A proposito della morte di Hugo Chávez
dichiarazione del Segretariato della Lit – Quarta Internazionale
Hugo Chávez è morto e l’impatto politico è
stato mondiale. Ed è naturale, visto che, senza dubbio, l’ex presidente
venezuelano si è eretto come un importante protagonista degli ultimi due
decenni di storia politica dentro e fuori l’America Latina.
Sono momenti di immenso dolore ed incertezza
per milioni di venezuelani che riponevano fiducia politica in Chávez e lo
consideravano come un leader in consonanza con i loro interessi e speranze di
migliorare la loro qualità di vita.
Molti sono anche gli attivisti sociali e i
militanti della sinistra che, onestamente, vedevano nella figura di Chávez
quella di un dirigente genuinamente antimperialista e perfino socialista.
La Lit – Quarta Internazionale comprende
questo dolore e la costernazione, dal momento che nessun sentimento popolare ci
è indifferente. Ma anche di fronte a questo dolore è necessario fare una
riflessione su ciò che ha significato il governo di Chávez e le attuali sfide
che la classe lavoratrice e le masse popolari del Venezuela hanno davanti a sé.
Cosa è stato il governo di Chávez?
La morte di Chávez
riapre tutto il dibattito sul carattere di classe del suo governo e del regime
politico instaurato in Venezuela e sulle loro vere relazioni con
l’imperialismo.
Questo dibattito continua ad essere uno
spartiacque nella sinistra mondiale e diventa ancor più necessario in un
momento in cui esiste incertezza sulla strada che oggi sta per imboccare un
chavismo senza Chávez.
Ciò non vuol dire che il governo capitalista di Chávez sia stato uguale a quello di Carlos Andrés Pérez e a tutti quelli precedenti che si sono succeduti nel quadro del regime del “patto di Punto Fijo” (1). Questi sono stati governi capitalisti completamente e apertamente sottomessi all’imperialismo, che dopo decenni di spoliazione e corruzione finirono per essere del tutto screditati e furono messi in discussione dalle masse venezuelane, ciò che produsse il “Caracazo” (2). Questo processo e il golpe che tentò contro Pérez rappresentarono l’inizio della popolarità di Chávez.
Grazie a questa combinazione di crisi dei partiti borghesi tradizionali e ascesa operaia e popolare, il progetto di Chávez e il suo successivo governo assunsero un carattere borghese di tipo nazionalista. Di qui la necessità di tutta la retorica “antimperialista” e “socialista”. Perciò il suo governo dovette fare alcune concessioni (soprattutto provvedimenti assistenzialisti attraverso le “Misiones”), ma enormemente più limitate di quanto fecero altri governi nazionalisti borghesi nei decenni passati, come quelli di Perón in Argentina, Cárdenas in Messico o Nasser in Egitto.
Ciò che invece ha avuto in comune con quei governi è stato che, per il suo carattere di classe, gli era impossibile andare fino in fondo nei suoi scontri con l’imperialismo, cui più prima che poi finì per capitolare.
In questo quadro, tutto il discorso sul “Socialismo del XXI secolo” e gli attacchi retorici all’imperialismo nordamericano (soprattutto ai tempi di George Bush) non hanno mai corrisposto alla sua pratica politica e servivano a confondere e nascondere la stessa sottomissione e subordinazione di sempre.
Le relazioni con l’imperialismo
La realtà concreta
mostra che in questi quattordici anni di governo e regime chavisti, il Venezuela
continua tanto dipendente dall’imperialismo come prima.
Il debito estero è stato sempre
puntigliosamente pagato da Chávez ai creditori internazionali. In termini
totali, il debito venezuelano ha recentemente raggiunto la cifra record di 105
miliardi di dollari, equivalente al 30% del Pil del Paese.
Le nazionalizzazioni attuate da Chávez, così
propagandate dalla sua corrente latinoamericana, sono state realizzate, in
tutti i casi, dopo un negoziato e garantendo succulenti indennizzi ai settori
borghesi che venivano “colpiti”.
Ma, a parte questo, si sono limitate, in
molti casi, al puro e semplice acquisto di azioni di queste imprese da parte
dello Stato, dando così luogo al nascere di “imprese miste” che permettono alle
multinazionali di sfruttare risorse naturali ed energetiche insieme allo Stato.
Per questa strada, imprese imperialiste come Chevron e Exxon Mobil, non solo
controllano e si avvantaggiano della produzione petrolifera del Paese, quanto
sono passate ad esserne proprietarie in ragione di circa il 40%.
Tuttavia, negli ultimi anni persino il tono
dei discorsi si è ammorbidito. La verità è che una cosa è stato Bush e un’altra
Obama, addirittura nella retorica chavista. Basti ricordare le sue dichiarazioni
durante le ultime elezioni: “Se fossi statunitense, voterei per Obama. E credo
che se Obama fosse di Barlovento o di un quartiere di Caracas, voterebbe per
Chávez. Ne sono sicuro”.
È vero che in Venezuela c’è un “socialismo del XXI secolo”?
La realtà sociale va in direzione totalmente
contraria ai discorsi ufficiali. Siccome non si sono mai adottati provvedimenti
anticapitalisti di fondo, né si è rotto con l’imperialismo, il popolo
venezuelano continua a subire i flagelli della disoccupazione, della mancanza
di generi di prima necessità, dell’alta inflazione – che nel 2012 è giunta al
20% – e dell’estrema povertà che, nonostante tutte le misure assistenzialiste
del governo, colpisce il 29,5% della popolazione. Secondo cifre ufficiali del
2010, il 20% più ricco della popolazione possiede il 45% delle entrate
nazionali, mentre il 20% più povero ne riceve solo il 6%.
E parlare di “socialismo del XXI secolo” a
fronte di questa realtà significa aiutare la campagna mondiale contro il
socialismo condotta dall’imperialismo a partire dalla restaurazione del
capitalismo nell’ex Unione Sovietica e negli Stati dell’est europeo. Come può
esserci socialismo quando aumenta il tasso di sfruttamento della classe operaia
e l’economia privata va a gonfie vele a costo della povertà delle masse
popolari, mentre la borghesia concentra nelle sue mani il grosso della
ricchezza nazionale
Questa realtà non può essere occultata e le
tanto decantate “Misiones” non hanno risolto – né potranno farlo – i problemi
di fondo, poiché non sono altro che misure compensative, come propone la Banca
Mondiale, basate su una minima redistribuzione della rendita del petrolio per
mitigare la disperata situazione dei settori della popolazione che vivono una
povertà estrema e contenere, in qualche misura, possibili esplosioni sociali e,
al contempo, creare una clientela politica elettorale favorevole al governo.
L’altra faccia della medaglia di questa
politica economica è rappresentata dalla nascita e dal rafforzamento di nuovi
settori borghesi completamente parassitari degli affari statali. In effetti, a
partire dalle “imprese miste” e dalla cooptazione di numerosi dirigenti
sindacali e sociali, si è andata sviluppando la borghesia bolivariana, nota
come “boliborghesia”.
Questi nuovi ricchi, che hanno ammassato
fortune a partire dagli affari dello Stato, hanno fra i loro principali
esponenti l’ex militare e attuale presidente dell’Assemblea nazionale, Diosdato
Cabello, proprietario di tre banche e varie imprese che sono in affari con lo
Stato.
Un regime autoritario e antioperaio
Nel mentre si appoggiava parzialmente sul
movimento operaio e di massa, Chávez ha sempre cercato di controllarlo,
legandogli le mani. Ha stimolato e rafforzato una burocrazia sindacale dalle
caratteristiche malavitose e del tutto legata alla sua figura.
In questo senso, tutta la propaganda
ufficiale e i discorsi sulla “difesa della rivoluzione bolivariana” e la
“costruzione del socialismo” contro i “nemici della patria” serviva anche (e
serve) a disciplinare il movimento operaio e popolare. E dunque, ciò ha imposto
l’idea che chi non sta con Chávez sta con la “controrivoluzione”.
Nel 2006, Chávez ha fatto un salto in questo
senso, quando ha promosso la nascita del Psuv (Partito socialista unito del
Venezuela), con l’intento di ingabbiare il movimento operaio e la sinistra
venezuelana in un “partito unico”.
Come conseguenza di questo regime, tutti i
settori (molti dei quali operai) che sono scesi in piazza a lottare sono stati
vittime di brutali repressioni, assassini selettivi e persecuzioni politiche e
sindacali. Tra i tanti casi, possiamo citare la repressione a Petrocasa nello Stato
di Carabobo, agli operai della Sanitarios Maracay, a quelli della Mitsubishi e
a diverse popolazioni indigene e settori contadini che hanno occupato terre dei
latifondisti, “bolivariani” o meno.
Senza eccezione alcuna, questi settori in
lotta contro le misure del governo sono stati accusati di essere
“destabilizzatori” o “controrivoluzionari”, alla pari di tutti coloro che si
sono rifiutati di entrare o sciogliersi nel Psuv.
L’appoggio di Chávez a regimi genocidi
Tutti questi fatti
sarebbero già sufficienti per dimostrare che in Venezuela non esiste, né è esistito,
il socialismo, quanto invece un governo che ha garantito che un settore della
borghesia realizzasse grandi fortune, ha pagato religiosamente il debito estero
e ha continuato a svendere ricchezze all’imperialismo; mentre, per contenere le
masse popolari, ha combinato assistenzialismo basato sulle risorse provenienti
dai profitti della vendita del petrolio (soprattutto quando i prezzi
internazionali salivano) con la repressione diretta ai settori operai e
popolari che sono scesi in lotta.
Tuttavia, dobbiamo ancora citare due fatti
che dimostrano profondamente il carattere di classe di quel governo. Il primo,
che mostra la sottomissione di Chávez agli interessi dell’imperialismo
mondiale, è la vergognosa collaborazione con il reazionario e servo degli Usa governo
colombiano di Juan Manuel Santos (successore del genocida Álvaro Uribe),
concretatasi nella consegna allo stesso governo della Colombia di attivisti
legati alle Farc (com’è stato nel caso del giornalista Pérez Becerra e di altri
combattenti popolari), in violazione persino delle norme vigenti in Venezuela
per questi casi e in osservanza di una espressa richiesta di Santos. Come può
definirsi antimperialista chi collabora con il principale lacchè degli Usa nel
Sudamerica consegnandogli combattenti, perché siano rinchiusi nelle carceri
colombiane?
D’altra parte, quando è scoppiato il processo
rivoluzionario in Medio Oriente e nel nord Africa, il governo “socialista” di
Chávez ha dichiarato appoggio incondizionato a sanguinari dittatori come
Gheddafi e Assad, quando i popoli di Libia e Siria si erano levati in armi
contro quei regimi. E lo ha fatto presentandoli come “combattenti
antimperialisti”, mentre da molto tempo essi non facevano altro che prostrarsi
di fronte all’imperialismo. Ciò ha provocato un grande sconcerto fra gli
attivisti delle rivoluzioni nordafricane e mediorientali che, in virtù
dell’autorità di Chávez (e dei fratelli Castro), identificano la “sinistra”
come alleata delle dittature assassine che opprimono i loro popoli. In tal modo,
ha tradito queste rivoluzioni popolari, consegnando su un piatto d’argento nelle
mani dell’imperialismo la bandiera della lotta per le libertà democratiche e i
diritti umani.
Non è casuale che, tanto Santos dalla
Colombia che Assad dalla Siria, piangano oggi la dipartita di Chávez,
rendendogli omaggio.
Le prospettive
A partire dalla
scomparsa di Chávez, il potere è passato nelle mani di Nicolás Maduro, fino ad
oggi vicepresidente e successore direttamente designato dall’ex presidente.
Sono convocate nuove elezioni nel termine di trenta giorni e, per quanto non
sia certo il risultato, la maggioranza delle forze politiche pensa che ci sarà
una vittoria elettorale del chavismo e che Maduro sarà eletto presidente.
Ma quel che è certo è che, chiunque vinca, il
nuovo presidente dovrà applicare una serie di piani di adeguamento economico,
chiaramente impopolari, e senza la figura di Chávez a fare da contrappeso agli
scontri di classe. E per questo il chavismo dovrà intensificare le misure totalitarie
per frenare la lotta di classe contro questi nuovi attacchi economici e
sociali.
La destra tradizionale venezuelana,
apertamente reazionaria e con alta vocazione golpista, vede nella morte di
Chávez l’opportunità per sollevare la testa e riprendere il potere. Capriles e
la vecchia borghesia venezuelana che vogliono tornare al potere per
avvantaggiarsi dalla posizione di agenti diretti dell’imperialismo non
rappresentano una soluzione per le masse popolari e i lavoratori. Capriles non
è altro che una variante politica capitalista filostatunitense che continuerà a
sfruttare il popolo lavoratore, come già accade nei governatorati in cui la
destra è al potere da molti anni (Miranda, Zulia, Carabobo, ecc.). Il suo
programma è svendere meglio il petrolio venezuelano alle piovre internazionali
ed ergersi a difensore dei grandi imprenditori nazionali e stranieri. Capriles
non è altro che questo e non offre nulla di nuovo ai lavoratori e alle masse
popolari.
È necessario costruire una via d’uscita operaia e socialista
Si impone in questi
momenti una profonda riflessione in tutto l’attivismo sociale e specialmente in
tutta la sinistra rivoluzionaria e socialista rispetto al bilancio di ciò che
ha rappresentato il governo di Chávez.
Questo è un dibattito strategico per tutti
coloro che anelano a una vera via d’uscita operaia e socialista. Il compito
urgente è costruire un terzo spazio politico improntato all’indipendenza di
classe e in opposizione sia al chavismo che alla destra tradizionale
neoliberale. Per noi, l’unica soluzione per risolvere definitivamente i
problemi della classe lavoratrice e del popolo venezuelano continua a passare
per l’organizzazione e la mobilitazione indipendente delle loro forze.
Abbiamo bisogno di un’alternativa politica
che sollevi la bandiera del governo operaio, contadino e popolare, che espropri
la borghesia e l’imperialismo, che nazionalizzi le banche e il commercio estero
e che, attraverso questa strada, inizi la costruzione di una società senza
classi: cioè la costruzione di un’autentica direzione politica socialista,
rivoluzionaria e internazionalista.
Per questo compito, è fondamentale che la
classe operaia venezuelana riponga fiducia solo ed esclusivamente nelle sue
proprie forze e si appropri del suo destino. Questa è l’unica strada che
conduce a un vero socialismo.
(Traduzione dall’originale in spagnolo di Valerio Torre)
Note del traduttore
(1) Si tratta di un accordo firmato nel 1958 dai dirigenti di tre partiti borghesi dopo la caduta del governo di Marcos Pérez Jiménez per arrivare a un governo di unità nazionale escludendo il partito comunista venezuelano.
(2) Il Caracazo fu una rivolta popolare scoppiata il 27 febbraio 1989 contro un violento piano economico di aggiustamento strutturale promosso dal neoeletto presidente, Carlos Andrés Pérez, come prezzo da pagare per ottenere un prestito dal Fmi. La rivolta assunse dimensioni di massa e, per bloccarla, il governo introdusse la legge marziale e sospese le garanzie costituzionali autorizzando l’uso della forza. La repressione fu inaudita, con veri e propri massacri da parte dell’esercito. Si stima che siano morte 3.000 persone, anche se il numero non è mai stato esattamente accertato, dal momento che le truppe governative fecero in tutta fretta scomparire centinaia di cadaveri in fosse comuni.