Partito di Alternativa Comunista

Stellantis (ex Fiat): un’analisi di classe

Stellantis (ex Fiat): un’analisi di classe

 

 

 

 

Intervista a cura della Redazione web

 

 

 

La situazione delle fabbriche dell’automotive in Italia è drammatica. Ogni settimana giunge la notizia di una nuova chiusura o delocalizzazione, destinate a tramutarsi in centinaia di licenziamenti: oltre al caso della Marelli di Crevalcore di cui abbiamo già scritto in un precedente articolo - e per il quale si parla in questi giorni di assunzioni per soli 152 su 299 lavoratori (1) - ora è la volta dello stabilimento Marelli di Venaria (Torino), dove sono a rischio almeno 320 posti di lavoro (2).
È emblematica l’azione del gruppo Stellantis (ex Fiat) che, oltre a mettere in cassa integrazione gran parte degli operai del gruppo (da Mirafiori a Pomigliano fino alla Maserati di Modena), colpisce duramente gli attivisti sindacali combattivi, nel tentativo di prevenire azioni di lotta operaia: gli operai Delio (Cub, stabilmento di Cassino) e Francesca (Slai Cobas, stabilimento di Atessa) sono stati licenziati con motivi pretestuosi. La risposta operaia non si è fatta attendere: l’8 marzo, in occasione dello sciopero per la giornata internazionale dell'operaia, ad Atessa è stato organizzato un presidio davanti alla fabbrica con la presenza di una delegazione operaia dello stabilimento di Cassino. Anche i nostri militanti presenti nella fabbrica ne sono stati promotori e il nostro compagno Diego Bossi, operaio Pirelli, è intervenuto portando la solidarietà di tutto il Partito di Alternativa Comunista (3). La solidarietà a Francesca, donna e operaia licenziata alla vigilia dell’8 marzo, è stata gridata anche in altre piazze dell’8 marzo, ad esempio a Modena in uno degli interventi di apertura del corteo cittadino (4).
Riportiamo qui un’intervista a Roberto, militante dello Slai Cobas di Chieti e del PdAC, operaio Stellantis, che ci spiega la situazione degli stabilimenti del gruppo. Ripubblichiamo anche un articolo di approfondimento storico di Fabiana Stefanoni che ricostruisce alcuni dei momenti più importanti delle lotte operaie in Fiat dei decenni scorsi: gli scioperi degli anni Settanta culminati nell’occupazione di Mirafiori del 1973. È bene, infatti, non dimenticare che le lotte degli operai Fiat – insieme con quelle degli operai Pirelli, Fincantieri, ecc – hanno segnato le sorti del nostro Paese: una dimostrazione di forza operaia che dobbiamo ricordare oggi per contrastare quei burocrati sindacali che invitano gli operai alla rassegnazione e alla resa.

 

Prima di entrare più nello specifico dello stabilimento di Atessa, cosa puoi dirci della situazione generale del gruppo, alla luce delle recenti dichiarazioni di Tavares, che batte cassa al governo come il suo predecessore mentre gli stabilimenti italiani sono quasi tutti fermi (vedi cassa integrazione a Mirafiori, contro la quale gli operai hanno fatto anche degli scioperi, e alla Maserati di Modena)? E la transizione elettrica cosa comporterà per i lavoratori?

Innanzitutto sarebbe utile inquadrare la situazione finanziaria del gruppo Stellantis, anche per contestualizzare le parole di Tavares. Il 2023 è stato un anno da record per il colosso nato nel 2021 dalla fusione (!) tra Fca e Psa con ricavi per 189,5 miliardi di euro e un utile netto di 18,6 miliardi, dati in continua crescita da tre anni a questa parte. Cifre che sottolineano la solidità finanziaria del gruppo e la sua capacità di generare profitto per gli azionisti, ai quali saranno corrisposti 6,6 miliardi in dividendi. Le vendite hanno registrato aumenti a doppia cifra percentuale per quanto riguarda i veicoli elettrici e ibridi rispetto allo scorso anno, e le stime per il 2024 seguono lo stesso trend. Questi dati vanno letti in ottica globale e indicano una multinazionale presente in tutto il mondo che produce tanto e incassa tanto, ma, vista dalla prospettiva delle realtà nazionali, emergono le nefaste conseguenze, soprattutto sociali, della globalizzazione più spinta. Bisogna quindi ricordare, come abbiamo già fatto in molte occasioni, che i processi di fusione e acquisizione tra gruppi industriali hanno come scopo esclusivamente quello di ottimizzare le risorse ed appropriarsi di nuove fette di mercato per aumentare i profitti.
Nel caso in questione, la parte francese (Psa) ha acquisito la controparte italo-statunitense (Fca), soprattutto per entrare nel mercato nordamericano, il più redditizio, ed eliminare o quantomeno ridimensionare drasticamente un concorrente interno. Lo scambio è stato evidentemente impari: le redini sono tenute dai francesi, basta guardare il cda e le maggiori cariche dirigenziali, mentre la parte italiana, che poggia sulle ceneri della Fiat, ha perso ogni capacità decisionale e strategica. Del resto, proprio John Elkann, dopo aver ceduto Fca alla Peugeot ed essersi imbottito di miliardi, sentenziò con un laconico «non possiamo più occuparci dell’Italia».
Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. È in atto, ma il processo parte da molto lontano, lo smantellamento degli stabilimenti italiani, in nome di quell’ottimizzazione delle risorse cui accennavo prima, ovvero: spostare la produzione dove è più redditizia e dove ci sono pochi o nessun vincolo legislativo o ambientale: le nuove mete del gruppo sono il Nordafrica e l'Europa dell’est, dove gli stabilimenti hanno già raggiunto quote produttive considerevoli. È facile a questo punto per Tavares, con gli operai in cassa integrazione e le fabbriche ferme, minacciare di delocalizzare per ottenere fondi pubblici sotto forma di incentivi e la contrazione dei diritti dei lavoratori per operare indisturbato. D’altronde, la richiesta di fondi pubblici è una storia vecchia: si stima che, dal 1975 ad oggi,  prima Fiat, poi Fca ora Stellantis abbiano ricevuto 220 miliardi di euro in varie forme, tra cui incentivi, prepensionamenti, rottamazioni e finanziamenti per l’apertura di nuovi impianti. Per quanto riguarda la transizione elettrica, essa non ha nulla a che vedere con la questione ambientale perché guidata da logiche capitaliste; i reali motivi sono il bisogno di ricreare un mercato dell’auto ormai saturo e la riduzione della forza lavoro necessaria, per aumentare il profitto.

 

Lo stabilimento ex Sevel è al momento l'unico dell'orbita Stellantis che produce con una certa continuità in Italia. Anche qui, però, dopo l'acquisizione di Psa sono sorte perplessità circa il futuro dell' impianto, nonostante le rassicurazioni verbali di Tavares. Cosa è cambiato sotto la guida francese?

Lo stabilimento di Atessa produce da oltre 40 anni veicoli commerciali in modo continuativo e crescente grazie alla specificità del prodotto, ma soprattutto grazie alla dedizione e al sacrificio di migliaia di lavoratori. Con la nascita di Stellantis però l’impianto sta subendo la stessa sorte degli altri stabilimenti italiani, ossia è coinvolto nelle logiche competitive al ribasso che vede come uniche vittime i lavoratori. Per la prima volta la produzione dei veicoli commerciali è condivisa con un altro impianto, quello di Gliwice in Polonia, che precedentemente assemblava autovetture. Lo stabilimento polacco gode delle ultime tecnologie (robotizzazione) e di un regime fiscale agevolato, nonché di un costo della manodopera molto basso, a tutto vantaggio dello sfruttamento padronale. È chiaro che ora il metro di paragone è Gliwice, per cui il mantra di Tavares è quello del taglio dei costi che ha generato condizioni di lavoro sempre più estreme e ricadute pesantissime sui lavoratori delle aziende in appalto e dell’indotto, dalle imprese di pulizia ai produttori di componenti, ai quali il Ceo portoghese ha esplicitamente consigliato di trasferire la produzione nel più redditizio (per lui) polo polacco. In definitiva, oltre nefasto Ccsl, Tavares può contare sulla minaccia della delocalizzazione per imporre le sue condizioni ai lavoratori.

 

Come Slai Cobas siete promotori insieme ad Usb di una serie di lotte contro i ritmi e carichi di lavoro e contro provvedimenti disciplinari pretestuosi ai danni di lavoratori combattivi. Quali sono nello specifico i problemi sulle linee di montaggio?

Siamo da sempre promotori di lotte contro i ritmi e carichi di lavoro ovviamente perché necessarie a contrastare la volontà padronale di profitto a danno della salute e delle tasche della classe operaia. La stipula del Ccsl e le odierne strategie di Stellantis hanno inasprito la lotta; il taglio dei costi propugnato da Tavares si traduce in condizioni di lavoro sempre più difficili che minano la salute e la sicurezza dei lavoratori. Il lavoro su una linea meccanizzata prevede una scansione dei tempi e una analisi di movimenti e posture che, se non adeguatamente controllati, portano ad un aumento della velocità (più produzione ossia più profitto per il padrone) delle singole operazioni e rischi concreti di danni muscolo-scheletrici per i lavoratori. Noi ci battiamo contro le clausole capestro di un contratto di lavoro iniquo e contro chi le capeggia, direzioni sindacali firmatarie comprese.
Queste condizioni di lavoro esasperanti creano un clima di malcontento tra gli operai e tensioni sulle linee di produzione: la risposta padronale è la repressione del dissenso tramite contestazioni disciplinari pretestuose nei confronti di quei lavoratori combattivi che non abbassano la testa. Emblematici sono i recenti licenziamenti illegittimi e discriminatori comminati al compagno Delio della Flmu-Cub di Cassino e alla compagna Francesca dello Slai Cobas di Chieti, «rei» di svolgere una coerente e determinata attività sindacale. Una cosa è certa: difenderemo chi viene attaccato con tutti i mezzi possibili.

 

Credi che le lotte sindacali come le vostre possano essere estese e collegate con gli altri stabilimenti del gruppo? Sulla falsariga di quanto avete fatto con i compagni della Cub di Cassino, in presidio alla ex Sevel per denunciare le trasferte obbligate ai lavoratori.

Certo, le recenti contestazioni disciplinari, come anche i continui spostamenti di operai da uno stabilimento all’altro e le condizioni di lavoro in fabbrica rendono auspicabile e necessaria una risposta univoca dei lavoratori del gruppo; ci adopereremo perché ciò avvenga per contrastare le strategie di profitto e sfruttamento padronali.

 

Note

  1. https://www.partitodialternativacomunista.org/articoli/sindacato/marelli-di-crevalcore-non-si-svende-la-lotta. Qui le ultime novità, che confermano la nostra analisi: https://www.ilpost.it/2024/03/12/vendita-marelli-crevalcore/
  2. https://torinocronaca.it/news/cronaca/312582/si-spegne-anche-la-marelli-a-rischio-320-lavoratori.html
  3. https://fb.watch/qSG8qs3jSt/
  4. https://fb.watch/qSGfUIwBMN/

 

 

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