Partito di Alternativa Comunista

FARE COME L

FARE COME L’EGITTO

 

 

risoluzione del Comitato Centrale del Pdac

 

l fuoco della rivolta, ormai una rivoluzione, appiccato in Tunisia si sta propagando in tutta l’area del Maghreb. Dopo Tunisi, Rabat, Algeri e Sana oggi è la volta del Cairo, Alessandria e tutte le maggiori città dell’Egitto.

egitto 2011

 

I Le preoccupazioni di tutti gli analisti borghesi che la rivolta del “gelsomino” potesse arrivare in Egitto, Paese che insieme a Israele e Arabia Saudita forma una sorta di triangolo per garantire il controllo dell’imperialismo su tutto il Medio Oriente, si sono avverate. Il regime di Mubarak, al potere da trenta anni, sta cedendo sotto i colpi della ribellione di centinaia di migliaia di lavoratori e disoccupati, in grande maggioranza giovani e giovanissimi, che scendono in strada a protestare sfidando i colpi della repressione. L'imponente apparato repressivo dello Stato egiziano, armato fino ai denti dagli Stati Uniti, è stato piegato dalla piazza. E' la conferma pratica di uno dei postulati del marxismo: di fronte alla violenza rivoluzionaria delle masse nessun regime è in grado di resistere, anche lo Stato più forte può essere spezzato.

Arresti, ferimenti e assassinii nelle piazze non fermano le mobilitazioni. Negli scontri iniziati venerdì 28 gennaio si contano centinaia di arresti, feriti e al momento oltre cento morti. La popolazione, tuttavia, risponde colpo su colpo. Il Cairo è in fiamme. I manifestanti assaltano i mezzi della polizia e i palazzi del potere, mentre interi reparti dell'esercito fraternizzano con la rivolta. La sede centrale del partito di Mubarak è in fiamme, assediata da migliaia di giovani.
Ad Alessandria, stesso scenario. Le agenzie di stampa informano che qui persino la polizia si rifiuta di attaccare la popolazione. L’esercito coi blindati cerca di riportare la calma, ma senza riuscirci. Alcuni carri armati sono stati attaccati a Suez. Nel pieno del coprifuoco proclamato da Mubarak, le piazze sono colme di manifestanti.
Un regime che fino a pochi giorni fa veniva presentato anche dalla stampa borghese europea come eterno, vede il suo futuro a rischio. Il controllo poliziesco su ogni forma di dissenso, la corruzione, la miseria che attanaglia la popolazione, accentuata dagli effetti della crisi economica globale, e infine l’esempio della rivoluzione tunisina, hanno spinto decine e decine di migliaia di egiziani (che commentatori occidentali, con metro razzista, definivano “indolenti” in quanto arabi) a tentare di prendere in mano il proprio destino.

Le cancellerie di Europa e Stati Uniti sono letteralmente terrorizzate dal corso degli eventi. Sanno che per i loro interessi, la perdita del controllo sull’Egitto potrebbe avere effetti catastrofici in tutto il Medio Oriente e non solo. Così, dopo avere ribadito la fiducia nel partito al potere, ora hanno cambiato cavallo. L’uomo su cui puntano è El Baradei, ex alto papavero dell’Onu. Potrebbe svolgere una funzione gattopardesca: cambiare perché nulla cambi. Ma non è certo di un nuovo rais, magari di modi più gentili, e con un fare più consono agli usi della diplomazia occidentale, quello di cui necessitano gli egiziani; come i loro fratelli tunisini non accetteranno soluzioni di facciata. Pane, lavoro, diritti sindacali e civili per uomini e donne. Queste rivendicazioni immediate non possono essere soddisfatte se non attraverso una continuazione della rivoluzione che sfoci nella cacciata di tutti i lacché dell’imperialismo, e nella creazione di un vero governo a favore del popolo, un governo operaio e contadino che espropri senza indennizzo sia le industrie dei capitalisti indigeni e stranieri, sia gli enormi latifondi che costringono alla fame milioni di persone. Per far questo serve una direzione coerentemente rivoluzionaria delle lotte. La costruzione di un partito comunista rivoluzionario in Egitto diventa, ogni ora che passa, una necessità sempre più evidente e vitale: o la rivoluzione proletaria o la reazione, questa è la vera alternativa che i giovani egiziani hanno davanti.

Il Comitato Centrale del Pdac, sezione italiana della Lega Internazionale dei Lavoratori - Quarta Internazionale, saluta con entusiasmo l’inizio della rivoluzione egiziana, e auspica che il contagio rivoluzionario iniziato con l'assalto al parlamento greco l'anno scorso, sviluppatosi poi con le imponenti manifestazioni in tutta Europa, continuato quindi in Tunisia, poi in Albania e oggi divampato in Egitto, possa svilupparsi ulteriormente risalendo nuovamente il mediterraneo e riesplodendo in Europa, a partire da una grande mobilitazione per cacciare il governo Berlusconi che al contempo blocchi la strada all'alternanza confindustriale (a guida Bersani o Vendola) che il Pd sta preparando (e a cui si accoderebbe la sinistra governista di Sel e di Rifondazione). Impegnamoci perché nelle piazze italiane e di tutta Europa risuoni un nuovo slogan: fare come l'Egitto!

 

(Risoluzione approvata all’unanimità dal Comitato Centrale del Pdac, riunito a Rimini il 29 e 30 gennaio 2011).

 

 

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