Lo spettro del cambiamento climatico
di Vincenzo Spagnolo*
Uno spettro si aggira per il mondo intero: lo spettro del cambiamento climatico. Vi si potrebbe (o meglio vi si dovrebbe) scrivere un manifesto che, almeno per lucidità di analisi e concretezza della soluzione proposta, si mostri all’altezza del Manifesto del Partito Comunista. Nei fatti, il manifesto del cambiamento climatico finirebbe col convergere perfettamente nell’opera di Marx ed Engels (contribuendo ad aggiornare delle parti, rafforzandone le conclusioni).
Allo stato attuale della discussione, infatti, non c’è papa, partito, scienziato, associazione, «persona della strada» che non abbia almeno una volta discusso di questo spettro. Eppure, come spesso accade nelle discussioni ad ampia partecipazione, c’è tanta confusione sotto il cielo. Da un lato, il fatto che un tema così complesso sia oggetto di ampio dibattito, ne evidenzia l’importanza percepita (oltre che reale). Allo stesso tempo, tutto ciò rende necessaria una grande opera di chiarezza, poiché la confusione peggiora una situazione già drammatica.
Di cosa stiamo parlando?
Il cambiamento climatico è un fenomeno complesso e, come tale, non può essere rappresentato come una semplice relazione di causa-effetto tra due ingredienti diversi che si incontrano per caso. Esso rappresenta l’esito dell’interazione di un insieme di variabili intrecciate tra loro, i cui effetti, a loro volta, ne producono altri, in una reazione a catena. L’analisi di un fenomeno complesso, pertanto, non può essere frutto di improvvisazione, specialmente quando si cerca di comprendere le direzioni future che esso si accinge ad intraprendere. È necessario un lavoro combinato e integrato di numerosi esperti, che richiede tempo per costruire modelli interpretativi validi. Va da sé che, in questo genere di situazioni, non sempre è possibile arrivare ad una risposta univoca e granitica, non nel breve periodo.
Più ipotesi, anche contrastanti, possono coesistere per un certo tempo, fino a che l’acquisizione di nuovi dati e/o il miglioramento delle tecniche di indagine non aiutano a perfezionare la comprensione complessiva del fenomeno. Fin qui è tutto normale e, sia chiaro, questo non vuol dire assolutamente ridurre la scienza a chiacchiere da bar, in cui un’opinione vale un’altra. La scienza vive di dubbi ma il rigore metodologico ne fa l’unico strumento valido per comprendere la realtà. Lasciamo ad altre istituzioni di dubbia utilità sociale la produzione e lo spaccio di solide certezze.
Lascia tuttavia un senso di perplessità la presa di posizione del World climate declaration (Wcd), in cui, una serie di intellettuali di tutto il mondo nega che un’emergenza climatica sia realmente in corso (1). I firmatari di questo documento fanno leva su alcune conoscenze geologiche (relative al clima del passato) e sulle incertezze e incongruenze (reali o presunte) dei modelli esistenti del cambiamento climatico attuale. Negando una relazione di causa-effetto tra aumento delle temperature e aumento delle catastrofi naturali, arrivano addirittura a millantare i presunti effetti positivi legati alla produzione di CO2 (ad esempio per l’agricoltura).
L’ambasciatore italiano della Wcd ha recentemente ribadito che «il Pianeta non è mai stato bene come adesso» (2), con grande gioia per la galassia che va dai populisti varicolori ai neofascisti di primato nazionale.
La scienza è neutra?
Non è questa la sede per entrare nel merito della questione scientifica sollevata dalle dichiarazioni del Wcd, vale però evidenziare l’importanza della questione politica del problema. Secondo i firmatari del Wcd la «scienza del clima dovrebbe essere meno politica, mentre le politiche del clima dovrebbero essere più scientifiche» (1).
In questo contesto, tale affermazione è inconsistente e contraddittoria. Da un lato, essa non riconosce il ruolo fondamentale della scienza (ossia la sua funzione sociale e pubblica), tacendone il possibile soggiogamento ad interessi privati (si vedano anche le affiliazioni di alcuni dei firmatari del Wcd). In sostanza, non esiste una vera libertà della scienza, o quantomeno, questa è fortemente limitata (3). Si è già avuto modo di mostrare altrove, invece, quanto la politica borghese sia interessata ad annichilire la ricerca scientifica (4).
Dall’altro lato, sottraendo la scienza alla sua funzione pubblica, i firmatari del Wcd (consapevolmente o meno) forniscono la stampella alla politica borghese. Se il mondo cambia (come è sempre stato) e se l’umanità si adatta al cambiamento (come ha sempre fatto), il problema del cambiamento climatico cessa di esistere: come buttare la polvere sotto il tappeto. Mentre una certa classe sociale cerca nuove opportunità di profitto sfruttando il cambiamento climatico, le classi e i popoli subalterni ne subiscono tutte le conseguenze (desertificazione, distruzioni, migrazioni climatiche). In altri termini, che sia o meno consapevole, la narrazione del Wcd è funzionale ad edulcorare la scala e l’intensità di un fenomeno distruttivo strettamente collegato con un certo tipo di sistema socio-economico, come una sorta di greenwashing all’ennesima potenza (5).
Esiste una reale soluzione al problema del cambiamento climatico?
La storia del pianeta è attraversata da cambiamenti climatici e conseguenti adattamenti ad essi. L’intensità, la scala e la frequenza dei fenomeni catastrofici in corso, tuttavia, ben poco hanno a che fare con i cambiamenti naturali. La «nuda carne» esposta sui fianchi delle colline squarciate dall’erosione è quasi una metafora vivente della fragilità della nostra società e dell’ambiente antropizzato di fronte a fenomeni climatici estremi. Eventi di tale portata innescano due interventi complementari: il soccorso concreto alle popolazioni colpite e l’analisi razionale di quel che è successo.
Il primo passaggio è la risposta immediata che serve per fronteggiare l’urgenza, limitando al massimo i danni: esso è fondamentale ma non sufficiente. Il momento dell’analisi, lungi dal diventare un esercizio fine a sé stesso per raccogliere lacrime da coccodrilli, serve a completare la funzione del soccorso, dandovi una prospettiva di più ampio respiro. Per trasformare un tampone temporaneo in una reale soluzione di lungo termine, è fondamentale la corretta identificazione delle cause di un certo problema, ma anche (e conseguentemente) l’applicazione dei rimedi più appropriati. In questo quadro, sono del tutto inutili le «soluzioni» che vorrebbero risolvere il problema mantenendo intatto o «riformando» il sistema capitalista (basato esclusivamente sul profitto) (6). Il problema climatico va risolto prima che sia troppo tardi e se i danni ambientali necessiteranno, probabilmente, di un lungo periodo per essere digeriti dal pianeta e rielaborati in nuovo equilibrio, solo una società socialista a produzione pianificata potrà garantire, al contempo, benessere sociale e «guarigione ambientale».
*Ricercatore universitario
Note
1) https://clintel.org/world-climate-declaration/
4) Spagnolo & Valenti, Università al collasso: tra precariato strutturale e industrializzazione della mente. Progetto Comunista, n 115, p. 7. https://www.partitodialternativacomunista.org/articoli/sindacato/universita-al-collasso-tra-precariato-strutturale-e-industrializzazione-della-mente
Spagnolo, Il precariato prende coscienza di sé. Nuove speranze di lotta di classe nell’Università. Progetto Comunista, n 119, p. 10. https://www.partitodialternativacomunista.org/politica/nazionale/il-precariato-prende-coscienza-di-se
5) Bossi, Nel capitalismo il «green» è «grey». Progetto Comunista, n 123, p. 11.
6) Biancofiore, L’unica via. L’ambiente, il clima e il mercato: stanno solo girando intorno. Progetto Comunista, n 119, p. 12. https://www.partitodialternativacomunista.org/politica/nazionale/l-ambiente-il-clima-e-il-mercato-stanno-solo-girando-intorno