Cuba
SOLIDARIETÀ COI LAVORATORI CONTRO IL GOVERNO
Salari da fame, licenziamenti di massa, tagli ai servizi
Dichiarazione del Comitato Esecutivo della Lega Internazionale dei Lavoratori - Quarta Internazionale
I
lavoratori, i giovani e le masse popolari cubane – che sono stati protagonisti
della prima e unica rivoluzione socialista vittoriosa in America – ora vivono
una situazione disperata. I lavoratori e le masse soffrono la fame, perché non
riescono a sopravvivere con un salario di 18 dollari al mese. D'altra parte,
questa situazione tende ad aggravarsi qualitativamente, perché il governo ha
annunciato, per i prossimi mesi, nuovi attacchi al loro livello di vita, tra
questi il licenziamento di un milione e trecentomila lavoratori statali.
Una
parte dei lavoratori cubani riescono a sopravvivere grazie alle rimesse dei
parenti all'estero. Ma la maggior parte non hanno questo aiuto e quindi sono
costretti a umiliarsi di fronte ai turisti (due milioni e mezzo nel 2010), a
"molestarli" chiedendo mance per qualsiasi tipo di servizio (reale o
inventato), a vendere i famosi sigari avana rubati, a mendicare un sapone, uno
shampoo o una semplice caramella, mentre crescono, in una maniera
impressionante, due piaghe che erano sparite con la rivoluzione: l'accattonaggio
e la prostituzione.
Finora,
a differenza di quello che è successo nei Paesi dell'Est europeo, quando i
partiti comunisti hanno restaurato il capitalismo, a Cuba non si sono prodotte
grandi mobilitazioni contro il governo. Il prestigio della dirigenza cubana,
per essere stata in passato a capo della rivoluzione contro il capitalismo e
l'imperialismo, è stato un importante freno all'azione delle masse contro il
governo e contro il Partito Comunista. Ma la pazienza dei cubani sembra che
stia per finire. Il malcontento per la situazione e per il governo dei fratelli
Castro è attualmente generalizzato e non è escluso che, a breve o medio
termine, si dia a Cuba una esplosione simile a quella avvenuta nei Paesi
dell'Est europeo alla fine degli anni Ottanta, o quella che stiamo vedendo oggi
nei Paesi arabi.
Il
governo e il Partito comunista cubano sanno di essere in pericolo, per ciò non
consentono che arrivi attraverso la televisione o la radio (entrambe
controllate dal governo), nessuna informazione su ciò che le masse stanno
facendo nei Paesi arabi. Inoltre, dobbiamo ricordare che le masse cubane non ha
accesso a Internet e a Cuba non esistono, né giornali né riviste (eccetto
quelle del Partito Comunista)
Tuttavia,
contro tanto sfruttamento e umiliazione, è molto difficile che la censura del
governo, per evitare che i cubani sappiano cosa sta succedendo nel resto del
mondo, abbia successo.
In
una maniera o nell'altra, prima o dopo, i lavoratori cubani si ribelleranno
contro questa situazione, e quando questo accadrà, una nuova e grande minaccia
si alzerà sulle loro teste: la repressione. Ecco perché già da ora chiamiamo a dare piena solidarietà ai lavoratori cubani.
Dire la verità, per dura che sia
Ci
sono migliaia e migliaia di lavoratori, contadini e studenti in tutto il mondo,
che credono che Cuba e la sua dirigenza, soprattutto Fidel Castro, siano il
riferimento per tutti noi che lottiamo per il socialismo. Ci sono anche molti
che criticano la dirigenza cubana, tuttavia, considerano che a Cuba, a differenza
di quanto accaduto negli altri ex-Stati operai (Urss, Cina e Est Europeo), non sia
stato restaurato il capitalismo.
Per
queste migliaia di compagni, arrivare alla conclusione che il capitalismo è
stato restaurato a Cuba, sarebbe causa di un grande demoralizzazione. Ma ai
lavoratori, ai contadini, agli studenti e agli intellettuali di tutto il mondo,
abbiamo l'obbligo di dire la verità, per dura che sia. Poiché solo la verità è
rivoluzionaria e ci sono due grandi verità che tutti devono sapere e che spiegano
il dramma che vivono i lavoratori e le masse cubane: la prima è che la fame, la
disoccupazione, i salari miseri, l'accattonaggio e la prostituzione, non sono
che le conseguenze di qualcosa che è già accaduto nella nostra amata Cuba: il ritorno del capitalismo. E la
seconda verità, che non si può continuare a nascondere, è che l'odiato
capitalismo non è stato restaurato né dai gusanos
né da un'invasione yankee. A Cuba,
come nella ex Urss o in Cina, il capitalismo è stato restaurato, nel nome del
socialismo, dal governo e dalla dirigenza del Partito Comunista.
A
Cuba, nel 1959, le forze della guerriglia, comandate da Fidel Castro, Camilo
Cienfuegos e Che Guevara, sconfissero le forze del dittatore Batista. Poco
tempo dopo la Rivoluzione
cubana si scontrò con tutti i capitalisti, nazionali e stranieri, e mise le sue
risorse economiche al servizio dello sviluppo del Paese. Per farlo vennero
prese tre importanti misure in campo economico: l'espropriazione e la
nazionalizzazione di tutti i mezzi di produzione (fabbriche, terra, commercio,
banche, ecc.), il monopolio del commercio estero e la pianificazione
centralizzata dell'economia. E' sulla base di queste misure che i lavoratori
hanno conseguito una serie di conquiste, la maggior parte delle quali non
esistevano né esistono in altri Paesi del continente (tantomeno negli Usa): la
piena occupazione, la casa per tutti, medicine gratuite di alta qualità (anche
queste per tutti), la fine dell'analfabetismo, la fine della prostituzione,
elevati tassi di scolarizzazione (ad oggi il 50% dei lavoratori cubani sono
andati a scuola per 12 anni) e da ultimo ma non per importanza, i cubani
possono vantare con orgoglio di essere un popolo che è stato in grado di
dimostrare, ai lavoratori di tutto il continente, che il capitalismo e
l'imperialismo possono essere affrontati e sconfitti.
Tuttavia,
queste tre misure (nazionalizzazione dei mezzi di produzione, monopolio del
commercio estero e pianificazione centralizzata dell'economia) sono state
cancellate nei primi anni Novanta da parte del governo e della dirigenza del
Partito Comunista, fino al punto che la stessa Costituzione del Paese è stata
cambiata per permettere la proprietà privata dei mezzi di produzione. In questo
modo i "diritti" del capitale, che erano stati eliminati con la
rivoluzione, sono stati restaurati, e con il ritorno al capitalismo, i mali
antichi del periodo in cui governava Batista sono tornati.
I
difensori del governo cubano dicono che il capitalismo non è stato restaurato,
che semplicemente quello che è stato fatto è consentire gli affari delle
imprese straniere nel Paese, però rispettando le leggi cubane e che, d'altra
parte, il grosso delle imprese sono dello Stato, che continua ad essere
"socialista".
Le
cose non stanno così. E' vero che le imprese straniere sono obbligate a
rispettare le leggi cubane, ma è anche vero che sono state approvate nuove
leggi, tra cui la Legge
sugli Investimenti Stranieri (Ley de
Inversiones Extranjeras), per permettere che le imprese straniere a Cuba
abbiano molti più diritti di quanti ne hanno in qualsiasi altro Paese del
mondo. Inoltre, l'insieme delle imprese del Paese, siano esse statali, miste o
a capitale cubano o straniero, non lavorano per una economia socialista
(secondo un piano economico centrale), ma per il mercato nazionale e
internazionale. E' inoltre necessario chiarire che i cubani che lavorano in
imprese internazionali non hanno la protezione dello Stato
"socialista" cubano. Al contrario, il lavoratore cubano non riceve lo
stesso salario che queste società pagano in altre parti del mondo. I cubani
guadagnano solo 18 miseri dollari al mese, essendo che la maggior parte di
queste imprese sono di proprietà mista (associata con lo Stato), qual è quindi
il ruolo dello Stato cubano? Garantire non solo i diritti del capitale
internazionale per sfruttare crudelmente i lavoratori cubani, ma anche essere
socio in questo sfruttamento, che è qualitativamente superiore a quelli che si
portano avanti nella maggior parte dei Paesi dell'America Latina e del mondo.
Cuba, il Paese della disuguaglianza
I
cubani vivono nel peggiore dei mondi. Lavorano, come i loro fratelli del resto
dei Paesi, per un'economia di mercato, ma a causa dei loro salari, praticamente
non hanno accesso a tale mercato.
Forse
la scena più triste che incontra chi visita l'isola, è vedere i bei bambini
cubani, senza giocattoli. Non con pochi giocattoli: senza giocattoli. E' che i
giocattoli sono proibitivi. Si tratta di oggetti troppo superflui per un padre
o una madre che guadagnano 18 dollari al mese.
Gli
stipendi dei lavoratori cubani, rispetto ai lavoratori di tutto il mondo, sono
sempre stati bassi, ma come risultato delle misure economiche adottate dopo la
rivoluzione, il salario sociale era molto alto. Le masse popolari spendevano
molto poco per l'alimentazione perché i lavoratori mangiavano gratuitamente
nelle aziende, i bambini nelle scuole, e i prodotti alimentari di base (e anche
per l'igiene personale) erano consegnati dal governo, a prezzi simbolici,
attraverso la tessera di razionamento. Oggi la realtà è all'opposto. Con la
restaurazione dell'economia di mercato, i salari sono più bassi che prima e
gran parte del salario sociale è scomparso o tende a scomparire. Nella maggior
parte delle aziende le mense sono state chiuse, i nuovi piani del governo
pretendono di cancellare il doppio turno nelle scuole (il tempo pieno italiano,
NdT), e infine, la maggior
parte dei prodotti, che facevano parte della tessera di razionamento, sono
stati eliminati, mentre si annuncia la fine della tessera stessa.
Come
risultato della rivoluzione si fece una profonda riforma urbana che permise a
tutti i cubani, pagando una piccola cifra, di aver garantito l'alloggio. Da
allora era responsabilità del governo occuparsi della manutenzione delle
facciate, e responsabilità dei residenti di garantire il mantenimento della
parte interna. Tuttavia, attualmente (e da almeno due decenni), né il governo
garantisce il mantenimento delle facciate né gli abitanti, dei quartieri operai
e popolari, con i loro 18 dollari di salario, sono in condizione di garantire
la manutenzione degli interni. Il risultato sono interi quartieri dove le case
sono piene di vetri rotti, perdite, infiltrazioni d'acqua, pareti e pavimenti
semidistrutti, cavi elettrici scoperti e in pessime condizioni, e buchi dove un
giorno c'era una porta o una finestra, inoltre, ci sono persino delle case, le
più antiche, che crollano per mancanza di manutenzione. In questo modo le
condizioni di vita di queste famiglie di lavoratori cubani sono molto simili, o
anche peggio, di quelle delle famiglie argentine che abitano le "Villa
Miseria" o di quelle brasiliane che vivono nelle "Favelas".
Ma
non tutto è miseria a Cuba. Ci sono quartieri pieni di vecchie case, molto ben
conservate, in cui vivono i nuovi borghesi, i burocrati del governo e i
rappresentanti delle imprese straniere. Ci sono anche le città militari con
alloggi molto buoni, così ben conservati che, pur essendo vecchi, sembrano
essere stati costruiti di recente. Ci sono milioni di turisti stranieri che
riempiono gli alberghi, ristoranti e bar de L'Avana e di altre città, luoghi a
cui le masse popolari non possono neanche avvicinarsi, se non per offrire
prestazioni sessuali o la bella musica per poi dover alla fine mendicare, da un
tavolo all'altro, un'offerta per poter mangiare, perché gli artisti, che non si
nutrono solo d'arte, non ricevono alcun compenso per le loro esibizioni.
Dopo
la rivoluzione, Cuba è diventato il Paese più egualitario in America, ma oggi è
l'esatto opposto. La disuguaglianza sociale è così sconvolgente che crea nei
rivoluzionari che visitano l'isola un misto di sorpresa, indignazione e persino
malessere. E' triste sentire dalla bocca di molte persone di questo ammirato
popolo cubano, colto, allegro e musicale, frasi così scioccanti come questa: "Quando ci vestiamo non mangiamo, e
quando mangiamo non ci vestiamo" o "Noi cubani siamo come i pagliacci: ridiamo fuori e piangiamo
dentro."
Falsi argomenti
Quelli
che fuori da Cuba difendono il governo e il regime castrista (all'interno di
Cuba è molto difficile trovare qualcuno che lo fa) sostengono che il governo ha
dovuto aprire le porte al capitalismo internazionale per difendere il
"socialismo", perché Cuba era isolata dopo la fine dell'Urss e
pertanto non aveva alternativa.
Questo
argomento è doppiamente falso. In primo luogo perché non è vero che il governo
cubano fece appello al capitalismo per difendere il socialismo. Fece appello al
capitalismo internazionale per restaurare il capitalismo. Non è stato per
difendere il socialismo che si è eliminata la proprietà statale dei mezzi di
produzione, che si è abolito il monopolio del commercio estero e si è
abbandonata la pianificazione centralizzata dell'economia, allo stesso modo non
è una misura socialista gettare per la strada più di un milione di lavoratori,
o non rifornire le farmacie popolari in modo che i lavoratori devono comprare
le medicine nelle farmacie degli hotel internazionali. In secondo luogo occorre
domandarsi: perché Cuba era isolata quando ancora era uno Stato operaio? Fu
perché i lavoratori e i popoli del continente e del mondo non lottavano o non
facevano rivoluzioni? No. Non era per ciò, ma perché la dirigenza cubana portò
avanti la stessa politica che seguirono le dirigenze di Urss, Cina, Germania
Est, ecc: la coesistenza pacifica con l'imperialismo, in luogo della
rivoluzione latinoamericana e mondiale.
Come
dimostrazione più evidente di questa politica sta il caso della rivoluzione sandinista
in Nicaragua. La dirigenza sandinista, dopo aver sconfitto l'esercito di Somoza
e aver preso il potere, si recò a Cuba per interloquire con Fidel Castro e
questi gli diede il seguente consiglio: "Non fate del Nicaragua una nuova
Cuba". Cioè, non espropriate né la borghesia nazionale né l'imperialismo.
Ed ecco i risultati. Il Nicaragua attualmente guidato dall'ex comandante
guerrigliero e attuale multimilionario Daniel Ortega, non è solo uno Stato
capitalista, ma uno dei Paesi al mondo in cui regna la maggiore disuguaglianza
sociale.
E'
stata proprio questa politica di coesistenza pacifica con l'imperialismo in un
mondo dominato da esso che ha portato alla crisi tutte le economie degli ex
Stati operai, e tutte le burocrazie governanti a cercare, alla fine degli anni Ottanta,
il sostegno delle potenze imperialiste per uscire da questa crisi. Non solo
nella forma di prestiti, come avevano fatto qualche anno prima, ma con il
ripristino dei diritti del capitale di supersfruttare i lavoratori di questi Stati.
Cuba, essendo diretta da una burocrazia, con interessi molto diversi da quelli
dei lavoratori, non fu, né poteva essere, un'eccezione.
La "democrazia" a Cuba
I
difensori del governo cubano, al di fuori di Cuba, dicono che in questo Paese
c'è democrazia. Sostengono che è vero che non c'è democrazia per i
"gusanos" però ci sarebbe democrazia per i lavoratori e per le masse
popolari. A Cuba nessuno dice ciò perché chiunque lo dicesse correrebbe il
rischio, nel migliore dei casi, di ricevere come risposta una sonora risata.
Quelli che dicono che a Cuba c'è democrazia per i lavoratori dovrebbero dire
quale organismo dei lavoratori ha votato il salario di 18 dollari? Quale
organismo ha votato di buttare per la strada un milione e trecentomila
lavoratori? Quale organismo dei lavoratori ha votato che i cubani non possano
leggere alcun giornale, ad eccezione del Granma,
l'organo ufficiale del Partito Comunista?. Quale organismo dei lavoratori ha
votato che il popolo cubano non può accedere a Internet?
Ma
anche su questo tema della democrazia è necessario dire la verità, per dura che
sia. E la verità è che non c'è mai stata democrazia per i lavoratori e per il
popolo cubano, neanche nei momenti d'oro della rivoluzione, quando si stavano
espropriando i capitalisti e l'imperialismo, e questo spiega molto di quello
che sta succedendo attualmente. Cuba era uno Stato operaio perché a partire
dall'espropriazione della borghesia è stato eliminato il diritto del capitale
di sfruttare i lavoratori, ma a Cuba non sono mai stati i lavoratori,
attraverso i loro organismi, a controllare il destino del Paese.
Ciò
che esisteva ed esiste a Cuba è un regime identico a quello che esisteva
nell'ex-Urss e a quello che esiste in Cina: un regime basato su un partito
unico, il Partito Comunista, appoggiato sulle Forze Armate. Ma in realtà
sarebbe sbagliato dire che il Partito Comunista dirigeva o dirige Cuba. A capo
dello Stato cubano c'è un piccolo gruppo raccolto intorno a Fidel e Raúl
Castro, infatti affinché il Partito Comunista possa dirigere il Paese dovrebbe
avere un qualche tipo di democrazia interna ma non è così. Il Partito Comunista
cubano praticamente non effettua congressi. Ora, in aprile, se ne è realizzato
uno a 16 anni dall'ultimo, ma di fatto questo "Congresso" è stato
solo una riunione di burocrati, poiché i delegati, secondo quanto riporta il Granma, vengono eletti da una plenaria
di segretari.
La
restaurazione del capitalismo nell'isola, combinata con la totale mancanza di
democrazia, ha dato come risultato l'esistenza di una dittatura molto simile
alle peggiori e più sanguinarie dittature del mondo. In realtà, per certi
aspetti, si tratta di una dittatura ben peggiore di quelle. Ad esempio, durante
la dittatura di Mubarak, in Egitto, c'erano alcuni partiti di opposizione
legale, c'erano diversi giornali soggetti alla censura, ma c'erano. C'era pieno
accesso a internet e c'erano alcuni sindacati indipendenti. Tutto questo è
impensabile a Cuba.
Si
potrebbe sostenere, contro ciò che diciamo, che in quelle dittature, di Mubarak
in Egitto, Pinochet in Cile o di Videla in Argentina, ci sono stati migliaia di
prigionieri politici, sequestrati, torturati e uccisi e che ciò non esiste a
Cuba. Questo è vero. Ma cosa succederà a Cuba quando ci saranno scioperi,
mobilitazioni, gruppi guerriglieri, e scontri con la polizia, come è successo
in quei Paesi? Che cosa farà la dittatura cubana? Lascerà il potere?
Abbandonerà i suoi favolosi privilegi ottenuti con la restaurazione del
capitalismo?, O reprimerà violentemente le azioni delle masse quando porranno
in questione i suoi privilegi?
Per
fare solo un esempio di cosa può succedere, vediamo quello che sta accadendo in
Libia. Lì, come nel resto dei Paesi arabi, le masse si sono mobilitate contro
la povertà e contro il dittatore, il colonnello Gheddafi. Di fronte a questa
realtà Gheddafi, il quale, come la leadership cubana in passato, ha avuto gravi
scontri con l'imperialismo (e oggi è il suo partner), ha represso nel sangue a
tal punto queste mobilitazioni che ha causato una guerra civile. Da che parte
si è posto Fidel Castro in questa guerra? Dalla parte del genocida Gheddafi.
Non
è la prima volta che Fidel prende una posizione di questo tipo. Quando nel 1967
i carri armati sovietici schiacciarono la rivoluzione cecoslovacca contro la
burocrazia (la quale burocrazia alla fine ha portato questo Paese alla
restaurazione del capitalismo), Fidel si schierò con i carri armati sovietici
contro i lavoratori della Cecoslovacchia. Ma in questo caso, di fronte alla
guerra civile in Libia, non si tratta solamente di una nuova posizione
sbagliata. Si tratta di una minaccia annunciata alle future e inevitabili
mobilitazioni delle masse a Cuba.
Fidel
ha detto che non sono le masse popolari libiche che vogliono rovesciare
Gheddafi, ma l'imperialismo. Per sostenere questa posizione usa come argomento
i bombardamenti della Nato e degli Stati Uniti, nascondendo il fatto che ciò
che l'imperialismo vuole è riprendere il controllo del Paese (del petrolio),
che è stato posto in questione, non da Gheddafi, ma dalle masse insorte che si
sono sollevate contro di lui.
Ponendosi
a fianco di Gheddafi, Fidel non solo sta annunciando che farà lo stesso, nel
suo Paese, quando le masse metteranno in discussione il suo potere, ma sta già
mostrando gli argomenti che userà per giustificare la repressione contro i
lavoratori e la gioventù. Dirà che è tutta opera dei gusanos e della Cia.
Non c'era, non c'è un altro cammino?
Non
è vero che Cuba non aveva o non ha altra alternativa che cadere nelle mani del
capitalismo globale. Gli impressionanti profitti dell'industria turistica, la
produzione e le riserve di nichel, la produzione di zucchero, di caffè e di
tabacco, se fossero nuovamente nelle mani dello Stato, e se lo Stato
funzionasse di nuovo sulla base di una economia pianificata, sarebbero
sufficienti a garantire ai cubani almeno l'accesso agli alimenti e ai medicinali.
E'
chiaro che, anche espropriando la nuova borghesia nazionale e le imprese
imperialiste, sarebbe impossibile per Cuba, in maniera isolata, superare i Paesi
capitalisti della regione, per non parlare delle grandi potenze imperialiste.
Ma perché Cuba, se espropriasse nuovamente il capitalismo, dovrebbe rimanere
isolata? Se esploderanno decine di rivoluzioni in tutto il mondo contro il
capitalismo, che cosa succederebbe se la leadership cubana appoggiasse queste
rivoluzioni fino alla vittoria? Cuba non sarebbe isolata. Per esempio, in Libia
le masse stanno portando avanti una rivoluzione armata contro il dittatore
Gheddafi, molto simile a quella che i cubani fecero alla fine degli anni Cinquanta
contro il dittatore Batista. Che cosa succederebbe se la dirigenza cubana
sostenesse questa rivoluzione? Le possibilità di vittoria sarebbero molto
maggiori e in questa maniera Cuba sarebbe molto meno isolata. Ma purtroppo da
molti anni la dirigenza cubana non vuole nuove Cuba, così è stata contro
l'espropriazione della borghesia in Nicaragua e a El Salvador, ed ora è contro
l'espropriazione delle favolose ricchezze del regime libico. Peggio ancora, in
questo caso è a favore del genocida Gheddafi.
Non
è vero che Cuba non aveva altra strada che abbracciare il capitalismo. Chi non
aveva né ha altra via è la dirigenza cubana per non aver difeso, per decenni,
il cammino della rivoluzione internazionale in luogo della coesistenza con il
capitalismo.
Dare piena solidarietà ai lavoratori e alle masse popolari cubane
Chiamiamo
gli operai, i contadini, gli studenti e gli intellettuali, dell'America Latina
e del mondo, a essere solidali con il popolo cubano che sta soffrendo la fame,
che sta sopportando una brutale dittatura e che è minacciato di essere
massacrato quando inizierà a sollevarsi contro i suoi sfruttatori e oppressori.
Questa
solidarietà deve iniziare dal conoscere e dal divulgare ciò che sta realmente
accadendo a Cuba. Questa conoscenza sarà un ostacolo importante a che siano
accusati di essere agenti della Cia i futuri combattenti cubani e che con
questo pretesto siano colpiti, incarcerati o fucilati come sta facendo l'amico
dei fratelli Castro, il colonnello Gheddafi, in Libia.
Estendiamo
questo appello all'insieme delle direzioni delle organizzazioni di sinistra,
comprese quelle che difendono l'attuale regime. Facciamo questo perché
riteniamo che queste organizzazioni, che sono complici dello sfruttamento
brutale a cui i lavoratori cubani sono sottoposti, ancora non si sono macchiate
le mani con il sangue di questi lavoratori.
Facciamo
appello in particolare alle migliaia di attivisti onesti in tutto il mondo, che
senza conoscere bene la realtà cubana, credono che Cuba sia il bastione del
socialismo.
Può
essere che non si fidino di quello che diciamo perché, anche se siamo stati
sempre dalla parte della rivoluzione cubana, non abbiamo mai difeso il regime
dei fratelli Castro. Ma ci appelliamo a loro affinché si informino con i propri
mezzi e affinché, ove possibile, si rechino a Cuba per vedere come vivono e cosa
pensano i lavoratori e le masse cubane, al fine di verificare se ciò che stiamo
dicendo in questa dichiarazione corrisponde alla verità o no. A partire da ciò
l'unica cosa che gli chiediamo è di dire la verità ai loro compagni di lavoro o
di studio.
Il regime cubano sta infangando le gloriose bandiere del socialismo
Forse
la cosa più inquietante di tutto ciò che accade a Cuba è il fatto che il
governo giustifica il suo intero progetto controrivoluzionario (restaurazione
del capitalismo per mezzo di una dittatura brutale) in nome del socialismo,
perché ciò provoca lo scompiglio nella coscienza delle masse, e in primo luogo
delle stesse masse cubane.
A
Cuba è rimasto molto poco, quasi nulla, della rivoluzione. La rivoluzione oggi
si può trovare solo nei musei, e nei suoi simboli: i ritratti del Che, di Fidel
e di Camilo Cienfuegos, si sono trasformati in souvenir, ma solo per i turisti
perché per quanto si provi e si riprovi, a Cuba è praticamente impossibile
incontrare un giovane cubano con una maglietta di Che Guevara, con una bandiera
cubana per non parlare del ritratto di Fidel.
I
cubani, in questo modo, mostrano, non solo per quello che dicono, ad ogni ora e
in ogni momento, ma anche nel loro modo di vestire, che non ne vogliono sapere
niente del governo, ma insieme a questo, la nefasta politica del governo e del
Partito Comunista fa si che molti si allontanino non solo dal governo ma anche
dal socialismo, perché è inevitabile, purtroppo, che molti pensino: "se
questo è il socialismo, io non sono socialista", o peggio ancora, che
dicano, "se questo è il socialismo, sono a favore del capitalismo".
Senza
dubbio non abbiamo diritto di essere pessimisti. Le rivoluzioni che
rovesciarono le dittature dei partiti stalinisti dell'Est europeo, le
mobilitazioni di massa in Europa e la rivoluzione araba, non ci danno tale
diritto, perfino a Cuba, perché sebbene sia vero che la Rivoluzione del '59 si
può trovare solo nei musei, è anche vero che una nuova e poderosa rivoluzione,
contro l'attuale regime dittatoriale e restaurazionista, è in gestazione. Per
ora si è espressa nel malcontento contro la dittatura, ma non passerà molto
tempo che questo malcontento, che già si sta trasformando in molti settori in
odio, si trasformi in azione, e quando questo accadrà si capirà perché i cubani
sono tanto orgogliosi della loro gente e del loro Paese, nonostante le
umiliazioni quotidiane che subiscono.
(traduzione dallo spagnolo Giovanni “Ivan” Alberotanza)