Partito di Alternativa Comunista

Fuori le truppe Onu da Haiti!


La delegazione della Conlutas e il popolo haitiano esigono:
Fuori le truppe Onu da Haiti!
 
(versione in italiano del Correo Internacional, pubblicazione della Lega Internazionale dei Lavoratori
- n. 131, luglio 2007)
 
 
Nell’ultima settimana dello scorso giugno, una delegazione della Conlutas (Coordinamento nazionale delle lotte) del Brasile, composta da dirigenti sindacali, sociali e studenteschi e da rappresentanti del Pstu (sezione brasiliana della Lit) e del Psol (Partito Socialismo e Libertà), ha visitato Haiti.
Nel corso del viaggio, realizzato a seguito dell’invito fatto dall’organizzazione sindacale haitiana Batay Ouvriye (Bo), vi sono stati colloqui col presidente haitiano, René Préval, con il comandante della Minustah (le truppe Onu), l’ambasciatore brasiliano, e diverse riunioni con lavoratori, contadini e settori popolari. In queste occasioni la delegazione ha consegnato la “Lettera al popolo haitiano”, che riproduciamo più sotto.
 
La delegazione della Conlutas ha così ripreso la vecchia tradizione dell’internazionalismo operaio e popolare. In particolare il principio, purtroppo oggi quasi dimenticato, che stabilisce che se un Paese (Brasile) opprime un altro più debole (Haiti), i lavoratori del Paese oppressore devono lottare, insieme al popolo oppresso, contro il loro governo e la loro borghesia.
 
In questo contesto è imprescindibile una grande campagna unitaria internazionale (a partire dall'America Latina) che rivendichi: Fuori le truppe della Minustah da Haiti! e l’appoggio alla lotta del popolo haitiano perché recuperi la sua indipendenza nazionale.
 
Le lettere che Eduardo Almeida Neto (dirigente del Pstu e della Lit-Quarta Internazionale) ha inviato nel corso della visita forniscono un rapporto dettagliato delle attività svolte. In fondo abbiamo allegato la denuncia fatta da Bo sulle minacce ricevute dalle bande armate e dalla Minustah.
 

 
Lettera della Conlutas al popolo haitiano
"NESSUN POPOLO PUO’ ESSERE LIBERO SE NE OPPRIME UN ALTRO"
 
Ancora una volta Haiti subisce un’occupazione, ora da parte di truppe latinoamericane. Paesi oppressi che ne opprimono uno ancor più oppresso. Sotto la falsa copertura della “difesa della democrazia” si impone l’oppressione, lo sfruttamento, la miseria, macchiando il suolo del vostro Paese col sangue della vostra gente. In realtà è un intervento che ferisce la sovranità del popolo haitiano, permettendo all’imperialismo di sfruttarlo ancor di più e di trasformare il territorio haitiano in una piattaforma per l’esportazione di prodotti delle imprese multinazionali. Il governo brasiliano di Luiz Ignacio Lula Da Silva detiene il comando delle truppe su questo territorio, eseguendo così un ruolo nefasto di agente dell’imperialismo oppressore. I lavoratori e il popolo brasiliano non appoggiano questo crimine.
 
Al contrario, all’eroico popolo haitiano, protagonista della prima e unica rivoluzione di schiavi vittoriosa, la prima nazione che ha conquistato l’indipendenza in America Latina, che con coraggio ha affrontato tante dittature nella sua storia, e che accolse Simón Bolívar, rafforzando i suoi ideali di libertà, vogliamo dire che:
 
Saremo con voi nella lotta per la liberazione del vostro territorio e saremo più che solidali, perché siamo impegnati nella stessa lotta. Anche se distanti impegnamo una sola battaglia contro la colonizzazione imperialista. Crediamo, come Augusto Sandino, che la libertà non si chiede, si conquista...
 
I firmatari di questa lettera stanno nel "teatro delle operazioni", facciamo parte di questo scenario. Condividiamo le vostre angustie e sofferenze, e anche noi ci uniamo alla trincea della resistenza, della ricerca dell’autodeterminazione dei nostri popoli. Sognamo lo stesso sogno di libertà. La vostra lotta è la nostra lotta, la vostra vittoria sarà la nostra vittoria, la libertà di un popolo è motivo di gioia per tutta l’umanità.
 
Per il ritiro immediato delle truppe brasiliane e degli altri Paesi da Haiti.
Per l’autodeterminazione del popolo haitiano.
 

LE LETTERE DI EDUARDO ALMEIDA NETO RACCONTANO IL VIAGGIO AD HAITI
 
Primo giorno
“BENVENUTO AD HAITI, RIBELLE!”
 
Il primo contatto con Haiti è Port-au-Prince... i quartieri... ricordano i morros di Río de Janeiro. Le truppe brasiliane stanno invadendo questi quartieri... sparano, uccidono, se ne vanno. Uscendo dall’aereo il calore è soffocante. Il popolo haitiano è nero e bello... Il Paese è conosciuto per la miseria impressionante, per il tasso di disoccupazione all’80%. Non si conosce invece la storia di un popolo che ha fatto la prima rivoluzione nera e anticoloniale vittoriosa, che ha sconfitto la sanguinaria dittatura dei Duvalier nel 1986. E che un giorno si ribellerà ancora di fronte a questa miseria.
 
Ci stanno aspettando i compagni di Batay Ouvriére, un’organizzazione sindacale e popolare importante, che lotta contro l’occupazione. Ci portano direttamente a una riunione di ricevimento in una delle sue sedi a Belair… Vediamo i soldati brasiliani nelle strade, armati fino ai denti, una copia degli yankees in Irak.
 
Ci ricevono in una quarantina. La delegazione brasiliana riempie la casa. Le facce simpatiche degli haitiani ci fanno sentire a nostro agio... Sul muro un cartello in creolo: “now se wowoli, nam mitan pitini” (siamo alberi piccoli, ma siamo tantissimi, ci possono calpestare, ma non ci toglieranno il profumo). George, di Batay Ouvriére, inizia la riunione. Un operaio ci spiega come le truppe brasiliane reprimono le mobilitazioni. Un "senza terra" parla di occupazioni, un’operaia delle maquiladoras racconta che le fabbriche non permettono i sindacati. I salari degli operai delle maquiladoras sono di 60 dollari al mese... Marceline, una vecchia operaia, ci fa vedere che le mancano i denti, dice che il direttore della fabbrica l’ha colpita buttandola a terra e rompendole i denti. Dice che ha già i capelli bianchi, che non vedrà il giorno della rivoluzione, ma che quel giorno verrà e che i suoi nipoti potranno vivere meglio. Toninho, del Sindacato dei Metallurgici di São José dos Campos (San Paolo del Brasile) e del Pstu, consegna la Lettera portata dal Brasile, con centinaia di firme. Tutti applaudono. Marceline parla ancora per dire che la Lettera da sola non risolve nulla, che è necessario lottare.
 
Di ritorno all'hotel un altro compagno di Batay ci mostra le statue di Toussant L’ouverture e Dessaline, eroi dell’indipendenza haitiana… Ci informa dello sciopero degli autobus, che dura da dieci giorni, che è stato uno sciopero quasi generale perché la gente non poteva e non voleva andare a lavorare. La temperatura sta aumentando: “Benvenuto ad Haiti, ribelle!”.
 
Secondo giorno
RIUNIONE CON L’AMBASCIATORE E INCONTRO CON GLI STUDENTI
 
In mattinata l’incontro con l’ambasciatore del Brasile, Paulo Cordeiro de Andrade, e col comandante delle forze Onu, generale Carlos Alberto Santos Cruz. Il diplomatico è molto più di un ambasciatore ad Haiti: svolge compiti di governo (qui dicono che comandi più del presidente). (…)
 
La riunione è uno scontro. Toninho espone la nostra posizione e consegna la Lettera portata dal Brasile, che pretende il ritiro delle truppe. L’ambasciatore e il generale rispondono ben preparati. Altri componenti della delegazione attaccano l’occupazione. Il nostro giornalista... mette la discussione in rete, nel blog della Conlutas. L’argomento dell’ambasciatore è: oggi c’è più tranquillità ad Haiti grazie alle truppe brasiliane e degli altri Paesi, perché le azioni delle bande armate di Lavalas (gruppo militare di Arístide, il presidente deposto) sono diminuite. Si tratta di un’azione “necessaria”. Quel che l’ambasciatore nasconde è per chi è questa ‘’tranquillità’’. (…) In realtà era necessaria per attirare gli investimenti e per applicare un piano economico neoliberale durissimo nel Paese.
 
Ciò significa garantire il piano di privatizzazioni annunciato dal presidente Préval: telefonia, sanità, porti e l’aeroporto, un aumento di quasi il 40% per i combustibili. Le truppe brasiliane cercano di garantire “tranquillità” alla borghesia e agli imperialisti. Oltre a ciò reprimono gli scioperi, come quello della Larsco, dove i soldati entrarono nella fabbrica per attaccare i lavoratori. La riunione si conclude senza alcun accordo. (…) La stampa locale inizia a parlare di noi.
 
Di sera abbiamo una discussione con gli studenti dell’Università di Haiti. Ieri c’è stato uno scontro con la polizia locale, con cinque studenti feriti. L’università era quasi vuota e l’attività minacciata. Il salone si chiama Alexandra Kollontai (famosa rivoluzionaria russa del 1917). Gli studenti arrivano, in più di duecento. Toninho espone l’obiettivo della delegazione ed è molto applaudito. Janira, della Conlutas e militante del Psol, descrive la riunione della mattina con l’ambasciatore. Soto, dirigente studentesco della Conlute e militante del Pstu, buon agitatore, entusiasma la platea ed è il più applaudito.
 
Tornando all’hotel, una scena incredibile: nella terrazza di una casa una televisione stava trasmettendo la partita Brasile-Messico. Circa trecento persone si affollano per i vicoli, invadono la strada e obbligano le auto ad aprirsi la strada strombazzando... Decidiamo di vedere il resto della partita insieme agli haitiani. L’entusiasmo è incredibile, per quanto la nazionale non aiuti (…). Nessuno di loro ha neppure una birra per le mani, a causa della miseria regnante. Alla fine protestano contro Dunga. Vedendo questo entusiasmo, questa tifoseria più forte di quella brasiliana, si comprende meglio il gioco criminale di Lula: per benedire l’occupazione militare ha portato la nazionale brasiliana a giocare ad Haiti. In questo modo manipola una forte identità culturale e razziale degli haitiani coi brasiliani, al servizio di una politica reazionaria. Nonostante ciò i compagni di Bo dicono che c’erano scritte che dicevano: “Adriano sí, Ribeiro no”. Adriano è il giocatore di una precedente nazionale brasiliana. Ribeiro era il generale che prima comandava le truppe.
 
Terzo giorno.
INCONTRO CON IL PRESIDENTE. NEL PAESE COMANDANO LE TRUPPE ONU
 
Oggi abbiamo parlato con il presidente René Préval. Arrivando abbiamo trovato tutte le apparenze e formalità del potere: un palazzo lussuoso, tutto bianco, decorato con busti in bronzo degli eroi della liberazione del Paese, posti di sbarramento con metal detector e poliziotti solerti. Nient'altro che apparenza: il presidente è un fantoccio, tenuto in piedi dalle truppe dell'Onu, diretto dall'ambasciata brasiliana.

Ci siamo accomodati ed è entrato Préval, attento e gentile (...). Toninho ha presentato la Lettera.... Préval ha risposto ringraziando per la solidarietà. Si dice d'accordo e che le truppe devono andare via ma non ora. Cita Mao: "E' necessario capire quale è la contraddizione principale e quale la secondaria in ogni momento." Le bande armate del narco-traffico sono ancora forti e lo Stato haitiano non ha nemmeno una polizia. Questa sarebbe, allora, la contraddizione principale, non le truppe straniere. Appena sarà possibile, le truppe si ritireranno. Io gli ho risposto che siamo spiacenti del fatto che egli difenda l'occupazione... che la contrapposizione in realtà non è tra le truppe e le bande armate del narco-traffico, bensì tra le truppe e la lotta dei lavoratori di Haiti, e che non siamo venuti per offrire solidarietà a lui ma al popolo haitiano che sta lottando contro le truppe e contro di lui.

La gentilezza è cessata immediatamente: ci ha attaccato come "di sinistra", è diventato nervoso, ma non ha risposto alle contestazioni. Aderson, rappresentante dell'Ordine degli avvocati del Brasile, ha detto che è presente per preparare una relazione per il suo Ordine sulla situazione dei diritti umani ad Haiti e che sta vedendo atti di abuso delle truppe. A quel punto, un fatto strano: Préval, improvvisamente, si è infilato sotto il tavolo. Alcuni hanno pensato che fosse svenuto, altri che ci fosse qualche problema di sicurezza. Passati una trentina di secondi, eccolo rimettersi in piedi, sorridendo. Allora abbiamo capito, era uno scherzo, per fingere che non poteva sentire ciò che gli veniva detto. Ha continuato così, ridicolo e patetico: un presidente chinato sotto al tavolo! La riunione è proseguita per quasi un'ora, con tutta la delegazione a contestare l'occupazione e con lui che non rispondeva a niente... Un indizio della fragilità del governo: è stato un'ora a farsi contestare da noi senza rispondere a niente, ma senza mandarci via.

Un'altra parte della delegazione è andata a parlare con il ministro del Lavoro e la responsabile delle zone franche. Queste riunioni erano importanti affinché Bo presentasse al governo una lista di richieste, ma sono servite anche per mostrare l'atteggiamento di questo governo. Uno dei funzionari ha difeso la repressione dicendo che gli haitiani "sono pigri e indisciplinati". Un'altra funzionaria ha aggiunto che non si può essere "sentimentali" con le donne in gravidanza se non osservavano le regole del lavoro. Questa affermazione è emersa a partire da un fatto vergognoso: una lavoratrice incinta è stata picchiata e trascinata nel fango perché stava partecipando a una manifestazione. La giustizia ha riconosciuto il fatto come "delittuoso" ma non ha disposto nessuna punizione per "non pregiudicare gli investimenti."
 
Quarto giorno
CAP HAITIEN: "VI SALUTIAMO, QUI NON CI SONO PADRONI."
 
Le strade di Port-au-Prince sono sempre piene: con una disoccupazione dell'80%, il popolo si dedica a vendere di tutto nelle strade. Le macchine si fanno largo strombazzando con un rumore infernale. La popolazione nera, di una bellezza che fa impressione, è circondata dai segni evidenti della miseria. La spazzatura è ammucchiata ovunque.
 
Viaggiamo a Cap-Haitien (il Cap, come dicono gli haitiani). E', forse, la città economicamente più importante del Paese e fu uno dei centri della rivoluzione degli schiavi. La strada è tortuosa e piena di buche. Sette ore dopo arriviamo e veniamo ricevuti in una sede del Bo.
 
Nell'entrare diversi di noi hanno gli occhi lucidi: vestite con le magliette azzurre del Bo, quattrocento persone cantano in creolo, con un ritmo di tipo africano... La musica rimbomba nell'ampio salone: "vi salutiamo, vi salutiamo, qui non ci sono borghesi, qui non ci sono padroni, vi salutiamo".
 
Seduti, continuano a cantare: "Sappiamo che la borghesia armò una banda per ammazzare alcuni dei nostri. Che vengano pure, siamo tori, siamo forti." (...) Il riferimento alla "banda della borghesia" si spiega col fatto che ci sono rappresentanti dei lavoratori senza terra, due dei quali sono stati assassinati dalla repressione governativa di Aristide, durante l'occupazione delle terre, nel 2002.
 
Toninho presenta i membri della delegazione brasiliana. Anche essi, a loro volta, si presentano: sindacalisti di una industria di gassose, di un birrificio, operai agricoli, contadini senza terra, associazioni di quartiere, studenti. Batay Ouvrieye ha una forza notevole nella regione. Uno dei suoi dirigenti mi racconta che il primo maggio fanno manifestazioni che attraversano tutti i quartieri operai e arrivano a riunire anche diecimila persone. (...)
 
Toninho legge la Lettera e parla della somiglianza della loro lotta con la nostra; Hanira parla della lotta del Movimento per la Terra, il Lavoro e la Libertà; Dayse fa riferimento all'unità etnica e di classe nella lotta brasiliana e haitiana... Io rendo omaggio ai loro due compagni morti e ai caduti del Pstu in Brasile (Zé Luis, Rosa, Gildo). Aderson dice che la lotta contro le truppe avrà una crescita dopo questo viaggio. Vari dirigenti della zona prendono la parola. Uno di essi dice che è necessario "lottare contro gli opportunisti che pretendono di parlare a nome del popolo", come Lula e Aristide, e di come hanno tradito le speranze dei lavoratori. La manifestazione si conclude con balli e un canto in creolo: "Aguanta corazon!".
 
Quinto giorno
ZONA FRANCA: ANCORA LO SFRUTTAMENTO E L'ARROGANZA IMPERIALISTA
 
Stamattina abbiamo visitato una meraviglia dell'architettura mondiale: la grande fortezza che è stata costruita dai neri liberati e non dai colonialisti europei. (...) La cittadella, nei sobborghi di Cap-Haitien, è una dimostrazione dello sviluppo diseguale e combinato nel campo dell'architettura e dell'ingegneria militare. Costruita poco dopo l'indipendenza di Haiti, nel 1804, fu parte di una serie di grandi fortificazioni edificate per la difesa, nel caso che la metropoli tentasse una nuova invasione. Fu ideata da un ingegnere militare haitiano, che studiò in Francia e lì apprese le più moderne tecniche di ingegneria militare europea... Con 375 cannoni, fu costruita da decine di migliaia di haitiani, in un lavoro durato sette anni. E' un'espressione della forza della rivoluzione e della più avanzata tecnica del mondo a quell'epoca. (...)
 
Gli europei non consideravano gli schiavi come persone, ma come cose, proprietà, animali. Ma i neri haitiani sconfissero gli eserciti delle principali potenze del mondo di quell'epoca: Francia, Spagna e Inghilterra. I grandi generali neri eguagliarono e superarono i maggiori strateghi dell'epoca, perfino Napoleone. L'arroganza imperiale contro gli haitiani si dimostrò una stupidità storica. (...)
 
Andiamo a Ouanaminthe, dove è situata la prima zona franca di Haiti. Queste zone franche iniziarono ad esistere sotto il governo di Aristide... La Codevi ne è un emblema: fabbrica jeans per marche famose, come Levis e Wrangler, ed è parte di un conglomerato dominicano legato a Chase Manhattan. Gli operai percepiscono 46 dollari al mese e lavorano sotto la vigilanza di capo-squadra armati (come denuncia il sindacato). Poco dopo l'inizio della produzione, nel 2003, è stato organizzato un sindacato per lottare contro questi abusi. La reazione immediata fu il licenziamento di 34 attivisti. Uno sciopero di due giorni fece retrocedere i padroni e avanzare gli operai, guadagnando la prima vittoria nella zona. Immediatamente, 370 operai si affiliarono al sindacato. Poco dopo, la fabbrica licenziò i 370, e iniziò un'altra lotta di più di un anno, con scioperi e una campagna internazionale che arrivò fino agli Stati Uniti. Un'alleanza con gli studenti universitari di New York e Los Angeles rese possibile il boicottaggio dei jeans di queste marche. A quel punto, l'impresa dovette arrendersi e riammettere i lavoratori licenziati.
 
Arrivando, siamo andati in una sede del Bo. Dopo pranzo, c'è stata una riunione con circa cento persone della zona. Tra loro, operai e operaie della Codevi e del sindacato dell'azienda. Una giovane operaia ha raccontato di come sono nuovamente in lotta, contro il licenziamento di 42 lavoratori in seguito a uno sciopero spontaneo per motivi salariali.
Poi siamo andati fino alla fabbrica. All'entrata abbiamo visto cinque baracche di legno senza pareti a confronto delle quali sembrerebbe un palazzo la peggiore favela brasiliana. Lì mangiano seimila lavoratori e il tutto ricorda molto il passato di schiavitù. Abbiamo attraversato un ponte su un fiume (dal significativo nome di Massacro) e ci siamo trovati di fronte le guardie armate che presidiano l'ingresso della Codevi.
 
Ecco la reale spiegazione economica dell'occupazione: le truppe sono qui per garantire un piano economico che prevede 18 zone franche. Vogliono approfittare della mano d'opera in condizioni di semischiavitù per produrre per il mercato degli Usa, di Miami. Di nuovo lo sfruttamento violento si combina con un'occupazione militare ad Haiti. Di nuovo l'arroganza imperialista e la violenza contro i lavoratori sono la regola in questo Paese.
 
Sesto giorno
SIAMO A CASA: SIAMO A CITE' SOLEIL...
 
Ieri, la strada era interrotta da un fiume dopo il temporale... Oggi, dopo otto ore di viaggio siamo arrivati a Port-au-Prince. Ci sono segni di stanchezza sui visi di tutti. La nostra ultima attività insieme ai lavoratori haitiani avviene in un posto molto significativo: Cité Soleil, la più grande favela di Haiti. E' la zona più violenta della città, dove la Minustah scatenò vari attacchi durissimi. Sempre con la scusa della "repressione delle bande del narco-traffico", le truppe arrivano e sparano contro le case dei lavoratori. Nell'ultima invasione, ci racconta un membro del Bo della zona, sono arrivati con elicotteri e carri armati... Egli calcola che ci siano state circa 150 vittime. Questa regione fu scelta anche per insediare un'altra zona franca...
La repressione violenta ha un evidente significato economico.
 
Entriamo in Cité. Marrom, dirigente dell'occupazione di Sao José dos Campos, va a visitare qualche casa. Torna impressionato: usano latrine rudimentali e hanno tombe nel cortile di casa. L'autobus ci fa scendere di fronte alla scuola dove si terrà l'assemblea. La sala è ampia e riempita da almeno 250 persone, malgrado il momento non sia favorevole (c'è la partita del Brasile contro il Cile).
 
I volti sono simpatici e gentili, e siamo ricevuti col consueto cameratismo. Un compagno del Bo ci accoglie dicendo che siamo a casa nostra. E' vero, ci sentiamo tra amici, come tra lavoratori brasiliani. Rifletto su come la lotta comune rompa barriere: siamo a casa nostra a Cité Soleil, come nessun altro straniero potrebbe esserlo. Si fanno le presentazioni dei presenti, come si usa qui. Toninho parla della Lettera. A metà del suo discorso, dice che ama il suo Paese e il calcio, e che sa che per gli haitiani è lo stesso. Ma se essi bruciassero una bandiera del Brasile in una manifestazione contro le truppe, noi li appoggeremmo. E' applauditissimo. Olair, un rappresentante del Sindsef di San Paolo, parla della sua pelle nera e di come si identifica col popolo haitiano... la sua voce si incrina per l'emozione e ci commuove tutti.
 
Tra i presenti, c'è la delegazione della Hanes, la più importante azienda di magliette degli Usa. L'azienda ha appena licenziato 600 lavoratori per chiudere la fabbrica locale. E si rifiuta ora di pagare le indennità. Gli operai sono venuti all'assemblea per discutere con noi di una lotta comune, non solo contro l'occupazione militare ma anche contro l'azienda. Una delle operaie parla, e la sua indignazione cresce. Racconta di come lavorano 12 ore di fila, senza diritto a nessun intervallo per il pranzo o per andare in bagno, per circa 55 dollari al mese. La fabbrica metteva catene alle porte per evitare che gli operai lasciassero la linea di produzione per andare in bagno. Ora licenziano tutti e non vogliono pagare niente. Conclude con un giusto paragone: "siamo gli schiavi moderni". Alla fine dell'assemblea, siamo tutti allegri per aver visto la Cité ribelle. Non vedo più i segni di stanchezza sui volti.
 
Settimo giorno
ULTIMA NOTTE AL RITMO DEL VUDU'
 
Domani torniamo in Brasile. Per il pomeriggio Bo ha programmato un incontro con alcune organizzazioni per i diritti umani. Ci hanno avvisato che era probabile la presenza di gruppi favorevoli all’occupazione che avrebbero polemizzato con noi. La discussione si è tenuta in una grande scuola di Port-au-Prince. (...) Un centinaio di persone hanno ascoltato Toninho leggere ancora una volta la Lettera. Padre Joseph ha polemizzato con quelli che difendono la presenza della Minustah per “combattere la violenza”: ha detto che la prima violenza è non avere da mangiare e che il piano neoliberale sostenuto dalla Minustah fomenta la violenza. Un contadino ha denunciato il massacro di 139 persone nel 1987 per mano dei latifondisti sul quale non si è mai voluto indagare.

Diversi interventi hanno attaccato le truppe. Abbiamo atteso, ma quelli che avrebbero difeso l’occupazione, non si mostravano. Alla fine ha preso la parola una storica, una dei fondatori del Pc haitiano e ha difeso la presenza delle truppe “fino a che esistano le condizioni per la riorganizzazione delle forze armate”. Toninho le ha risposto che se l’occupazione desse sicurezza alla maggior parte del Paese, Haiti dovrebbe essere il Paese più sviluppato del mondo. Quello che accade è l’opposto: il disastro è frutto delle occupazioni e delle dittature pro-imperialiste che hanno governato in questi anni.

Andiamo via rapidamente perché abbiamo un impegno culturale di primo ordine: conoscere il vudù. Il padre di Raquel Dominique, la rappresentante di Bo che è stata recentemente in Brasile, è il principale sacerdote vudù del Paese e ci ha invitato per una presentazione. La cultura nera haitiana ruota intorno al vudù. Da lì vengono la danza e la musica, così come una parte importante delle sue tradizioni culturali. La religione ne è solo una parte, perché tutto il resto è la base della cultura haitiana. Fu parte importante della resistenza dei neri nella lotta contro la schiavitù e per l’indipendenza. Le riunioni per organizzare la lotta erano camuffate da celebrazioni religiose, come quella che organizzò la prima grande rivolta dei neri, nel 1791, realizzata da Burckman, un nero gigantesco, nei dintorni di Le Cap. (...)

Max Bouvoir ha i capelli bianchi, un aspetto fiero e uno stile affascinante. Gegé, professore di San Paolo, nero anche lui, lo interroga sull’immagine diffusa del vudù con i pupazzi infilzati con aghi per far del male alle persone. Max ride e dice che tutto questo esiste soltanto a Hollywood e che è un’invenzione dell’imperialismo. Conferma questa informazione: non esiste niente nel vudù che abbia a che vedere con questo. Si tratta di una menzogna grossolana per demonizzare la cultura nera haitiana.

I vestiti totalmente bianchi ricordano molto il candomblé del Brasile. Intorno a un grande albero, come in tutte le cerimonie vudù, i tamburi suonano con un ritmo incalzante. Hanno inizio il canto e la danza per celebrare Simbi Ogum, divinità delle acque. Il canto racconta una storia che viene dall’Africa; racconta la traversata nelle navi negriere e il loro arrivo e poi il lavoro in schiavitù. In lingua creola cantano: “Non capisco come mai Dio non capisca come loro ci umiliano. Il giorno in cui ci ammaleremo di colera, vomiteremo su di loro il nostro sangue”. Ora accade quello che nel candomblé conosciamo come la “incorporazione di uno spirito”. Nel vudù, lo “spirito” è il risveglio della coscienza, la nascita di un leader per la lotta. Una donna gira intorno all’albero. Si mettono fazzoletti sulle sue braccia e un coltello in mano.

Stiamo vedendo il vudù in modo completamente diverso. Cade così un’altra mitizzazione bianca e piena di pregiudizi contro i neri, al servizio della dominazione. Il vudù è una cultura ricca e viene usata di nuovo come una forma di resistenza di un popolo... Rachel, dirigente di Bo, danza tra le donne vestite di bianco. Invita anche noi a danzare. Subito, tutta la delegazione danza... Alla fine della danza Gegé ringrazia emozionato a nome della delegazione... Max Bouvoir lo abbraccia e canta “ibosé” (fratelli). Le donne e gli uomini vestiti di bianco ci abbracciano cantando “ibosé”.
 
Ottavo giorno
IL POPOLO HAITIANO RESISTE E VINCERA'
 
L’automobile procede per Port-au-Prince in direzione dell’aeroporto. (...) Mi guardo intorno ancora una volta e già con un po’ di nostalgia. La miseria nelle strade gremite è in contrasto con le palazzine che si trovano in cima alle colline. Qui, al contrario di Rio de Janeiro, la borghesia vive sulle colline. In una settimana la delegazione ha fatto molte cose: abbiamo parlato con le principali istituzioni del Paese (il presidente, l’ambasciatore brasiliano e il comandante della Minustah); abbiamo avuto un contatto stretto con il movimento operaio, con le sue lotte e con i sindacati di Le Cap. Abbiamo parlato con le organizzazioni contadine, come la Cabeza Juntas, e l’organizzazione di Le Cap dove ci fu l’assassinio di due contadini. Abbiamo parlato con settori del movimento popolare, come a Cité Soleil. Abbiamo parlato con studenti e organizzazioni dei diritti umani. Infine abbiamo avuto un contatto rivelatore con la cultura haitiana, con l’architettura della Ciudadela e con il vudù.

Circa 1.200 persone si sono riunite con noi. (...) Sembra che abbiamo provocato un sufficiente disturbo e la reazione è già incominciata. L’ambasciatore brasiliano è rimasto molto irritato dalle ripercussioni della nostra visita e ha informato Batay Ouvriyre che non ci avrebbe ricevuto più, sospendendo la riunione che avevamo ieri con gli ambasciatori latinoamericani. L’ambasciatore cileno, Paese che compete per il comando della Minustah, ha mantenuto l’incontro con noi. Quando abbiamo parlato con lui, il brasiliano è arrivato a sorpresa. All’apparenza, per “controllare” il colloquio.

Tutto ciò non ci ha disturbato. Ma ci sono state altre reazioni: la sera stessa che abbiamo lasciato Le Cap, un gruppo di uomini armati ha tentato di irrompere nella sede di Batay Ouvriyre ma sono stati respinti dalla reazione dei lavoratori della regione. Ieri, dalla mattina presto, un tank e un altro carro armato della Minustah si sono schierati davanti alla sede di Bo e sono rimasti lì per tutto il giorno, con un chiaro atteggiamento di intimidazione. Nella conferenza stampa con la quale abbiamo chiuso la nostra visita, abbiamo denunciato queste manovre repressive. Abbiamo ritenuto responsabili in prima persona l’ambasciatore brasiliano e il presidente Préval per qualsiasi repressione nei confronti di Bo. (...)

L’immagine che portiamo degli haitiani smentisce l’ideologia coloniale degli occupanti. Sì, perché l’occupazione ha una strategia economica (le zone franche e il biodiesel), un aspetto militare (la Minustah), e un’ideologia: “E’ necessario che le truppe permangano qui perché il popolo non è in condizioni di governarsi da solo”. Ciò non è niente di nuovo: è l’attualizzazione dell’ideologia coloniale che abbelliva la schiavitù, perché “i neri non erano in condizioni” se non di sottomettersi ai bianchi. L’élite haitiana e le multinazionali non temono “le bande” bensì la possibilità di una nuova ribellione, adesso sotto forma di una rivoluzione. La storia di questo popolo ha già mostrato che ciò è possibile e può ripetersi.

La partenza in aeroporto è piena di emozioni. Qui non solo abbiamo conosciuto un popolo, ci siamo fatti degli amici. Il Brasile ritorna nelle nostre preoccupazioni. La gente di Bo farà una dichiarazione di solidarietà al popolo del Morro del Alemàn di Rio de Janeiro dove la polizia ha ucciso almeno 19 persone. D’altro canto la polizia di Rio dice che sta usando le tecniche che le truppe brasiliane apprendono qui. Alla fine, Haiti è qui... e lì.
 

 
Dopo la visita della delegazione brasiliana
BATAY OUVRIYE DENUNCIA LA PERSECUZIONE
 
Bo vuole comunicare a tutti che, dopo la visita di una delegazione di sindacalisti brasiliani invitati da noi perché conoscessimo approfonditamente le loro posizioni sull’occupazione, lo sfruttamento e la dominazione vigente nel nostro Paese, sono state espresse minacce e intimidazioni contro la nostra organizzazione. Di fatto, ancora prima della partenza della delegazione, in Cap-Haitien, il giorno successivo al ricevimento di questi compagni e amici del Brasile da parte dei lavoratori della città del Nord, un gruppo di circa dieci banditi, certamente mandati appositamente, armati di pugnali, bastoni e pistole, sono arrivati, di sera tardi, alla nostra sede per insultarci. Hanno cercato di entrare nel locale, il fatto chiaramente sembrava essere un attacco ai compagni che stavano lì. Non avendo conseguito il loro obiettivo, hanno animato una confusione per intimidirci e ci hanno minacciato di rappresaglie.

A Port-au-Prince, la mattina seguente all’incontro organizzato a Cité Soleil, con gli stessi fini, dai lavoratori di Batay Ouvriye della regione, due carri armati della Minustah si sono posizionati di fronte alla nostra sede locale. Riteniamo responsabili dei fatti tanto le autorità della forza di occupazione (la Minustah) come le autorità haitiane, entrambe in stretto coordinamento con queste forze oscure, che, avendoci ricevuto, erano perfettamente al corrente delle nostre attività con la delegazione brasiliana.

Yannick Etienne, di Batay Ouvriye (Bo) di Haiti 
 
 
(traduzione, dall'originale in spagnolo, di Pia Gigli e Francesco Ricci)

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23 maggio

Cremona


MODENA

DOMENICA 14-4


16 marzo

Milano

 

 

 

 

Lega Internazionale dei Lavoratori - Quarta Internazionale

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