbrica. Mentre il Pcf boicotta la manifestazione di solidarietà con gli operai ostacolando attraverso il sindacato dei trasporti la partenza dei manifestanti. Qualche giorno dopo, nel corso degli scontri, Gilles Tautin, un liceale, è ritrovato morto nella Senna. L'11 giugno è il turno di un altro bastione che resiste: la Peugeot di Sochaux, dove i Crs sparano e ammazzano un giovane operaio, Jacques Beylot, ferendone un'altra dozzina.
Mentre operai e studenti vengono uccisi, il Pcf avvia la campagna elettorale e Waldeck Rochet conclude un comizio chiarendo da quale parte stanno i riformisti: «Noi siamo il partito dell'ordine. Bisogna convincersi che non si arriverà al socialismo attraverso gli scontri di piazza». Quella sera stessa arriva la notizia che la polizia, negli scontri di piazza, ha ucciso un altro operaio, Henry Blanchet.
Essendosi assicurato la collaborazione del Pcf, il 12 giugno il governo proibisce ogni manifestazione e scioglie tutte le organizzazioni dell'estrema sinistra: a partire, chiaramente, da quelle trotskiste. Le elezioni, vinte dai gollisti con il 55%, saranno contraddistinte da una astensione massiccia e lo stesso Pcf (un partito del 20%) dimezzerà i propri seggi, avviandosi al suo declino. Le rivoluzioni non hanno mai avuto il sostegno delle urne a suffragio universale, dove votano oppressi e oppressori, la loro maggioranza la devono cercare negli organismi di lotta (i soviet), che nel Maggio non si costituirono.

 

Il canto del gallo francese soffocato dai riformisti

Ancora una volta il giorno della riscossa proletaria, come aveva preconizzato Marx, fu annunciato dal «canto del gallo francese». Come nel giugno del 1848, nella Comune del 1871, nella Parigi del 1936. Ma, anche stavolta, la coraggiosa iniziativa degli operai è stata privata dell'elemento decisivo: una direzione centralizzata, un partito comunista rivoluzionario. Al suo posto nel Maggio ci sono i riformisti, il Pcf stalinista. Una direzione che, attraverso il suo braccio burocratico nel sindacato, lavorò in ogni modo per tenere gli studenti divisi dagli operai; poi per contenere le manifestazioni; quindi per evitare che i comitati di sciopero delle singole fabbriche fossero eletti e revocabili (questo ruolo fu assunto direttamente dai funzionari sindacali) e potessero strutturarsi su base nazionale in una forma di tipo sovietico. Il Pcf lavorò insomma per dividere il proletariato e frammentare la classe operaia, inibendo così dall'inizio la costruzione di quegli organismi di potenziale potere operaio che, dopo una fase di dualismo di potere, in ogni rivoluzione sono destinati a scontrarsi con lo Stato borghese per stabilire chi comanda.
Mancava un partito comunista rivoluzionario con influenza di massa. Che non era rappresentato purtroppo nemmeno dalle organizzazioni che si richiamavano in qualche modo al trotskismo. Tutte organizzazioni che arrivarono al Maggio con uno scarso radicamento. Il Pci-Jcr di Alain Krivine (divenuta in seguito Lcr) contava all'epoca 150 militanti, con nessun insediamento operaio, e già soffriva di molte oscillazioni «centriste» tanto da anteporre l'astratta parola d'ordine della «autogestione» delle fabbriche all'obiettivo della costruzione e crescita di organismi di lotta di tipo sovietico, unico in grado di lastricare il percorso verso il potere operaio (che pure veniva enunciato nella propaganda ma privato di un'indicazione di percorso). I trotskisti «lambertisti» ebbero un ruolo fondamentale, come si è visto, nel produrre la scintilla che avviò l'occupazione delle fabbriche: ma non furono in grado di sviluppare questa prospettiva. Quanto al terzo gruppo trotskista, Voix Ouvrière, l'antecedente di Lutte Ouvrière, già allora era su posizioni «operaiste» ed era comunque piccola cosa (non paragonabile alle dimensioni raggiunte in seguito da Lo).
Pur con i loro limiti e le ridotte dimensioni, comunque, i partiti trotskisti ebbero un ruolo di primo piano, a conferma che un programma anti-riformista (in questo caso solo parzialmente corretto), in una situazione rivoluzionaria, può aprire la strada a un rovesciamento dei rapporti a sinistra tra riformisti e rivoluzionari.
Il Maggio resta per i lavoratori e i rivoluzionari una pagina da rievocare con orgoglio perché ha dimostrato la potenza immensa della classe operaia. Quegli avvenimenti di oltre cinquant'anni fa sono anche una fonte di insegnamenti. È solo quando i lavoratori agiscono in forma indipendente e contrapposta alla borghesia e ai suoi governi che possono strappare, con le lotte, anche significative conquiste immediate. Ma se la lotta non sfocia nella distruzione dello Stato borghese e nella conquista del potere, la borghesia si riprende con gli interessi nella fase successiva quanto è stata costretta a concedere. Ecco perché la questione delle questioni è quella di costruire un partito che abbia come scopo il governo operaio contro ogni imbroglio dei riformisti e contro il loro governismo che mira, anche quando è costretto all'opposizione (come oggi in Italia), alla collaborazione e dunque alla subordinazione di classe.
Costruire quel partito basato sull'indipendenza di classe, rivoluzionario, cioè trotskista, che mancò allora: ecco il compito dei lavoratori francesi e di ogni Paese. Perché il prossimo Maggio non ci trovi più impreparati e si possa arrivare fino in fondo.

 

Note

1) Sulla rivoluzione in Portogallo del '74-'75 rimandiamo al nostro articolo: «La più recente (e sconosciuta) tra le rivoluzioni europee»

https://www.partitodialternativacomunista.org/articoli/progetto-comunista/progetto-comunista-10/la-pi-recente-e-sconosciuta-tra-le-rivoluzioni-europee

2) «Le mani di Jeanne Marie: Sono diventate pallide, meravigliose / Sotto il gran sole carico d'amore, / Impugnando le canne di mitraglia / Attraverso Parigi insorta!». Sono versi che Rimbaud ha dedicato alla Comune di Parigi del 1871.

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