Partito di Alternativa Comunista

7 novembre Ricordare la rivoluzione d'Ottobre

7 novembre
Ricordare la rivoluzione d'Ottobre
per preparare la prossima

 
 


di Francesco Ricci
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25 ottobre 1917 (7 novembre del nostro calendario), dopo il crollo dello zarismo (febbraio) la sinistra governista dell'epoca, guidata da menscevichi e socialisti-rivoluzionari (potremmo definirli gli antenati - seppure ben più di sinistra e ben più consistenti - dei partiti della attuale "sinistra radicale", Prc, Sel, ecc.), cerca di rimettere il potere nelle mani della borghesia: come in ogni epoca hanno sempre fatto i riformisti, il cui unico scopo è predicare la collaborazione con i padroni cosiddetti progressisti, cioè la rinuncia all'obiettivo di fondo del movimento operaio (il governo dei lavoratori) e la subordinazione della classe operaia ai governi che gestiscono gli affari della borghesia, in cambio di qualche poltrona per gli apparati.
Ma i comunisti rivoluzionari, diretti dal partito bolscevico di Lenin e Trotsky, in quei pochi mesi frenetici sono cresciuti nelle lotte e hanno trasformato la loro organizzazione (prima relativamente piccola) nel partito più influente tra le masse proletarie, rifiutando ogni sostegno al governo "di sinistra" e anzi conducendo contro di esso una opposizione senza quartiere. Guadagnata da poche settimane la maggioranza negli organismi di lotta (i soviet) devono ora dirigere l'ultimo atto della rivoluzione: l'insurrezione che rovesci definitivamente il governo Kerensky (il Vendola di quei tempi, per così dire), governo composto e diretto dai partiti della sinistra riformista ma basato su un programma borghese, quindi anti-operaio.
La famosa presa del Palazzo d'Inverno lungi dall'essere un "golpe" fu appunto questo "ultimo atto" insurrezionale a Pietrogrado che, spazzando via anche simbolicamente il governo della borghesia (il presidente del Consiglio era peraltro già scappato), libera lo spazio al potere degli operai guidati dai comunisti rivoluzionari. Nelle ore successive si costituirà il Consiglio dei Commissari del Popolo, un governo basato sugli organismi di lotta del proletariato e su un programma operaio: l'unico governo a cui possono partecipare i comunisti, sostennero Lenin e Trotsky riprendendo le posizioni fondamentali del comunismo di Marx ed Engels.
Ricordiamo oggi quelle bellissime giornate rivoluzionarie. E lo facciamo non certo per nostalgia ma per fermarci ancora una volta a studiare il modo con cui i lavoratori e le classi subalterne, guidati dal partito comunista, seppero non solo liberarsi di un regime reazionario (quello dello zar) ma seppero anche distruggere ogni illusione in governi cosiddetti "progressisti".
Hanno un bel dire i padroni e i burocrati riformisti che si tratta di una storia vecchia. Certo la storia è vecchia (si avvia verso i cento anni) ma ci offre insegnamenti sull'unico rimedio finora trovato per mettere fine alla barbarie del capitalismo (un sistema ben più vecchio, anzi decrepito). E' vero che sono mutate tante cose da quei giorni: ma l'essenziale rimane lo stesso. Uguale il dominio brutale del capitalismo, uguali le sue guerre sociali e militari contro i lavoratori e i popoli oppressi, uguale il ruolo di argine alle lotte svolto dalle burocrazie sindacali e dalla sinistra governista. Così come uguale, identico, resta il bisogno di costruire un'altra direzione del movimento operaio, basata sull'indipendenza di classe, e cioè un partito di tipo bolscevico. Per preparare, nelle lotte di oggi, la prossima rivoluzione.
Le letture che presentiamo
Per ricordare il 7 novembre 1917 abbiamo selezionato i testi di due protagonisti e di uno storico: iniziamo con alcuni brani della bellissima cronaca di quei giorni fatta dal giornalista e dirigente comunista statunitense John Reed, che partecipò alla rivoluzione (alla sua vicenda è ispirato anche il bel film di Warren Beatty: Reds); segue un assaggio di un articolo di Lev Trotsky (con Lenin il principale dirigente dell'Ottobre); e chiudono questa piccola antologia alcune pagine dalla biografia che lo storico militante Pierre Broué ha dedicato a Trotsky, presidente del Comitato militare rivoluzionario che si occupò dell'insurrezione.

Il 7 novembre 1917 nel racconto di un testimone
di John Reed

Mercoledì 7 novembre, mi alzai molto tardi. Il cannone di mezzogiorno tuonava dal forte Pietro e Paolo mentre io mi avviavo lungo la prospettiva Nevsky. Era un giorno piovoso e freddo. Di fronte alla Banca di Stato alcuni soldati con la baionetta innestata montavano la guardia davanti alle porte chiuse.
"Di quale parte siete? Del governo?" domandai.
"Non c'è più il governo" mi rispose uno con un ghigno.
(...)
Davanti alla porta del palazzo Marinsky c'era una folla di soldati e di marinai. Un marinaio raccontava della fine del Consiglio della Repubblica. "Siamo entrati dentro" diceva "e abbiamo fatto guardare le porte dai compagni. Sono andato dal controrivoluzionario che sedeva nel seggio del presidente e gli ho detto: 'Non c'è più Consiglio, vattene a casa, ora."
Qualcuno rise.
(...)
Quando arrivammo in vettura davanti allo Smolny, la sua massiccia facciata fiammeggiava di luci, e da tutte le strade vi facevano capo rapide correnti di forme indistinte nel buio. Automobili e motociclette andavano e venivano; un enorme carro armato, una specie di elefante multicolore, sormontato da due bandiere rosse ondeggianti sulla torretta, avanzava strepitando con la sua schiamazzante sirena. Faceva freddo e davanti alla porta esterna le Guardie Rosse avevano acceso un falò. (...) Ai quattro cannoni a tiro rapido posti ai lati della porta d'ingresso erano state tolte le cuffie di tela e i nastri delle munizioni pendevano come serpi dalle culatte. (...)
V'era nell'aria un senso di audacia. Già dalle scale si riversò un'ondata di folla, operai in camiciotto nero e berretto di pelliccia scuro (....). La riunione del soviet di Pietrogrado era cominciata. (...)
La sessione era stata importante: in nome del Comitato militare rivoluzionario, Trotsky aveva dichiarato che il governo provvisorio aveva cessato di esistere.
"La caratteristica dei governi borghesi" egli disse "è quella di ingannare le masse popolari. Noi, deputati del soviet degli operai, dei contadini e dei soldati, stiamo tentando un esperimento unico nella storia, stiamo ponendo le basi di un potere che non avrà altra mira se non quella di soddisfare i bisogni dei soldati, degli operai e dei contadini."
Lenin era apparso, accolto da una potente ovazione, e aveva preconizzato la rivoluzione socialista di tutto il mondo. (...)
[Si apre il Secondo Congresso dei soviet, è eletta la presidenza, proporzionalmente ai diversi partiti sovietici: 14 bolscevichi, 7 socialisti-rivoluzionari, 3 menscevichi, 1 internazionalista. Ndr].
Improvvisamente si fa sentire un nuovo rumore, più cupo dello strepitio della folla, insistente, inquietante, il sordo rombo dei cannoni. (...) Martov [dirigente riformista, ndr] domanda la parola e grida: "La guerra civile è cominciata, compagni! La prima questione deve essere la pacifica risoluzione della crisi. Per principio e da un punto di vista politico, dobbiamo urgentemente discutere i mezzi per allontanare la guerra civile. I nostri fratelli si stanno uccidendo nelle vie. In questo momento, prima ancora che il Congresso dei soviet sia aperto, la questione del potere è risolta coi sistemi di una congiura militare organizzata da uno dei partiti rivoluzionari [i bolscevichi di Lenin e Trotsky]." (...) "Noi dobbiamo [continua Martov, ndr] formare un governo che sia riconosciuto da tutta la democrazia." (...)
Il resto andò perduto in una tempesta di grida, di minacce, di maledizioni che si levò a un diapason infernale mentre cinquanta deputati [della sinistra governista, ndr] si alzarono e si fecero largo tra la folla per uscire.
Kamenev, che presiedeva, agitava il campanello gridando: "State ai vostri posti e seguitiamo il nostro lavoro!" Trotsky, in piedi, con il viso pallido e crudele, decretava con la sua voce potente e con un freddo disprezzo: "Sono i cosiddetti socialisti, menscevichi, socialisti-rivoluzionari, vigliacchi vari, lasciateli andare. Rappresentano quei rifiuti che saranno spazzati via nell'immondezzaio della storia!"
John Reed, da I dieci giorni che sconvolsero il mondo (pubblicato in varie edizioni).

Cosa ha rappresentato la rivoluzione russa
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di Lev Trotsky
Con Lenin, siamo entrati nella rivoluzione d'Ottobre profondamente convinti che la rivoluzione in Russia non poteva essere portata a compimento indipendentemente dagli altri Paesi. Ritenevamo che questa rivoluzione non poteva essere che il primo anello della catena della rivoluzione mondiale e che la sorte di questo anello sarebbe dipesa dal destino di tutta la catena. Manteniamo questa posizione. (...)
Arriviamo a questo anniversario come deportati, prigionieri, esiliati, ma vi arriviamo senza il benché minimo pessimismo. Il principio della dittatura del proletariato è entrato saldamente nella storia. Ha mostrato la formidabile potenza di una giovane classe rivoluzionaria diretta da un partito che sa quello che vuole e che è capace di accordare la propria volontà al passo dell'evoluzione obiettiva.
Gli anni trascorsi hanno mostrato che la classe operaia di un Paese anche arretrato non solo può fare a meno di banchieri, di proprietari e di capitalisti, ma è pure capace di assicurare all'industria uno sviluppo assai più rapido di quello avutosi sotto il dominio degli sfruttatori. Questi anni hanno mostrato che una economia centralizzata secondo un piano ha un netto vantaggio sull'anarchia capitalistica.
(...)
Non abbiamo niente di cui pentirci e non rinunciamo a niente. Viviamo delle idee e della passione che ci animavano durante le giornate dell'Ottobre 1917. Attraverso le temporanee difficoltà possiamo guardare dinanzi a noi. Per quanto complicati siano i meandri del fiume, il fiume scorre verso l'oceano.
Lev Trotsky, da "Per il dodicesimo anniversario dell'Ottobre", 1929 (in Scritti 1929-1936, Einaudi, 1962).

 
Lo scontro tra comunisti e riformisti
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di Pierre Broué
Il governo provvisorio è informato di tutto. Ma non fa nulla, certo perché non può far nulla. I suoi ordini non sortiscono effetti o, se lo fanno, essi sono prontamente annullati. Sotto la presidenza di Trotsky, il Comitato militare rivoluzionario, invece, è attivissimo. Il 24 ottobre (6 novembre) designa propri delegati alle Poste, alle Ferrovie, all'Annona. Trotsky arringa la folla al Circo moderno e conquista un battaglione di motociclisti alla rivoluzione; parla al soviet di Pietrogrado; riunisce allo Smolny i primi delegati al Congresso panrusso dei soviet. Ordina la riapertura dei giornali chiusi dal governo provvisorio, mentre operai e soldati occupano redazioni e tipografie della stampa di destra. (...)
Verso le due del mattino dello stesso giorno iniziano i movimenti di truppe che precedono le prime operazioni militari. Alla riunione del Comitato esecutivo che siede con i delegati già arrivati del Congresso dei soviet, i socialisti conciliatori attaccano ancora una volta, per bocca di Dan, che fa il quadro di una situazione apocalittica in cui prevale la controrivoluzione: secondo lui, l'insurrezione sarebbe pura follia e porterebbe alla rovina della rivoluzione.
Questa volta Trotsky risponde apertamente, a nome del Comitato militare rivoluzionario, del partito bolscevico e dei soviet: abbandonando gli argomenti difensivi, rivendicando la responsabilità dell'insurrezione già cominciata egli cerca di galvanizzare i delegati. (...)
Nel corso di quella notte Trotsky dormirà solo pochissime ore, stendendosi verso le quattro completamente vestito, su un divano dello Smolny. (...)
Durante la notte i distaccamenti di insorti avanzano. All'alba occupano già i ponti, le stazioni, gli edifici delle poste, la Banca di Stato, la maggior parte delle tipografie. Alle 10 del mattino del 25 ottobre (7 novembre) lo Smolny diffonde un bollettino di vittoria. "Il governo provvisorio è stato deposto. Il potere statale è passato al Comitato militare rivoluzionario."
In realtà, per il momento, le cose non stanno affatto così, e tutte le autorità sono ancora riunite attorno al governo provvisorio nel Palazzo d'Inverno. Gli scontri armati sono tuttavia molto limitati. Marinai, soldati e guardie rosse hanno disarmato senza colpo ferire vari distaccamenti di allievi ufficiali, una delle poche forze sulle quali il governo provvisorio credeva di poter contare. (...)
La seduta [del Congresso dei soviet, ndr] è aperta, in nome dell'esecutivo in carica, dal menscevico Dan, vestito della sua divisa di medico militare. Sui 650 delegati presenti - alla fine saranno 900 - con voto deliberativo, ce ne sono 390 che si richiamano alle posizioni dei bolscevichi. Trotsky valuta in circa un quarto quella che chiama "l'opposizione conciliatrice in tutte le sue sfumature". La presidenza, costituita su base proporzionale, comprende 14 bolscevichi, una discreta maggioranza rispetto agli 11 rappresentanti della minoranza. Lenin figura al primo posto nella lista bolscevica, seguito da Trotsky. (...)
Martov avanza una disperata proposta di "compromesso", che condanna l'insurrezione bolscevica e stabilisce la sospensione dei lavori del Congresso fino alla conclusione di un accordo generale tra tutti i partiti socialisti. La risposta spetta evidentemente a Trotsky, che parla dalla tribuna in cui si trova accanto a Martov:
"L'insurrezione delle masse popolari non ha bisogno di giustificazioni. Ciò che è accaduto è un'insurrezione, non una congiura. Noi abbiamo temprato l'energia rivoluzionaria degli operai e dei soldati di Pietrogrado. Abbiamo forgiato apertamente la volontà delle masse per l'insurrezione, non per una congiura. Le masse popolari seguono la nostra bandiera e la nostra insurrezione ha vinto. Adesso ci si dice: rinunciate alla vostra vittoria, fate concessioni, venite a compromessi. Con chi? Io mi domando con chi dovremmo venire a compromessi? Con quei miserevoli gruppetti che hanno lasciato il Congresso o che avanzano questa proposta? Ma li abbiamo conosciuti bene. Nessuno in Russia più li segue."
E conclude votando i conciliatori al "cestino dei rifiuti della storia".
La seduta è sospesa per mezz'ora alle due di notte. Quando riprendono i lavori, Kamenev può annunciare la caduta del Palazzo d'Inverno (...) e l'arresto di tutti i ministri tranne Kerensky [che era scappato, ndr].
Pierre Broué, da La rivoluzione perduta. Vita di Trotsky (Bollati Boringhieri, 1991).

 
 
 

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