Sugli attentati di Hamas contro civili israeliani
Lo striscione del Pdac a una delle grandi manifestazioni pro Palestina
di Alejandro Iturbe
L’attuale situazione alla frontiera tra la Striscia di Gaza e Israele ha generato varie prese di posizione in tutto il mondo. Non è sorprendente che i governi dei Paesi imperialisti e di molti dei loro lacchè nazionali appoggino Israele «contro il terrorismo di Hamas». Ma è molto preoccupante che alcuni settori che si definiscono «di sinistra» e che appoggiano la causa della Palestina siano arrivati a porre un segno di uguaglianza tra le due parti del conflitto. Una posizione che, oltre ad essere sbagliata, favorisce chiaramente l’occupante israeliano.
Grande confusione a sinistra
È il caso di Guillermo Boulos, deputato e principale figura pubblica del Psol [partito riformista brasiliano, che ora appoggia il governo Lula, ndt] in Brasile. In una rivista recente, Boulos ha dichiarato che «la sua difesa dei diritti del popolo palestinese è nota». Tuttavia ha precisato: «ora condanno senza mezzi termini gli attacchi violenti ai civili, come quelli che hanno ucciso nelle ultime ore 250 israeliani e 232 palestinesi. Esprimo la mia solidarietà alle vittime e ai loro familiari». Il primo errore concettuale di Boulos è «dimenticare» l’origine di questo conflitto e, su questa base, porre un segno di uguaglianza tra il popolo palestinese e la popolazione israeliana. Nel 1948 Israele venne fondato sulla base dell’espulsione con metodi violenti, da parte del sionismo, di centinaia di migliaia di palestinesi dalle loro terre, con l’occupazione della maggior parte del territorio storico della Palestina. Lì, con l’appoggio dell’imperialismo statunitense, dell’Onu e della burocrazia stalinista, si è installata una popolazione ebrea trapiantata (una popolazione di «occupanti») che beneficia di questa situazione e, per questo, nella sua immensa maggioranza, la difende e l’appoggia. Dal 1948 Israele è andato aumentando il proprio territorio con l’appropriazione di territori palestinesi, occupati da immigrati ebrei.
Ci sono, chiaramente, alcune eccezioni all’appoggio massiccio della popolazione israeliana a questa situazione. È il caso del professore e storico Ilan Pappé, autore di numerosi libri contro questa situazione e che, per questo, è stato licenziato dal suo posto all’Università di Haifa e costretto ad andare in esilio in Gran Bretagna. Ma si tratta di casi individuali: la maggioranza della popolazione ebrea di Israele appoggia e difende la «guerra contro i palestinesi», e il governo di Benjamin Netanyahu che la porta avanti attualmente. È una conseguenza politica del suo carattere di «popolazione occupante e usurpatrice», cosciente del fatto che i propri privilegi provengono da questo.
Recentemente, prima degli ultimi avvenimenti, ci sono state mobilitazioni di settori della popolazione ebrea israeliana contro il governo di Netanyahu, con critiche alla sua politica verso i palestinesi. Per diverse ragioni, questi settori chiedono una politica di «pace e trattative». Ma queste «aspirazioni» partono dalla rivendicazione della situazione territoriale attuale: mantenere l’occupazione e l’usurpazione che ha significato la creazione dello Stato di Israele, fenomeno che dal 1948 è cresciuto.
Il popolo palestinese, da parte sua, ha subito l’espulsione violenta dalle sue terre e una parte importante è stata costretta all’esilio forzato. I palestinesi che sono rimasti nel territorio storico sono rimasti divisi in tre settori. Approssimativamente, 1,5 milioni vivono nell’attuale territorio israeliano come «cittadini di seconda categoria». Più di 3 milioni vivono in Cisgiordania, in condizioni di occupazione e controllo dell’esercito israeliano (con l’appoggio collaborazionista dell’Autorità nazionale palestinese) e permanentemente aggrediti dai coloni ebrei di origine russa, che li hanno espulsi dai loro quartieri a Gerusalemme e tolgono loro sempre più terre coltivabili. Più di 2 milioni vivono stipati e virtualmente rinchiusi nella stretta Striscia di Gaza, in condizioni sempre più difficili per i permanenti attacchi israeliani che distruggono ospedali e servizi pubblici. Non è casuale che questo territorio sia stato definito come «il campo di concentramento più grande del mondo».
Noi siamo «schierati»
A differenza di quanto «dimenticano» di fare Boulos e altri rappresentanti di organizzazioni «di sinistra», di fronte a un conflitto che si esprime militarmente dobbiamo farci una domanda molto semplice: chi è l’oppressore/aggressore e chi è l’oppresso/aggredito? Bisogna voltare completamente le spalle alla realtà per non vedere che, in questo conflitto, l’oppressore/aggressore è lo Stato di Israele e la popolazione israeliana che sfrutta questa situazione, e che l’oppresso/aggredito è il popolo palestinese che soffre questa realtà da decenni.
A partire dalla risposta a questa domanda, i comunisti si «schierano» in questa lotta: dalla parte del popolo palestinese contro Israele e la sua popolazione occupante. O, per dirla con le parole di Lenin: partecipiamo a quelle che egli chiamava «guerre giuste» degli oppressi contro gli oppressori. Lenin era pienamente cosciente del fatto che «ogni guerra porta, inevitabilmente, orrori, ferocia, calamità e sofferenze». In questo quadro, riteneva che ci fossero guerre che avevano un «carattere legittimo, progressivo e giusto di “difesa della nazione” o di “guerra difensiva”». Per lui, questo carattere «giusto» era «indipendente da chi avesse attaccato per primo».
Il punto centrale è la definizione delle parti in conflitto. A partire da lì, «i socialisti hanno una patria»: quella degli «oppressi e di chi è privato dei suoi diritti» contro «oppressori, schiavisti e sfruttatori». Solo partendo da questa definizione di base possiamo considerare altre questioni come il carattere della direzione della «guerra giusta» e delle sue azioni in questa. Nonostante dica di «difendere la causa palestinese», in questa lotta Boulos e tanti altri hanno scelto di «non avere patria»: oppressori e oppressi sono uguali, e le azioni di ogni schieramento nella guerra devono essere valutate con gli stessi parametri. In realtà, Boulos segue come un’ombra la posizione del governo borghese di Lula-Alckmin, in Brasile, che appoggia incondizionatamente.
Una lotta disuguale
Nel mentre «dimenticano» il carattere basilare del conflitto tra Israele e i palestinesi, Boulos e gli altri omettono un’altra questione fondamentale: il carattere totalmente disuguale delle forze in lotta. Israele possiede uno degli eserciti più forti del mondo, con armamento e tecnologia modernissimi, oltre ad avere l’appoggio incondizionato dell’imperialismo statunitense (al cui servizio agisce) e la complicità di molti altri governi del mondo (come è il caso del governo brasiliano). I palestinesi, con volontà ed eroismo, lottano e resistono nella forma in cui possono farlo: a volte, solo con pietre contro carri armati (come nelle Intifada), altre con attentati realizzati con materiali di fabbricazione artigianale.
Per questo, si riferisce solamente agli ultimi avvenimenti e non dice una parola sul fatto che, come risposta ai recenti attentati realizzati da Hamas, oltre ai bombardamenti, il governo israeliano ha disposto un «assedio totale» della Striscia di Gaza per lasciare «senza acqua, elettricità e cibo» la sua popolazione. È la stessa tattica che usarono i nazisti contro la rivolta della popolazione ebrea assediata nel Ghetto di Varsavia, nel 1943, prima di entrare e raderlo al suolo.
Il governo israeliano prepara qualcosa di simile: ha già convocato 300.000 riservisti (che si aggiungono ai 173.000 soldati in servizio attivo), come passo preliminare di una operazione militare su grande scala per invadere la Striscia di Gaza, massacrare la sua popolazione e assumere il controllo militare assoluto di questo territorio. Con la superbia dell’oppressore che si sente forte, Netanyahu ha dichiarato: «Siamo in guerra e vinceremo. Il nostro nemico pagherà un prezzo che non ha mai conosciuto».
Anche prima di questi ultimi fatti, la disuguaglianza in queste lotta si esprimeva nelle vittime di ciascuna parte. Nel 2021, un lavoro del sito di Statista («Il costo umano del conflitto israelo-palestinese»), basato su dati dell’Onu, informava sui morti e i feriti di ciascuna delle parti. La conclusione è che c’erano state 5.490 morti palestinesi e 252 israeliane.
Un paragone con l’Algeria
Boulos «ha condannato gli attacchi violenti contro civili [israeliani]» effettuati da Hamas. Fa appello a un argomento che hanno sempre utilizzato l’imperialismo e gli oppressori (che realizzano questi attacchi in modo permanente e in misura molto maggiore contro le masse popolari oppresse) quando una forza di resistenza si vede obbligata a compiere questo tipo di azioni. Vediamo l’esempio della guerra per l’indipendenza dell’Algeria.
L’Algeria è un Paese arabo del Nordafrica. Nel secolo XIX è stata colonizzata dai francesi. A partire dal XX secolo, migliaia di colonizzatori francesi si trasferirono in Algeria per sfruttare le piantagioni nelle pianure costiere e vivere nei quartieri migliori delle città algerine, beneficiando della confisca di terre e proprietà degli algerini realizzate dai governi francesi. Questi coloni europei erano chiamati pieds-noirs (piedi neri). Continuavano ad essere cittadini francesi, diritto che si negava agli algerini, che vivevano sempre peggio. I pied-noirs erano totalmente coscienti di qual era la base sulla quale si fondavano i loro privilegi e difendevano a fondo la situazione coloniale. Una situazione che ha molte somiglianze con quello che avviene nella Palestina occupata. Nel 1954 si formò il Flna (Fronte per la liberazione nazionale dell’Algeria) e il suo braccio militare, l’Eln (Esercito di liberazione nazionale), che iniziarono la lotta per l’indipendenza. La Francia rispose inviando 500.000 soldati che, inoltre, contavano sull’aviazione e i paracadutisti. Con l’aiuto delle bande armate dei pied noirs, bombardavano villaggi algerini e dopo entravano per arrestare, torturare o assassinare i loro abitanti.
I ribelli tentavano di compensare questa disuguaglianza con il morale dei combattenti e azioni di guerriglia e attentati a sorpresa. Tra 1957 e 1958, Flna ed Eln lanciarono la cosiddetta Battaglia di Algeri, un’offensiva di attacchi e attentati a obiettivi militari e civili francesi (inclusi caffè, negozi e scuole), nel tentativo di indebolire il morale dei coloni e avanzare nel controllo di alcune zone della capitale del Paese. Di fronte a questi attentati, l’imperialismo francese lanciò una campagna internazionale (alla quale fecero eco i grandi giornali) accusando Flna-Eln di «terrorismo crudele». È lo stesso argomento che utilizzano oggi i criminali sionisti, l’imperialismo e i loro agenti. La risposta di Ahmed Ben Bella (principale dirigente del Flna) di fronte a queste accuse fu la seguente: disse che se gli avessero dato la stessa quantità di aerei e armi che avevano le forze francesi la sua organizzazione si sarebbe impegnata a smettere di compiere attentati contro civili.
Da parte nostra, rivendichiamo un concetto esposto dal fondatore della Lit – Quarta Internazionale, Nahuel Moreno, nel 1985, analizzando il «terrorismo» palestinese (cioè le azioni contro la popolazione civile israeliana): «l’essenziale per noi è che questo terrorismo è prodotto della disperazione dei giovani palestinesi che vivono condizionali simili a quelle dei campi di concentramento nazisti».
Alcune considerazioni finali
Abbiamo affrontato il dibattito sulle azioni di Hamas a partire dalla considerazione fondamentale del cosiddetto conflitto israelo-palestinese e della sua radice (la creazione di Israele nel 1948). Dalla sua fondazione (1982), la Lega internazionale dei lavoratori – Quarta Internazionale ha sempre tenuto una posizione molto chiara in questa lotta: appoggia la lotta del popolo palestinese contro Israele. Era la continuazione delle elaborazioni della corrente morenista (e della maggioranza del trotskismo dell’epoca) dalla creazione stessa dello Stato di Israele e dalle successive guerre contro i Paesi arabi.
Questo appoggio si è concretizzato nella parola d’ordine «Per una Palestina laica e non razzista», che era l’asse centrale del programma fondato o dell’Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina) nel 1964, e che l’Olp cominciava ad abbandonare, per «seppellirla» definitivamente con gli Accordi di Oslo, nel 1993. Questo obiettivo è nel «cuore e nelle menti» del popolo palestinese, ora nella forma di «Per una Palestina libera dal fiume [Giordano] al mare [Mediterraneo]». È la parola d’ordine per chi lotta al fianco del popolo palestinese. Ma questo porta a scontrarsi con i dirigenti traditori dell’Olp e con i Paesi arabi e i governi e i regimi di questi Paesi che pure hanno abbandonato questa prospettiva e hanno sottoscritto la «pace» con Israele, riconoscendolo come «Stato legittimo».
Consideriamo che questo obiettivo può essere raggiunto solo a partire dalla sconfitta e dallo smantellamento dello Stato di Israele, la cui creazione è la radice del conflitto israelo-palestinese da decenni. A partire da questa concezione, abbiamo polemizzato con molti settori della sinistra che propongono la cosiddetta soluzione dei «due Stati» (uno israeliano e uno palestinese) esistenti fianco a fianco. Questa proposta è, in realtà, un adattamento del criterio usato dall’Onu e dall’imperialismo per creare Israele nel 1948.
Allo stesso tempo, con un’analisi marxista dei processi politici e sociali, affermiamo che non esiste nessuna possibilità di trasformare Israele e la sua popolazione ebrea da occupanti e usurpatori in «un’altra cosa» attraverso un «percorso pacifico» di «convincimento». La ragione è molto profonda: gli oppressori e gli usurpatori non consegnano mai i propri privilegi «con le buone». Lo faranno solo in seguito a una durissima lotta, degli sfruttati e degli oppressi, che li sconfigga. Chi, da sinistra, propone un «percorso pacifico» non fa altro che riproporre quel «pacifismo borghese» che Lenin criticò duramente.
Per questo, rivendichiamo il suo criterio (preso dal vecchio generale tedesco Carl von Clausewitz) secondo cui «la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi». Ogni lotta degli oppressi intro gli oppressori che si sviluppa porta, quasi inevitabilmente, a una guerra contro questi ultimi. E ogni guerra, anche le «guerre giuste», comporta l’utilizzo di metodi crudeli. Ancora di più se vengono combattute con una grande disuguaglianza di forze. Per questo, non «condanniamo» le azioni di Hamas. Le consideriamo azioni legittime in una guerra di resistenza e liberazione nazionale, che colpiscono e aiutano a demoralizzare il nemico, al fine della sua sconfitta.
Non è intento di questo articolo approfondire la caratterizzazione di Hamas e le differenze che la Lega internazionale dei lavoratori – Quarta Internazionale ha con questa organizzazione. Qui ci limitiamo a sottolineare la differenza essenziale: mentre la nostra proposta è «Palestina, laica, democratica e non razzista», Hamas si pone l’obiettivo di uno Stato palestinese islamico, simile a quello che c’è nell’Iran degli Ayatollah. Abbiamo approfondito questi aspetti in altri articoli (1).
D’altra parte, il suo governo nella Striscia di Gaza mantiene questo territorio (anche se con un criterio di «dittatura islamica») come l’unico territorio palestinese non controllato da Israele, a differenza della Cisgiordania, che è già di fatto un possedimento coloniale con la collaborazione dell’Anp. Per questo, Israele vuole sottomettere e radere al suolo Gaza attraverso bombardamenti e blocchi. E lo fa anche con la collaborazione di Paesi arabi come l’Egitto. Hamas viene perseguitata dall’imperialismo, al servizio dello Stato di Israele e della sua politica genocida, non per essere «terrorista», come dicono, né per essere una direzione fondamentalista religiosa. Il problema risiede nel fatto che mantiene nel suo programma la denuncia degli Accordi di Oslo. Per questo, chi si definisce di sinistra e critica le azioni di Hamas nella sua lotta contro Israele non fa altro che favorire lo Stato sionista e l’imperialismo che lo appoggia.
I compiti immediati per i socialisti sono molto chiari: appoggio incondizionato al popolo palestinese e alla sua lotta contro Israele, e difesa della Striscia di Gaza di fronte all’attacco genocida che prepara Israele. Tutto ciò che va contro questi compiti fa il gioco del nemico.
Note
(1) https://litci.org/es/algunas-polemicas-necesarias-alrededor-de-la-guerra-en-palestina/ [a breve in italiano sul nostro sito]