Partito di Alternativa Comunista

15N: come continuare la lotta contro la dittatura cubana di Ricardo Ayala e Asdrúbal Barboza

15N: come continuare la lotta contro la dittatura cubana

 

 

 

di Ricardo Ayala e Asdrúbal Barboza

 

 

Cuba dall'11 luglio sta attraversando un momento di grande effervescenza politica. Noi della Lega Internazionale dei Lavoratori (Lit), che siamo stati fin dall'inizio delle mobilitazioni a favore della lotta contro la dittatura a Cuba, prestando particolare attenzione ai prigionieri politici e dando visibilità alla brutale repressione portata avanti da Díaz-Canel (l’attuale presidente castrista di Cuba, ndt), ora vogliamo discutere questo processo con il movimento degli attivisti. Il nostro dialogo con gli attori di questo processo mira ad andare fino in fondo nella comprensione di ciò che sta accadendo sull'isola, i successi e gli errori dei movimenti sorti nell'ultimo periodo, per trovare il modo migliore per sviluppare questa lotta.

 

Una repressione brutale

La Marcia per i diritti civili non si è svolta. La dittatura cubana ha dimostrato, ancora una volta, di non rispettare alcun diritto alla libertà di espressione, di riunione o di manifestazione; al contrario, ha perseguitato, intimidito e criminalizzato i manifestanti con una campagna di terrore iniziata giorni prima della manifestazione. Il terrore di Stato, che da quattro mesi detiene 650 prigionieri politici per le manifestazioni dell'11 luglio, ha militarizzato le strade, perseguitato gli attivisti, arrestato i manifestanti e fatto sparire i coordinatori. In questo momento, mentre stiamo finendo di scrivere questo articolo, ci sono 72 prigionieri (alcuni dei quali desaparecidos) collegati alla manifestazione del 15 novembre. Daniela Rojo, coordinatrice di Arcipelago, è scomparsa per 5 giorni, rapita dallo Stato tra il 12 e il 17 novembre.
Inoltre si sono perpetrati i cosiddetti «atti di ripudio» (azioni incoraggiate dai rappresentanti del governo), piantonando le abitazioni degli organizzatori della manifestazione con veri e propri gruppi paramilitari fedeli al regime e decine di poliziotti. Azioni che non sono state promosse dagli abitanti dei quartieri, bensì da estranei che fanno parte dell'apparato governativo. L’inasprimento della repressione è stato il fattore determinante che ha impedito alla gente di scendere in piazza. Alcuni hanno cercato di rompere l'assedio della repressione, altri hanno manifestato dalle loro case. Ma questo è stato tutto quello che si è riusciti a fare.

 

Cosa teme la dittatura

La profonda crisi economica generata dalla restaurazione capitalista e dall'embargo imperialista, e rafforzata ulteriormente dalla pandemia di Covid-19, si è abbattuta sulla popolazione più povera dell'isola, che è stata ancora più colpita dal drastico pacchetto approvato dal governo il primo gennaio 2021, chiamato «Piano per l’ordine», chiaramente di carattere neoliberale. Sono stati questi cubani, poveri e neri, a scendere in piazza l'11 luglio. Questo è il settore che la dittatura teme di più.
Questa situazione è stata spiegata in articoli di diversi attivisti, come Jessica Domínguez Delgado (1): «La precaria situazione economica di un numero crescente di persone, la dollarizzazione dell'economia e il difficile accesso al cibo e ai beni di prima necessità - che dalla fine del 2019 sono commercializzati in valuta estera - hanno aumentato le disuguaglianze e sono state le principali cause dei disordini (…). Un anno e mezzo dopo, il cibo e i principali beni di prima necessità sono acquistabili quasi esclusivamente in valuta estera e sta aumentando il numero di servizi disponibili solo con questa valuta».
E nelle testimonianze, come quella di uno dei coordinatori di Arcipelago, Fernando Almeyda: «[ciò che] ha portato ai fatti dell'11 luglio (...) sono stati la pessima gestione sanitaria, la pessima gestione sociale, la pessima gestione economica, la fame, il bisogno e, oltre a questo, l'ostinazione di un popolo stanco di non essere ascoltato, stanco di chiedere cambiamenti, stanco di reclamare per Cuba la necessità di un'apertura politica, stanco di dire che il sistema non funziona, stanco di tutto». «Analizzando l'economia, la dollarizzazione ha distrutto il valore d'acquisto del “peso” cubano e ci ha reso dipendenti da una moneta straniera che non è generata a Cuba e che è monopolizzata dalle banche cubane. Monopolizzano i dollari che provengono dagli Stati Uniti (...). Qui, che tu sia povero o lavoratore, nessuno si preoccupa di quello che stai subendo. Gli effetti della terribile crisi colpiscono maggiormente la classe operaia che non ha nemmeno un posto dove morire, senza nessuno che la difenda. Sono questi settori quelli che subiscono le conseguenze della situazione».
Leonardo Manuel Fernández Otaño (giovane storico gesuita attivista che, al di là delle posizioni cattoliche, si batte per i diritti civili, ndt) presenta uno scenario simile: «Una popolazione che è stanca perché non riesce a trovare cibo, perché le vendono ciò che è basilare in euro, in dollari, in una moneta con cui non si lavora, con cui non riceve il suo stipendio. Ciò limita la capacità delle persone di vivere una vita dignitosa. Stiamo parlando di una popolazione che ha subito un “pacchetto” neoliberale perché questa manovra di riorganizzazione è un “pacchetto neoliberale” che ricade interamente su di loro. Tutti, nel vero senso della parola. Basta vedere che l'inflazione è del 6.900%, in altre parole, le famiglie, i genitori devono comprare un paio di scarpe per i loro figli a 2.000 pesos. Stiamo parlando della metà del loro salario. E come farà a mangiare quella famiglia durante la settimana? (…) L'11 luglio sono scese in strada migliaia di persone che non ce la facevano più, che non sapevano cosa fare, che non sapevano come arrivare al giorno dopo, perché le interruzioni di corrente non permettevano nemmeno di dormire. Che non hanno accesso a risorse economiche oneste e dignitose per sostenere i loro figli, la famiglia, che hanno visto anche parenti e amici gettarsi in mare perché non sapevano come sopravvivere. (…) le principali proteste sono avvenute nei quartieri più poveri di L’Avana, sono avvenute nei quartieri più poveri della città». «Quando il popolo cubano è sceso in piazza l’11 luglio è stato manipolato solo dalla fame e dalla frustrazione che ha accumulato per decenni. Non è necessario ipotizzare altre spiegazioni».
In breve, il peggioramento della situazione sociale, specialmente tra i settori più poveri, insieme all’aumento delle enormi difficoltà a procurarsi il cibo, è stato alla base dell’esplosione delle proteste, soprattutto nella gioventù nera delle periferie dell’Avana, che non vede prospettive.
La più grande paura della dittatura sono proprio le proteste e le manifestazioni dei più sfruttati, costretti dal governo in una condizione di vero e proprio apartheid economico. Sono proprio loro: le migliaia di cubani che hanno manifestato sul Malecon dell'Avana per protestare contro la scarsità di cibo e i prezzi elevati, in una delle più grandi manifestazioni antigovernative. Sono stati loro che, quando hanno visto la repressione, hanno reagito con le pietre. Hanno distrutto auto della polizia, sfondato vetrine di negozi di cambio di denaro, lottato con polizia in borghese e agenti di gruppi paramilitari affrontando i loro gas lacrimogeni, rispondendo con lanci di pietre contro la polizia.

«La popolazione è stata sempre pacifica. Ma quando sono iniziate le manganellate, quando sono intervenute le brigate (repressive) di pronto intervento, quando i proiettili sono stati sparati contro la popolazione, è stato allora che la popolazione ha risposto. Ci sono stati persino episodi di persone che assalivano i negozi di valuta liberamente convertibile. Io personalmente sono contrario all’esercizio di violenza, ma le cose vanno viste da un punto di vista sociale. Quando hanno bruciato quei negozi i cittadini hanno agito con odio contro un simbolo, perché vedono vetrine di dolci o di vestiti che i loro figli non possono avere, o un pezzo di carne che non possono comprare». Le persone che hanno dato sfogo alla propria rabbia invadendo i negozi sono quelle che non hanno accesso a quei beni o a quegli spazi.

 

L’imperialismo ha una politica e cerca di guadagnare il movimento e le sue organizzazioni

Cuba è un Paese capitalista, ma con un capitalismo debole, guidato dalla principale istituzione dello Stato - le Forze Armate - concentrate nel Gaesa (2) ed è per questo che tutto ciò si esprime nella società sotto forma di dittatura, perché deve contenere con la forza i mali sociali del capitalismo. La dittatura capitalista rivela le contraddizioni della restaurazione, la debolezza di una borghesia che ha bisogno dello Stato, a cui è legata, per svilupparsi - in alleanza con l'imperialismo europeo – e che deve resistere all'assalto della borghesia cubano-americana. Ma entrambi questi settori borghesi hanno la stessa strategia per Cuba: mantenere e sviluppare il capitalismo.
La borghesia cubano-americana vuole rompere le regole attuali che cercano di delimitare i modi di accumulazione del capitale sull'isola. Quindi, lo sfondo della lotta per le libertà democratiche è caratterizzato da questa la lotta politica nella Cuba capitalista per il controllo dell'apparato statale, in altre parole dalla contesa sulle condizioni in cui il capitale dovrà continuare ad accumularsi sull'isola.
Questo scontro si esprime nel «Consiglio per una transizione democratica a Cuba» (Ctdc), recentemente creato, che difende un programma democratico borghese contro la dittatura cubana. Insieme a questo, difende la restituzione delle proprietà confiscate alla borghesia di Miami e l'intervento economico imperialista. Il che non deve sorprendere, dato che è un'organizzazione borghese, sottomessa alla politica imperialista, sia nordamericana che europea, e intende trasformare Cuba in una colonia. Fa parte della stessa base sociale che ha sostenuto Batista, ma che ora cerca di apparire come una vera forza democratica che lotta contro la dittatura.
Hanno una strategia per conquistare gli attivisti che si sono sollevati l'11 luglio. I tanti giovani che stanno scendendo in piazza organizzano varie forme di resistenza contro la dittatura del Pcc (Partito comunista cubano), indignati da decenni di repressione e persecuzione. Se i militanti rivoluzionari non diventeranno l'avanguardia di questa lotta per rovesciare la dittatura, si rischia di lasciare questo processo nelle mani dell'imperialismo.
Per questo motivo, possiamo anche trovarci d’accordo contingentemente con alcuni appelli all’azione per le libertà democratiche con singoli attivisti legati al Ctdc, ma denunceremo in ogni momento la loro strategia borghese, al servizio della borghesia cubano-americana che vive a Miami e dell'imperialismo. Da questa contesa della direzione dipende il significato politico della lotta contro la dittatura e per le libertà democratiche, quella dittatura che impedisce l'organizzazione e la mobilitazione della classe operaia e di tutti coloro subiscono le conseguenze del capitalismo.
In una situazione diversa, le lotte democratiche contro le dittature staliniste in Ungheria nel 1956, in Cecoslovacchia nel 1968, e quelle più simili alle lotte di oggi contro le dittature del Mpla in Angola e del Frelimo in Mozambico, il discorso stalinista per mantenere la dittatura contro le masse popolari, che subivano il deterioramento delle condizioni di sopravvivenza, si concentrava sulla lotta all'imperialismo. Ma in Angola, i miliardari angolani del Mpla erano alleati dell’imperialismo per saccheggiare le risorse naturali del Paese che li arricchiva. E a Cuba i militari del Gaesa nascondono il fatto che sono mano nella mano con altri settori imperialisti nello sfruttamento del popolo cubano.
La verità è che ancora oggi l'imperialismo non ha alcun obiettivo reale di introdurre le libertà democratiche né di migliorare le condizioni di vita dei più poveri a Cuba. Non abbiamo bisogno di spiegare il sostegno e il finanziamento di molte dittature in tutto il mondo e persino gli interventi militari. Non ci hanno pensato due volte a sostenere la dittatura in Cina dopo il massacro delle manifestazioni in Piazza della Pace Celeste (Tiananmen), quando questo garantiva i loro investimenti in Cina
Settori dell'imperialismo statunitense, come Obama, difendono una collaborazione con il governo cubano, arraffando un pezzo di torta senza mettere in discussione il regime. Ma la politica statunitense rimane ostaggio della borghesia cubana e della sua ala più dura. Per questo motivo, saremo al fianco del popolo cubano contro la dittatura e contro l'imperialismo, poiché entrambi vogliono mantenere e approfondire lo sfruttamento della classe operaia.

 

La reazione stalinista e le organizzazioni di sinistra

Le reazioni delle organizzazioni staliniste nel mondo sono state timide, questo ha a che fare con la decadenza stessa della loro corrente e il ripudio che la classe operaia ha dei regimi dittatoriali. I neo stalinisti sono stati più cauti che in passato, poiché è molto impopolare difendere una dittatura che attacca i lavoratori e i più poveri. Purtroppo, alcune organizzazioni che affermavano di combattere lo stalinismo non si sono schierate con i manifestanti e, inconsapevolmente, sono diventate un mezzo per giustificare il governo.
Articoli come quello pubblicato da Frank García, prima del 15 novembre, che definiva la manifestazione come filo-imperialista, sono serviti a giustificare le azioni del governo contro i manifestanti, iniziate tre giorni prima della manifestazione stessa. Fuori da Cuba, i settori che sostengono il castrismo hanno usato quegli stessi testi per affermare che era legittimo manifestare. Lo stesso hanno fatto alcune organizzazioni che si dichiarano di sinistra, legate alla classe operaia e che difendono un «socialismo democratico».
Un errore importante, perché in questo momento è fondamentale unire le forze per rovesciare una dittatura. La lotta per le rivendicazioni democratiche non può essere lasciata nelle mani della borghesia e dell'imperialismo. È un grande errore non fare appello a mobilitarsi contro la dittatura, senza smettere ovviamente nemmeno un momento di denunciare l'imperialismo e le organizzazioni della borghesia.
La nostra proposta è di combattere la dittatura cubana all’interno di una strategia socialista e antimperialista. Vogliamo una nuova rivoluzione socialista, rinazionalizzando le aziende privatizzate, comprese quelle che sono nelle mani dell'imperialismo europeo e dei governanti castristi. A partire da lì, impostare una pianificazione economica sotto il controllo della classe operaia. Questa è la democrazia operaia che potrà guidare Cuba nella transizione verso il socialismo, con la partecipazione dei lavoratori in tutte le decisioni fondamentali e strategiche.La dittatura cubana non difende le conquiste della Rivoluzione, che non esistono più, ma, al contrario, sono è proprio la dittatura che sta portando avanti la restaurazione capitalista, un regime capitalista in cui i dirigenti politici guadagnano molto e difendono i loro privilegi, essendo alleati con le grandi aziende multinazionali europee.
Sostenere questa dittatura capitalista di derivazione stalinista significa rafforzare quella visione dei «campi progressisti» che includono Ortega in Nicaragua, Maduro in Venezuela e João Lourenço in Angola.
Il governo Díaz-Canel non è un governo socialista o di «sinistra», è un governo puramente militare, con una politica economica di destra, capitalista, che applica un piano neoliberale.

 

Le divisioni di Arcipelago

Arcipelago ha avuto il merito di mantenere la lotta contro la dittatura in continuità con l'11 luglio, ma settori filo-imperialisti al suo interno stanno cercando di innescare una dinamica che rischia di portare il movimento alla sconfitta, difendendo interessi che non sono quelli della classe operaia e della maggioranza della popolazione povera di Cuba.
Di fronte ai duri colpi della repressione, alcuni dei suoi principali portavoce hanno assunto posizioni ancora più pacifiste, come la «manifestazione solitaria» di Yunior García. Puntando così nella direzione di una ritirata e servendo ad indebolire la manifestazione del 15 novembre.
L'attuale fuga di García in Spagna, senza discuterne con nessuno all’interno del coordinamento del movimento, ma con, come minimo, il consenso della dittatura governativa, ha demoralizzato anche una parte dei combattenti rimasti sull'isola. Yunior ha reso evidente sia la sua posizione sociale, che si ritira di fronte agli scontri più duri, sia le sue alleanze con i settori borghesi, che, nei contenuti, hanno lo stesso progetto economico dei restauratori del governo e dei borghesi della Ctdc. La sua partecipazione al «Centro di studi sullo Stato di diritto» (3), la sua fuga e il suo incontro con politici di estrema destra dello Stato spagnolo, come il leader del Pp, segnano la tragica fine di questo leader, che il popolo cubano deve misconoscere.
Crediamo che la lotta che il popolo cubano ha davanti a sé è contro una dittatura feroce, pronta, come ha già dimostrato, ad ogni tipo di violenza. Perciò, è fondamentale preparare gli attivisti a questa situazione, e ciò sarà possibile solo se riusciremo a costruire una direzione alternativa basata sui settori più sfruttati del proletariato, facendo affidamento sull'auto-organizzazione della classe operaia nella lotta.

 

La nostra azione

La Lit-Quarta Internazionale ha sostenuto il 15 novembre e continuerà a portare la solidarietà a tutte le manifestazioni contro la dittatura, in difesa delle libertà democratiche e del miglioramento delle condizioni di vita della classe operaia nella prospettiva di una reale rivoluzione socialista. La nostra azione e quella delle nostre sezioni hanno dato un sostegno attivo. La nostra strategia di lotta contro le dittature e contro i governi dei padroni di tutte le sfumature è stata dimostrata in diversi Paesi d'America e d'Europa. Abbiamo avuto e abbiamo prigionieri politici per essere stati in prima linea in queste lotte, così come in scioperi operai di grande impatto. Anche grazie a noi oggi, a Cuba, si sa che esistono organizzazioni della sinistra rivoluzionaria che sostengono questo movimento e che esiste una direzione alternativa dalla parte dei lavoratori.
Rovesciare il governo Díaz-Canel e ottenere libertà democratiche, anche se limitate, rappresenterà un importante passo avanti rispetto alla dittatura che da decenni governa il Paese. Tuttavia, i problemi strutturali dei poveri e della classe operaia non si risolveranno solo con questo. Cuba ha bisogno di tornare sulla via della rivoluzione e del socialismo, quelli veri, a partire da una visione internazionalista della rivoluzione, che realmente riporti i grandi mezzi di produzione sotto il controllo delle masse popolari.
Solo i lavoratori e i giovani potranno condurre questa lotta incessante contro l'oppressione e lo sfruttamento, per condizioni di vita dignitose, contro la profonda disuguaglianza che esiste nel Paese.
Si sta costruendo una nuova avanguardia, che si è rafforzata nelle mobilitazioni dell'11 luglio e del 15 novembre, traendo insegnamento dalle lotte e dalle sconfitte. Sono questi giovani insieme ai settori più sfruttati come i lavoratori, le donne nere e Lgbti e tutti i settori delle periferie della città che devono costruire una vera alleanza.

Saremo fermi nel sostenere la costruzione dell'organizzazione di questi coraggiosi giovani e lavoratori di Cuba.

La lotta è solo all’inizio!

Libertà per i prigionieri politici a Cuba! Basta con la repressione!

Nessuna interferenza imperialista!

Abbasso la dittatura capitalista di Díaz-Canel!

 

Note

1) Perché sono scoppiate le proteste a Cuba? in: https://www.ladobe.com.mx/2021/07/por-que-estaltamos-las-protestas-en-cuba/

2) Grupo de Administración Empresarial, SA (Gaesa) è il gruppo aziendale delle Forze armate rivoluzionarie (Far) con ramificazioni che vanno dal settore alberghiero ai negozi al dettaglio che vendono prodotti in valuta estera, attraverso dogane e porti (ndt).

3) https://www.cubaproxima.org/nosotros

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