Partito di Alternativa Comunista

Il Brasile sta esplodendo

Il Brasile sta esplodendo
Si aprono scenari rivoluzionari
in uno dei più grandi Paesi del mondo
 
 
 
di Fabiana Stefanoni
 
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Il Brasile, uno dei più grandi Paesi del mondo, per anni indicato come la più dinamica e talentuosa tra le economie capitalistiche emergenti (i cosiddetti Brics), sta esplodendo. Paradossalmente, qui da noi quasi nessuno ne parla. La Farnesina prevede “un futuro di crescita”, pur ammettendo che “la ripresa sarà lenta”. Il rapporto redatto a maggio dall’ambasciata d’Italia in Brasile (1) ricorda il diario dello zar Nicola II che, alla vigilia della Rivoluzione, riportava solo i dettagli dei bagni al mare, dei giri in bicicletta e dei camiciotti color lampone del sovrano.
 
La crisi del governo Temer
Una delle testate giornalistiche che, in Italia, danno più spazio alla crisi brasiliana è, non a caso, il Sole24ore, che si preoccupa delle pesanti conseguenze “sui mercati finanziari internazionali” e sui profitti delle multinazionali. Come è noto, l’attuale presidente del Brasile, Michel Temer, è inquisito per corruzione: avrebbe autorizzato il pagamento di mazzette all’ex presidente della Camera, Eduardo Cunha, a sua volta indagato per un caso di tangenti. Entrambi, avevano costruito le loro fortune politiche approfittando di altri casi di corruzione analoghi, quelli che avevano coinvolto il precedente governo di Dilma Rousseff, e in particolare il suo mentore Ignazio Lula da Silva, indagato per aver ricevuto cospicui regali da colossi dell’imprenditoria brasiliana. Si tratta di casi di corruzione trasversali ai due schieramenti di centrodestra e centrosinistra, come dimostrano anche le recenti indagini (sempre per corruzione) a carico di 8 ministri del governo Temer e ben 73 parlamentari di entrambi gli schieramenti, più diversi governatori locali, per un totale di 108 politici borghesi indagati (2).
Essendo in Italia abituati a una rassegna quotidiana di ministri, viceministri, presidenti del consiglio (e loro famigliari), deputati, governatori indagati per simili vicende, forse non ci stupiamo più di tanto e tutto ciò ci appare una situazione “ordinaria”. La differenza sta nel fatto che l’America Latina è attraversata da un’ondata di mobilitazioni di massa che la sta letteralmente incendiando: in Paraguay il primo aprile una folla inferocita ha assaltato il parlamento dandogli fuoco; in Argentina ci sono scioperi e manifestazioni oceaniche contro il governo Macrì; in Venezuela le proteste di piazza contro le politiche di austerità del governo Maduro sono all’ordine del giorno (3).
E’ in questo quadro che gli scandali dei governi brasiliani hanno fatto da detonatore a un’esplosione sociale senza precedenti nella storia del Brasile: da molti mesi si respira un clima di forte ribellione, soprattutto nei settori operai che hanno subito un’amara delusione per il tradimento del PT, il Partito dei lavoratori di Lula e Dilma, che, forte inizialmente di un ampio sostegno operaio, ha governato per anni il Paese a tutto vantaggio delle multinazionali e della borghesia brasiliana. La classe operaia non si è lasciata però ingannare dal cambio di governo: con il centrodestra di Temer, che ha ulteriormente accentuato le politiche di tagli e privatizzazioni, le mobilitazioni e gli scioperi sono ripresi con più forza. Le lavoratrici e i lavoratori brasiliani non sono disposti ad accettare di essere governati da politici borghesi corrotti: nelle fabbriche, nelle strade, nelle piazze, persino sugli autobus e in metropolitana le conversazioni si concludono spesso con “Fora Temer!” (“Via Temer”, il presidente), esattamente come fino a poco tempo fa gli operai gridavano “Fora Dilma!” (“Via Dilma”). E’ il “Fora todos!” (“Se ne vadano tutti”) la parola che meglio rappresenta lo stato d’animo delle masse proletarie brasiliane. Parola d’ordine lanciata dal Pstu, la sezione brasiliana della Lit-Quarta Internazionale.
 
Lo straordinario risultato dello sciopero del 28 aprile…
Il clima sociale incandescente del Brasile ha fatto sì che il recente sciopero generale del 28 aprile sia stato definito, persino dalla stampa borghese, come il “il più grande sciopero generale della storia del Brasile”. La classe operaia vi ha aderito in modo consistente in tutti i suoi principali settori (per lo più, vale la pena ricordarlo, controllati da multinazionali straniere): metalmeccanico, chimico, tessile, manifatturiero, agroalimentare, agricolo, edile, ecc. Particolarmente significativo è stato lo sciopero nei trasporti (bus, treni, metropolitane), che si sono fermati quasi completamente in quasi tutto il Paese. Ovunque sono stati organizzati picchetti e blocchi stradali, a San Paolo è stato bloccato l’accesso all’aeroporto. Hanno inoltre scioperato in massa i lavoratori e le lavoratrici del commercio, della scuola e del settore educativo (pubblico e privato), della sanità, i bancari, i dipendenti del pubblico impiego. Hanno partecipato in modo attivo ai picchetti e alle manifestazioni i movimenti popolari, i disoccupati e i poveri delle periferie, i movimenti di neri e lgbts, le popolazioni indigene, gli studenti, i movimenti delle donne, i movimenti per il diritto alla casa, i “sem terra”.
L’aspetto più significativo di questo sciopero, al di là dell’altissima adesione – i telegiornali hanno parlato di almeno 40 milioni di scioperanti! – è un aspetto, guarda caso, occultato dalla stampa italiana, inclusa quella “di sinistra”. La proposta di proclamare una giornata di sciopero generale, sostenuta fin da subito dal Pstu, è stata lanciata agli altri sindacati dalla Csp-Conlutas, un grande sindacato di base (che raggruppa milioni di lavoratrici, lavoratori, movimenti di lotta), tra i promotori della Rete sindacale internazionale di solidarietà e di lotta (4). Inizialmente, le burocrazie degli altri sindacati, tra cui la Cut (il sindacato di riferimento del Pt di Lula e Dilma, simile alla nostra Cgil) non erano favorevoli a proclamare lo sciopero: parlavano di “ondata reazionaria” e sostenevano – argomento che qui conosciamo bene, visto che anche i burocrati di casa nostra lo usano di frequente per difendere i loro privilegi – che “non c’erano le condizioni per proclamare uno sciopero generale”.
Ma, come accade quando la misura è colma e gli sfruttati non ne possono proprio più, la rabbia proletaria si è dimostrata più forte dei trucchi dei burocrati: gli operai e le operaie hanno fatto capire ai dirigenti sindacali che la loro indignazione era ben più forte di qualsiasi presunta “ondata reazionaria” e hanno fatto pressioni perché i loro sindacati proclamassero lo sciopero. E così è stato: i dirigenti di tutte le principali confederazioni sindacali burocratiche brasiliane sono stati infine costretti ad accogliere l’appello della Csp Conlutas. Uno scenario che ci appare per ora ben lontano dalla realtà italiana: difficilmente qui da noi un appello a scioperare proveniente dalla base verrebbe accolto dalle burocrazie (lo abbiamo costatato l’8 marzo con il rifiuto della Cgil di proclamare lo sciopero richiesto dai movimenti delle donne). Al contempo, ci dimostra come sia avanzato il livello della lotta di classe in Brasile… e ci indica che, quando i lavoratori cominciano a mobilitarsi, non c’è burocrazia che tenga.
 
…e ora sciopero generale di 48 ore e occupazione di Brasilia!
Il Pstu e la Csp Conlutas hanno deciso di rilanciare la mobilitazione. Mentre la maggioranza dei partiti della sinistra riformista, dal PT al Psol (un partito riformista elettoralista), sta cercando di sfruttare la crisi di governo per trarne qualche vantaggio elettorale (non a caso concentrano il loro intervento sulla richiesta di “nuove elezioni presidenziali”), il Pstu e la Csp Conlutas pensano che l’unica risposta alle esigenze e alla rabbia della classe lavoratrice siano la mobilitazione e della lotta rivoluzionaria. La Csp Conlutas ha lanciato un nuovo appello alle altre organizzazioni sindacali a proclamare un nuovo sciopero di 48 ore, con manifestazione a Brasilia (dove si trovano il Parlamento e il palazzo del governo). Le nuove parole d’ordine sono: sciopero generale di 48 ore! Manifestazione e occupazione di Brasilia! Se ne vada Temer e se ne vadano tutti i corrotti! Si tratta di rivendicazioni che corrispondono al sentimento delle masse, tanto più ora che, dopo i recenti scandali, Temer rifiuta di dimettersi.
Ad oggi, le burocrazie sindacali non hanno accolto l’appello a scioperare 48 ore, mentre si sono dette disponibili solo a partecipare alla manifestazione di Brasilia. La burocrazia preferisce contenere l’indignazione popolare anziché portarla alle sue logiche conseguenze: rovesciare il potere capitalistico, costruire un governo dei lavoratori e delle lavoratrici basato sui consigli popolari (5). La Cut preferisce puntare su un nuovo governo borghese del corrotto Lula: un governo che, come il precedente, potrebbe garantire affari d’oro alle multinazionali e, al contempo, buone rendite alla burocrazia della Cut. 
 
Una postilla necessaria (sul presunto “golpe”)
Chi scrive ha avuto la fortuna, durante frequenti viaggi per incontri politici in Brasile, di assistere coi propri occhi alle dinamiche di cui sta parlando, constatando di persona la rabbia popolare prima contro il governo Dilma, ora contro il governo Temer. Dovrebbe essere semplice, per chi si definisce rivoluzionario, capire da che parte collocarsi di fronte ad una situazione politica di questo tipo. Se un governo borghese, nel capitalismo, attacca la classe lavoratrice e quest’ultima si mobilita indignata contro i suoi attacchi, il rivoluzionario dovrebbe – ci pare – capire piuttosto rapidamente che deve schierarsi dalla parte della classe lavoratrice. Questo indipendentemente dal fatto che il governo sia un governo borghese di centrodestra o un governo borghese di centrosinistra.
Si sa, la realtà è complicata. Difficile, ad esempio, che se un governo di centrosinistra è in crisi, non ne approfittino anche le destre, cercando di cavalcare l’indignazione popolare. E cosa dovrebbero fare a questo punto i rivoluzionari? Forse rinunciare a lottare contro il governo borghese di centrosinistra per evitare di “fare il gioco delle destre”? Lo capirebbe anche un bambino: nossignori, i rivoluzionari devono promuovere la mobilitazione contro il governo, ovviamente contrapponendosi alla destra, ma senza mai schierarsi, né direttamente né indirettamente, a sostegno del governo borghese di centrosinistra! E’ quello che ha fatto il Pstu in Brasile fin dall’inizio, schierandosi dalla parte della classe operaia in lotta, promuovendo manifestazioni e iniziative di lotta in contrapposizione sia a quelle del governo sia a quelle delle destre.
Il governo di centrosinistra di Dilma, quando è entrato in crisi perdendo l’appoggio degli operai e delle masse – crisi accentuata da squallidi casi di corruzione – si è inventato la trovata del “golpe”. Bisogna ammettere che, come nella corruzione, anche in queste trovate i politici borghesi italiani la fanno da maestri. Fu, infatti, prima di Dilma e Lula, il nostro Silvio Berlusconi – con l’appoggio propagandistico di Libero, del Giornale e di opinionisti reazionari come Edward Luttwak -  a inventare la trovata del “golpe” e del “colpo di stato” per difendere la propria postazione al governo. Nelle linee generali, ciò che è successo al governo Dilma è molto simile a ciò che accadde al governo Berlusconi nel 2011: settori della borghesia e delle istituzioni borghesi, sfruttando l’indignazione popolare per il corrotto Berlusconi, hanno pensato bene di utilizzare una manovra istituzionale per disfarsi di una figura ormai scomoda e sostituirla con una inizialmente meno compromessa agli occhi delle masse, Mario Monti. Berlusconi gridò al “golpe” a al “colpo di Stato” con gli stessi argomenti di Lula e Dilma: si delegittimava il suo governo senza ricorre a nuove elezioni. Chi accettava la favola del golpe si poneva a difesa del governo Berlusconi.
L’impeachment che ha coinvolto il governo di Dilma è molto simile a ciò che successe in Italia nel 2011 (e non solo allora: sono numerosi da noi i casi di governi installati senza elezioni): una manovra istituzionale sostenuta da settori della borghesia funzionale a un cambio di governo all’interno dello stesso regime politico. Come Berlusconi, Dilma e Lula hanno gridato al “golpe” per chiedere sostegno al loro governo.
Va precisato che in America Latina utilizzare lo spauracchio del golpe è particolarmente fuori luogo: là le masse sanno bene cosa è un vero golpe, perché lo hanno vissuto: soldati per le strade, torture, migliaia di prigionieri, persecuzione delle organizzazioni del movimento operaio e sospensione della stessa democrazia borghese. Il presunto “golpe” contro Dilma non aveva nessuna di queste caratteristiche: è stato un tentativo truffaldino di convincere le masse a rinunciare alla lotta per difendere un governo che le ha impoverite e derubate. Un inganno borghese, all’interno di scontri interborghesi, che nella nuova situazione appare persino grottesco: Temer e Cunha, i politici di destra che in teoria dovevano essere gli ideatori del “golpe”, subiscono la stessa medesima sorte di Dilma e Lula!
Eppure nell’inganno del “golpe” (o del “golpe bianco” cioè istituzionale) è caduta – più o meno opportunisticamente – gran parte della sinistra mondiale. Avallando questo inganno i riformisti hanno preso le difese del governo Dilma, tradendo la classe lavoratrice che quel governo aveva massacrato con politiche lacrime e sangue e che, indignata, gridava nelle fabbriche “Fora Dilma” (via Dilma). Anche alcuni sedicenti rivoluzionari, invocando il “pericolo delle destre”, hanno di fatto teorizzato la necessità di sospendere l’opposizione al governo. 
Siamo orgogliosi che il nostro partito fratello in Brasile, il Pstu, non abbia ceduto a queste menzogne, che si sia posto rigorosamente dalla parte delle masse proletarie in lotta contro i governi (prima di Dilma ora di Temer), in contrapposizione anche – ovviamente – alle manifestazioni delle destre. Troviamo vigliacco e vergognoso l’atteggiamento di chi ci accusa di “aver fatto il gioco delle destre”, esattamente come trovavamo vigliacco e vergognoso l’atteggiamento di chi in Italia ci chiedeva di sostenere il governo Prodi per “non fare il gioco di Berlusconi”. Lanciamo noi l’accusa: tutti coloro che hanno avallato la teoria del “golpe” in Brasile si sono schierati nei fatti dalla parte di un governo borghese e antioperaio facendo, così sì, gli interessi delle destre: lasciando cioè alle destre l’indignazione operaia e popolare.
E’ grazie all’atteggiamento coerentemente di classe del Pstu – senza cedimenti alla propaganda del “golpe” né a quella delle destre - che oggi il nostro partito brasiliano si è guadagnato credibilità tra le avanguardie operaie e di lotta e può vantare un ruolo riconosciuto e dirigente nel processo rivoluzionario in corso. I fatti ci stanno dando ragione. 
 
 
Note
(1) “Per quanto riguarda le prospettive economiche, vi è consenso che, nell’anno in corso, l’economia tornerà a crescere. La ripresa però sarà lenta” Fonte: www.infomercatiesteri.it/public/rapporti/r_38_brasile.pdf
(2) Le accuse di corruzione, riciclaggio, finanziamento illecito “coinvolgono 97 politici: 8 ministri attualmente in carica (Segretario generale della presidenza, Difesa, Scienza e Tecnologia, Agricoltura, Città, Esteri, Industria, Cultura),  61 parlamentari tra senatori (24) e deputati (37), 12 governatori e quattro ex presidenti della Repubblica, tra i quali Ferdinando Henrique Cardoso, Luiz Inacio Lula da Silva e Dilma Rousseff. Sono coinvolti l'intero vertice governativo e l'intero arco dei partiti. Non solo il PMDB e il PSDB che fanno parte della maggioranza, ma lo stesso PT che ha governato negli ultimi quindici anni. La lista raggiungerebbe i 108 nomi. Tra questi anche un giudice della Corte dei Conti. Ci sono altre 201 posizioni che restano al vaglio della Cassazione” (La Repubblica, 12 aprile 2017).
(3) Per avere un quadro generale su ciò che sta accadendo in America Latina, rimandiamo alla lettura di questo articolo di Eduardo Almeida del segretariato internazionale della Lit-Quarta Internazionale, pubblicato sul sito di Alternativa Comunista: www.alternativacomunista.it/content/view/2415/45/.
(4) Alla Rete sindacale internazionale aderiscono decine di sindacati e comitati di lotta di tutto il mondo, tra cui diversi sindacati di base italiani e il Fronte di Lotta No Austerity: www.frontedilottanoausterity.org/index.php?action=viewnews&news=1367082632
(5) Questo è l’obiettivo invece che si pone il Pstu: www.alternativacomunista.it/content/view/2426/1/.

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