Sciopero del 23 febbraio: il silenzio della direzione Cgil
(e delle sue aree critiche)
I militanti di Alternativa comunista iscritti alla Cgil
Da oltre quattro mesi lo Sato criminale sionista sta attuando una vera e propria aggressione genocida nei confronti del popolo palestinese. La brutalità delle azioni compiute dall’esercito di Israele sono sotto gli occhi di tutti: morti, feriti, dispersi e mutilati si contano a decine di migliaia, mentre oltre un milione e mezzo sono gli abitanti di Gaza sfollati dalle loro abitazioni. In realtà sarebbe più corretto definirli braccati, in quanto per loro non è possibile nessuna via di fuga, non c’è nessuna possibilità di trovare un luogo minimamente sicuro per scampare ai bombardamenti terroristici di Israele.
Al contempo, in questi mesi, come risposta alle brutalità di Israele, si è sviluppato un movimento di massa a livello mondiale per dire «no al genocidio» e reclamare la liberazione della Palestina dal giogo sionista.
Più passano i giorni e più la parola d’ordine «Per una Palestina laica, democratica, non razzista e libera dal mare al fiume» diventa popolare tra i milioni che si sono mobilitati dallo scorso autunno. Anche in Italia abbiamo assistito a una mobilitazione continua a sostegno della causa palestinese e contro l’azione di Israele e dei suoi supporter imperialisti, compreso quello del governo di Roma.
Questa settimana questa mobilitazione ha il suo culmine in due date: lo sciopero nazionale convocato per il 23 febbraio a sostegno della Resistenza palestinese e la manifestazione nazionale che si svolgerà a Milano sabato 24 febbraio.
Contribuire al successo di quelle due giornate di lotta è di importanza vitale, in primis per dimostrare ai palestinesi che la loro lotta è la lotta degli sfruttati e degli oppressi in ogni Paese, Italia compresa, e in secondo luogo per dire ai governanti di Tel Aviv che la loro politica genocida non potrà continuare impunemente.
Se la solidarietà attiva, popolare e di massa ai palestinesi si estende ogni giorno di più senza dare segni di cedimento, dobbiamo allo stesso tempo riscontrare come questo sentimento non alberghi nelle menti dei dirigenti del sindacalismo italiano, in particolare per quello che riguarda la Cgil.
Fin da subito il gruppo dirigente della Cgil ha sostenuto la versione ufficiale che descriveva l’azione del 7 ottobre come un brutale attacco terrorista contro civili inermi, quando invece si trattava di una legittima azione di resistenza contro uno Stato coloniale responsabile della cacciata di centinaia di migliaia di arabi dalle loro terre nel 1948, e successivamente di continue aggressioni agli arabi rimasti nei confini dello Stato sionista e dei Paesi confinanti. Non possiamo quindi stupirci che il sindacato di Landini non abbia dato il sostegno allo sciopero dei settori più combattivi e di avanguardia della diaspora palestinese in Italia.
Più sorprendente invece è, in merito alla richiesta dei palestinesi di proclamare sciopero il 23 febbraio, il silenzio delle due aree di minoranza della Cgil, Le Radici del sindacato (della quale siamo membri) e Le giornate di marzo (area sindacale legata al gruppo Sinistra Classe Rivoluzione). Attivarsi da subito per proclamare sciopero come richiesto dalle associazioni palestinesi avrebbe significato dare un sostegno concreto, non solo a parole, alla Resistenza palestinese: i palestinesi, giustamente, criticano l’atteggiamento di molte organizzazioni della sinistra sindacale e italiana che si limitano a esprimere una solidarietà di facciata. Come hanno fatto alcuni settori del sindacalismo di base (in alcuni casi su proposta dei nostri militanti, come nel caso dell’Allca Cub), dopo l’appello dei palestinesi per il 23 febbraio bisognava dimostrare, con i fatti, che si era disponibili a organizzare uno sciopero nelle realtà lavorative dove si è presenti (oltre che a partecipare alla importante manifestazione del 24 febbraio).
Crediamo che questo silenzio sullo sciopero non sia casuale. Al di là delle dichiarazioni di principio e ai proclami più o meno combattivi, l’attività di queste due componenti è subalterna alla battaglia negli organismi dirigenti sindacali, per questo esitano a chiamare i loro attivisti ad azioni che potrebbero compromettere le loro «postazioni» nell’apparato sindacale: proclamare sciopero quando la direzione Cgil non vuole sicuramente non favorisce il raggiungimento di ruoli direttivi (e posti da funzionario) nell’apparato.
Forse i dirigenti di queste componenti hanno letto l’appello a sostenere lo sciopero del 23 febbraio redatto dai Giovani Palestinesi d’Italia. È un testo che non fa sconti alla burocrazia Cgil, la inchioda alle sue responsabilità, storiche e recenti, e chiede di fare una chiara scelta di campo. È un urlo che mette ognuno di noi davanti alle proprie responsabilità. Squarcia la stanca retorica dei rituali sindacali in un modo che non si vedeva da tempo.
Davanti a un massacro che appare senza fine, quando il rischio di un genocidio palestinese è una possibilità sempre più concreta, non si può tergiversare e ragionare con lo spirito routinario del passato. Ecco forse spiegato il silenzio delle «aree critiche».
Per quello che ci compete facciamo nostro questo grido che chiama alla lotta. Sosteniamo lo sciopero del 23 febbraio e ci attiveremo per far sì che possa avere successo, a partire dai nostri luoghi di lavoro.