Partito di Alternativa Comunista

Il capitalismo sta trascinando il mondo nell'abisso

Il capitalismo sta trascinando il mondo nell'abisso
Solo una rivoluzione socialista può salvare l'umanità
 
dichiarazione del Segretariato Internazionale della
Lega Internazionale dei Lavoratori - Quarta Internazionale (Lit-QI)
 

 
foto crisi
 
L'anno 2008 sarà ricordato per l'esplosione di una delle più grandi crisi della storia del sistema capitalistico. Quella che sembrava essere una crisi ciclica come molte altre, è apparsa presto nelle sue reali proporzioni. Dal 15 di settembre, con il fallimento della banca Lehman Brothers, si è diffuso il panico nei mercati capitalistici del mondo intero. Sono fallite o crollate alcune delle maggiori banche degli Stati Uniti ed Europa. L'offerta di credito è congelata in modo generalizzato. Né le istituzioni finanziarie né i singoli capitalisti prestano denaro. La mancanza di credito minaccia di paralizzare l'economia statunitense, al punto tale che la Fed (la banca centrale degli Usa) sta prestando direttamente denaro affinché le imprese possano funzionare -attività che è assolutamente al di fuori delle sue normali attribuzioni. I governi dei principali Paesi imperialisti sono intervenuti, iniettando più di mille miliardi di dollari nelle banche e nell'economia. Ma questo non ha fermato la crisi. Giorno dopo giorno si succedono le cadute più grandi della borsa degli ultimi decenni. Solo nella prima settimana di ottobre, le borse di tutto il mondo hanno accusato perdite globali di 6,2 mila miliardi di dollari nel valore delle azioni. Sono a rischio le azioni delle maggiori imprese del mondo, come la General Motors e la Exxon, finora considerate solide. Questa è, senza alcuna esagerazione, la situazione dell'economia mondiale.
Il "pacchetto" di misure recentemente approvato da otto Paesi europei -che stanzia più di duemila miliardi di dollari per soccorrere le banche- e altre misure simili dei governi degli Usa (250 miliardi di dollari), Australia e Paesi del Medio Oriente, nonostante costituiscano il più grande intervento statale nel sistema finanziario mondiale, non riusciranno a invertire la crisi né ad ostacolare la recessione. Possono forse riuscire a calmare i mercati per qualche giorno, ma gli effetti globali di questa gigantesca operazione su bilanci, debito pubblico e indici di inflazione dei Paesi coinvolti possono generare ripercussioni ancora più gravi.
La crisi dell'economia capitalistica è una realtà che oggi è al centro di tutti gli avvenimenti mondiali. Peraltro, è un processo che è appena all'inizio e colpirà, in misura maggiore o minore, tutti i Paesi. Senza dubbio, le ripercussioni più gravi ricadranno sui lavoratori e i poveri di tutto il mondo.
Il sistema finanziario degli Stati Uniti e dell'Europa sta fallendo. La Banca Lehman è fallita, Merril Lynch è stato assorbito dalla Bank of America, Bearn Stearns è stato rilevato da Morgan Stanley, Wachovia è passata a Wells Fargo e Goldman Sachs ha messo in vendita il suo pacchetto azionario. Fannie Mae e Freddie Mac, le due maggiori imprese nel ramo ipotecario degli Stati Uniti, sono fallite e sono state nazionalizzate dal governo statunitense. E' fallita anche l'assicurazione Aig (la più grande degli Usa e del mondo). Lo stesso è successo a Washington Mutual, la più grande banca del settore immobiliare degli Usa.
Questa rapida polarizzazione di capitali nel sistema finanziario si è estesa su scala internazionale: la Hbos inglese è stata acquisita da Lloyds e la spagnola Santander ha rilevato le succursali di Bradford e Bingley. I governi europei sono stati obbligati a intervenire per salvare la Banca Fortis (la più grande del Belgio), la Hbos e la Bradford-Bingley (entrambe inglesi), e la Hypos Real Estate, principale banca di finanziamento immobiliare della Germania.
Il governo britannico ha statalizzato parzialmente le banche più importanti del Paese, iniettando 50 miliardi di sterline in questi istituti, ricevendo in cambio una parte delle loro azioni. Si è trattato di una "nazionalizzazione" per salvare i banchieri, perché lo Stato ricapitalizza le imprese ma le lascia nelle mani dei banchieri. Il governo degli Usa e altri governi di Paesi imperialisti seguono questo esempio.
C'è stato un gigantesco "falò" di capitale fittizio in questo breve periodo: titoli "tossici", ipoteche che non potevano essere pagate dai debitori, azioni sovrastimate, ecc. Ma ci sono state anche perdite di capitale reale, principalmente dei fondi pensione e dei piccoli investitori che avevano scommesso su titoli e azioni.
Ormai la recessione colpisce diversi Paesi capitalisti imperialisti, a cominciare dagli Usa, e si va estendendo a tutto il mondo. La Francia ha già dichiarato due trimestri di seguito di crescita negativa. Il Giappone ha subito una caduta del 2% del Pil nel secondo trimestre di quest'anno. La recessione è già iniziata in Italia, Inghilterra e Spagna. Sono in recessione anche alcuni dei Paesi più deboli d'Europa, come l'Islanda e l'Irlanda. Si è avuta un calo delle vendite di automobili negli Usa, con una media del 30% in settembre. La General Electric, una delle più grandi aziende del mondo, ha subito un calo del 12% delle sue vendite e cerca finanziamenti.
Non è possibile prevedere se questa recessione durerà solo due o tre anni o se inaugura un lungo periodo di depressione simile a quello che si aprì dopo la crisi del 1929. Non è casuale che la maggioranza degli economisti borghesi e dei leader politici menzioni la crisi del '29, o per negare che il mondo sta per entrare in un periodo simile a quello o per mettere in guardia sulle similitudini tra i due processi e allertare contro il rischio che la crisi si sviluppi verso una situazione simile o peggiore. La crisi del 1929 è un fantasma che spaventa la borghesia mondiale perché essa sa che significherebbe un periodo prolungato di declino del capitalismo, con enormi conseguenze politiche.
In ogni caso, l'attuale crisi già è, come minimo, la crisi maggiore dell'economia mondiale dal 1929. Certamente ci saranno Paesi colpiti di più e altri di meno, ma nessuno di essi sarà immune dagli effetti della recessione avviatasi nei Paesi imperialisti.
Inoltre, questa crisi economica ha una particolarità che la rende superiore alle crisi precedenti, più diffusa e devastatrice di quelle della decade del 1990: il suo epicentro è negli Stati Uniti, la più grande economia del mondo, il cuore dell'imperialismo. Ciò moltiplica e potenzia al massimo la sua estensione e la sua profondità. I Paesi più fragili, i Paesi dipendenti, non hanno possibilità di fuga dai suoi effetti.
 

L'evoluzione della crisi
L'attuale crisi ha fatto la sua comparsa, in un primo momento, sotto la forma di una crisi del settore immobiliare negli Stati Uniti. Negli ultimi anni, le banche statunitensi hanno offerto in forma molto diffusa crediti ipotecari per l'acquisto di immobili ad acquirenti ad alto rischio ("subprime"), riscuotendo elevati interessi.
Queste ipoteche erano "impachettate" da grandi compagnie ipotecarie e trasformate in titoli per essere negoziati sul mercato da mediatori e banche di investimento, raccogliendo così più capitali e permettendo che le compagnie offrissero un credito maggiore.
I titoli sono stati garantiti da compagnie di assicurazioni e valutati come affidabili da agenzie di rating, come la Standard & Poor's. In questo modo, i titoli sono stati acquistati da investitori di tutto il mondo, attraverso le grandi banche e i fondi pensione.
Questo schema speculativo, paragonato alle famose "piramidi", è iniziato a cadere quando è stato evidente che milioni di acquirenti degli immobili non erano in grado di pagare le ipoteche. Le banche hanno cominciato allora a riprendersi le case dei debitori insolventi. La grande offerta di immobili che ne è risultata ha fatto abbassare bruscamente i prezzi e reso evidente che banche, imprese venditrici, compagnie immobiliari, compagnie di assicurazione e investitori in generale non solo non avrebbero ottenuto profitti ma avrebbero subito pesanti perdite sul capitale investito.
La crisi finanziaria attuale è un'altra manifestazione di quel processo permanente di crescita-espansione-crisi-depressione tipico del sistema capitalistico, che vive crisi cicliche dall'inizio del XIX secolo, in un movimento permanente di equilibrio e disequilibrio. Ogni crisi, tuttavia, ha le sue particolarità e dimensioni. La crisi attuale si esprime in forma particolarmente violenta a causa della del capitalismo imperialista e della lotta di classe nell'epoca che viviamo. In realtà, le contraddizioni che ora esplodono si sono sviluppate lungo un corso di vari anni.
Durante la decade del 1990 e all'inizio del secolo XXI, dopo decenni di crisi, l'imperialismo riuscì a inaugurare un periodo di espansione e di crescita grazie allo sviluppo gigantesco dello sfruttamento dei lavoratori di tutto il mondo e attraverso un vero e proprio processo di ricolonizzazione dei Paesi sfruttati. Ciò si produsse in varie forme:
- con la restaurazione del capitalismo in Cina, Russia e negli Stati operai dell'Est europeo e dell'Asia. Ciò permise che l'imperialismo sfruttasse direttamente i lavoratori di questi Paesi, soprattutto della Cina che si trasformò nella "fabbrica del mondo", pagando salari da fame e ricavando così una enorme massa di plusvalore;
- con l'apertura di nuovi mercati per i prodotti delle multinazionali nei Paesi dove si andava restaurando il capitalismo e anche nei Paesi dove si imposero i Trattati di Libero Commercio (Tlc);
- con il fallimento dei monopoli statali per lo sfruttamento delle ricchezze naturali dei Paesi poveri, seguita da una rapina di queste risorse da parte delle multinazionali;
- imponendo un ampio e generalizzato processo di privatizzazioni delle aziende statali e dei servizi pubblici, che permise alle aziende imperialiste di sfruttare direttamente ampie fasce di lavoratori dei Paesi dipendenti e degli stessi Paesi imperialisti e di ottenere enormi guadagni, ciò che prima avveniva solo in forma indiretta;
- creando nuove modalità per incrementare lo sfruttamento del lavoro salariato, la cosiddetta "flessibilità del lavoro", cioè: la esternalizzazione, l'introduzione di infiniti tipi di contratti precari, l'eliminazione di importanti conquiste dei lavoratori, l'aumento della giornata lavorativa, ecc.
Tutte queste forme di sfruttamento e di espansione dei mercati permisero un aumento del saggio di profitto (che è il rapporto in percentuale tra il plusvalore -cioè quella parte del valore prodotto dal lavoratore che non gli viene pagato col salario e di cui si appropria il capitalista- e l'insieme del capitale investito dal capitalista, cioè macchine, materie prime, trasporti, salari, ndt). Le nuove tecnologie digitali facilitarono la crescita della produttività e la creazione di un mercato finanziario mondiale che funziona on-line, permettendo un ritmo istantaneo di ripartizione dei benefici e di accumulazione e sovraccumulazione di capitale.
Tutti questi processi resero possibile l'estrazione di una enorme massa di plusvalore. Si produsse una enorme sovraccumulazione di capitale. Ma la sovraccumulazione di capitale genera una caduta del saggio di profitto nella misura in cui la parte superiore dell'equazione, il plusvalore, rimane uguale, ma la parte inferiore (il capitale investito) aumenta. Di qui la ricerca da parte del capitale di nuovi investimenti dove ottenere, il più rapidamente possibile, guadagni per invertire la caduta del saggio di profitto.
Durante le ultime decadi, questa sovraccumulazione di capitale ha provocato un grande aumento del capitale fittizio, cioè del capitale che non è investito direttamente nella produzione, ma piuttosto nella speculazione, nelle sue diverse forme.
In generale, questa gran massa di capitali disponibili viene iniettata di nuovo nell'economia sotto forma di una enorme offerta di credito (azioni di borsa, titoli, titoli di debito pubblico, crediti per l'esportazione, crediti per le imprese, credito al consumatore), sul quale i capitalisti sperano di ottenere una renumerazione maggiore e più rapida di quella ottenuta con la produzione. Ma questo movimento provoca un brutale indebitamento, non solo dei singoli consumatori, ma anche delle imprese e perfino degli Stati. Il debito pubblico degli Stati Uniti, per esempio, ha già raggiunto l'incredibile cifra di 13 mila miliardi di dollari.
Quando si produsse l'ultima crisi mondiale, nel 2001-2002, l'imperialismo cercò di attenuarne gli effetti e di produrre un nuovo ciclo di crescita diminuendo, tra le altre misure, il tasso d'interesse e facilitando ancora di più l'offerta di credito. In questo modo riuscì a stimolare il consumo e a recuperare per un breve periodo il saggio di profitto. Ciò si combinò con un'altra politica fondamentale del governo Bush: l'avvio della guerra in Irak e Afghanistan, accrescendo fortemente la spesa militare e stimolando così una crescita generalizzata dell'industria militare e dei settori legati alle forniture per le Forze Armate.
Tuttavia, entrambi questi metodi comportarono solo un rinvio, cioè riuscirono appena ad alleggerire la crisi del 2001-2002 ma al contempo aumentarono le contraddizioni del capitalismo statunitense. Da un lato, portarono a livelli insopportabili l'indebitamento generalizzato delle imprese, dei consumatori e dello Stato. Dall'altro, l'eroica resistenza delle masse irakene e afgane produsse una crisi politica nell'imperialismo e una estensione al di sopra di ogni aspettativa delle guerre e, conseguentemente, della spesa pubblica e del debito dello Stato.
Ecco perché questa crisi è particolarmente esplosiva. Perché, in aggiunta alla natura comune a tutte le crisi del capitalismo (che consistono in una caduta verticale del saggio di profitto e in un disequilibrio che porta a una crisi di sovrapproduzione) questa crisi contiene un ulteriore elemento che funge da moltiplicatore. Stiamo parlando della crisi del sistema finanziario degli Stati Uniti e dell'Europa che, a causa della internazionalizzazione del capitale e dello sviluppo spettacolare della tecnica, coinvolge rapidamente il mondo intero, estendendo l'enorme indebitamento dei consumatori, delle aziende, degli Stati.
 

Il presunto "disaccoppiamento" dei Paesi emergenti è una farsa
La famosa tesi del "disaccoppiamento" (decoupling, ndt) dei cosiddetti "Paesi emergenti" che, in quanto presunte potenze in ascesa, sarebbero scampate alla crisi, si è rivelata un mito. Esiste un'unica economia e un unico mercato mondiale. Le economie nazionali sono parte de questo tutto e sono subordinate ad esso. Come dicevamo, il centro della crisi è nella principale economia del pianeta, gli Stati Uniti, ciò che determina che i suoi effetti si estendano alle economie di tutti i Paesi, tanto più i Paesi con una economia più debole o subordinata.
I Paesi "emergenti" già stanno risentendo gli effetti della crisi. La crisi finanziaria ha già colpito la Russia dove, in una settimana, le sedute della Borsa sono state interrotte quattro volte con l'intento di impedire la fuga di capitali. Nella sola giornata del 6 ottobre, la Borsa di Mosca è scesa del 19% e il governo è stato obbligato a sospendere il funzionamento della Borsa per due giorni per evitare che cadesse completamente il sistema finanziario.
In America Latina le cose non sono diverse. All'inizio, i governi latinoamericani, come quello di Lula e di Cristina Kirchner, hanno cercato di minimizzare la crisi mentre lasciavano che i banchieri e i capitalisti internazionali e nazionali ritirassero i loro capitali con guadagni enormi, approfittando degli alti interessi pagati dai governi e dei pagamenti del debito estero e interno.
Ora, la crisi mondiale sta rendendo instabili queste economie in vari modi, sia per la fuga di capitali, sia per la caduta delle esportazioni e per il rallentamento della produzione agricola e industriale, frutto della caduta dei consumi dei Paesi imperialisti. Tutto ciò conduce alla recessione. L'illusione del "disaccoppiamento" è svanita e, ora, gli stessi governi che prima ignoravano la crisi pretendono di scaricarne i costi sulla classe lavoratrice e sulle masse popolari.
Le affermazioni secondo cui il Brasile o l'Argentina, o altri Paesi periferici, non sarebbero stati colpiti dalla crisi non ha come obiettivo solo quello di coprire l'inazione di questi governi. Oltre a ciò vi è una chiara intenzionalità: i governi di Lula, Cristina Kirchner e gli altri vogliono "anestetizzare" la classe operaia e le masse popolari, disarmarle e legare loro le mani perché accettino passivamente di pagare i costi della crisi, e vi si trovino coinvolti senza essere preparati alla lotta di vita o di morte contro il supersfruttamento, la disoccupazione e la fame che già si annuncia all'orizzonte.
 

La crisi economica provocherà una enorme crisi sociale
Come in tutte le crisi dell'economia capitalistica, la borghesia mondiale ha già iniziato a scaricare i costi sulle spalle dei lavoratori e delle masse popolari. Le prime manifestazioni di ciò sono le restrizioni del credito ai consumatori e l'aumento dei prezzi. Per esempio, nei soli Stati Uniti più di un milione e settecentomila famiglie sono state sfrattate dalle loro case perché non erano in grado di pagare il mutuo. Ma l'attacco che sta per arrivare sarà ancora peggiore.
La recessione provocherà un aumento enorme della disoccupazione. Solo negli Usa già 750 mila persone hanno perso il lavoro. Prima dell'esplosione dei mercati finanziari, l'Organizzazione Internazionale del Lavoro prevedeva che, nel mondo, 5 milioni di lavoratori si sarebbero aggiunti alla popolazione disoccupata, nel corso di quest'anno. Ora, questo numero dovrà essere rivisto al rialzo.
I lavoratori immigrati nei Paesi imperialisti, originari di Paesi poveri, saranno i primi a soffrire la disoccupazione, l'aumento del lavoro precario e le legislazioni speciali per immigrati promosse dai governi. La crisi economica e la disoccupazione porteranno anche a una crescita della xenofobia e del razzismo, come già si vede in Italia e in Austria.
Peraltro, in più di trenta Paesi poveri già era in corso una crisi sociale causata dall'aumento del prezzo dei generi alimentari e degli idrocarburi. In questi Paesi, la recessione e la disoccupazione produrranno una vera ecatombe sociale.
I riflessi della crisi economica tra i lavoratori sono in netto contrasto con i privilegi dell'alta borghesia. Il capitalismo cerca di salvare le banche con finanziamenti pubblici che, nei soli Stati Uniti già assommano a più di 1000 miliardi di dollari.
Come si rapporta questa cifra di fronte ad altre impellenti necessità dell'umanità? Secondo l'Onu, per fornire di acqua potabile tutto il pianeta, sarebbero necessari 32 miliardi di dollari. Secondo la Fao, per risolvere il dramma dei 925 milioni di persone che soffrono la fame nel mondo, sarebbero necessari 30 miliardi di dollari. Quantità infime se confrontate con l'immensa fortuna destinata a salvare le banche coinvolte nella crisi finanziaria.
Oltre a questo, un'altra bugia è svelata. Per decenni la propaganda neoliberale ha fatto l'apologia delle privatizzazioni, della libertà dei capitali di circolare liberamente, obbedendo solo alle "leggi del mercato". Ora invocano disperatamente, in realtà pretendono, una iniezione di denaro pubblico per coprire le loro perdite. Ciò che stanno dicendo è che in una fase di crescita economica e alti profitti è giusto privatizzare lo Stato, ma che in momenti di crisi e di grandi perdite lo Stato deve finanziare i capitalisti. Privatizzare i profitti e socializzare le perdite: ecco la logica del capitalismo.
Non tutti saranno colpiti dalla crisi nello stesso modo. I lavoratori perdono le loro case e il loro lavoro, e in tanti sono minacciati anche dalla fame. Tanti borghesi, invece, la cui speculazione ha condotto le banche al fallimento, conservano privilegi scandalosi, osceni. Dirigenti di banche fallite hanno ricevuto "liquidazioni" e indennità milionarie. Richard Fuld, che dirigeva la banca Lehman Brothers, chiusa a settembre, ha avuto una liquidazione di 45 milioni di dollari. Stan O'Neal della banca Merryl Lynch, rilevata dalla Bank of America, è andato in pensione con 161 milioni di dollari di indennità.
Ma che nessuno si inganni: i costi di questa benevolenza con le grandi banche e i loro dirigenti sarà pagato dallo Stato con denaro pubblico, cioè dei lavoratori. Peggio ancora, per far affluire denaro pubblico nel salvataggio delle banche, i governi capitalisti dovranno aumentare gli attacchi al livello di vita dei lavoratori. Perché le enormi quantità di denaro utilizzate per salvare le banche aumenteranno il deficit di bilancio e il debito pubblico degli Stati Uniti e dei Paesi europei. I governi di questi Paesi cercheranno di tagliare la spesa sanitaria e scolastica, le pensioni. Cercheranno anche di aumentare ulteriormente lo sfruttamento dei Paesi dipendenti, continuando a funzionare come "aspirapolvere di capitali".
 

L’imperialismo sta attraversando una crisi politica
Ci si ingannerebbe pensando che la crisi si limiterà alla sfera economica. Il collasso economico mostra una evidente crisi politica nel Paese più potente del mondo. Ciò non è solo il prodotto di un governo che termina il suo mandato. Uno degli esempi più evidenti è stato quello della votazione sul pacchetto di aiuti per le banche. L'amministrazione Bush, con il pieno sostegno dei due candidati alle presidenziali, Barack Obama e John McCain, e delle direzioni del Partito democratico e del Partito repubblicano, è stata sconfitta in una prima votazione in Aula. Oggi, anche dopo l'adozione del pacchetto, la crisi non sembra arrestarsi. L'amministrazione Bush, la Fed e il Congresso, non hanno il controllo della situazione né tantomeno dispongono di meccanismi efficaci per fronteggiare la crisi.
Ma la crisi politica non nasce adesso. È il risultato della sconfitta dell’offensiva dell’imperialismo americano dopo gli attentati dell'11 settembre 2001. Questa politica, intrapresa da Bush, prevedeva l’attacco a tutti i Paesi sfruttati del pianeta, principalmente a quelli possessori di grandi riserve di petrolio o con posizioni strategiche per il suo trasporto.
La "guerra al terrore" è servita come giustificazione per l'attacco all'Iraq e all'Afghanistan. Ma l'eroica resistenza del popolo iracheno e afgano hanno trascinato le truppe degli Stati Uniti e della Nato in una palude che non consente più una vittoria militare. A ciò si somma il fallimento dell'imperialismo nel tentare di bloccare i processi rivoluzionari in America Latina. Hanno contribuito a questa sconfitta anche la resistenza dei lavoratori latinoamericani immigrati negli Stati Uniti e la lotta dei lavoratori europei contro le riforme neoliberali.
La crisi politica dell’imperialismo americano ha decisamente influenzato lo sviluppo della crisi economica in almeno due aspetti. In primo luogo, perché la resistenza del popolo iracheno e afgano ha prolungato la guerra per oltre cinque anni, costringendo il governo statunitense a spendere, finora, più di 800 miliardi di dollari nel conflitto, indebolendo cosi l'economia del Paese. In secondo luogo, perché il pantano della guerra ha comportato un prezzo politico per l'amministrazione Bush, rendendola più debole proprio nel momento in cui doveva affrontare la crisi economica.
 
 
Di fronte alla catastrofe provocata dal capitalismo, solo la classe operaia è in grado di offrire uno sbocco all'umanità
Durante gli oltre due decenni seguiti alla restaurazione del capitalismo nei Paesi del cosiddetto "socialismo reale", una soffocante propaganda, promossa dalla borghesia globale e dai suoi agenti, strombazzava che il capitalismo è l'unico sistema possibile per l'umanità, fonte crescente di ricchezza e prosperità per l'intero pianeta. Decretando cosi la "morte del socialismo".
La crisi dell'economia mondiale viene a ristabilire la verità. Non sono state le politiche "neoliberiste", gli eccessi speculativi o la mancanza di regolamentazione a condurre a questa crisi, come credono molti pensatori borghesi e riformisti. Al contrario, le crisi sono inerenti al sistema capitalista. Sono proprie della sua essenza.
Il capitalismo è un sistema in decadenza, che sviluppa tecnologie solo per aumentare i profitti e non per il bene del genere umano. Anzi, quasi sempre le utilizza per la distruzione dell’uomo e della natura. Questo sistema ha disperatamente bisogno di guerre per generare profitti. In esso vige l'anarchia della produzione, il consumo incontrollato e inutile di una minoranza, il supersfruttamento delle risorse naturali che provoca un disastro ecologico mondiale e la speculazione finanziaria. Un sistema in cui l'internazionalizzazione del capitale, che non ha frontiere, utilizza regolarmente le barriere imposte dalle frontiere nazionali per reprimere e sfruttare meglio i lavoratori immigrati. Un sistema che, ciclicamente, offre all'umanità intensi periodi di disoccupazione, fame e miseria.
Tuttavia, il fallimento di questo sistema è lontano dal significare una vittoria finale per i lavoratori e per i settori popolari del mondo. Al contrario, la borghesia imperialista, nella sua decadenza, può trascinare tutta l'umanità nella barbarie. La crisi non rende l'imperialismo meno pericoloso per gli sfruttati del mondo. Un mostro colpito, lottando disperatamente per la sua sopravvivenza, può, nella sua agonia, distruggere tutto ciò che lo circonda.
La borghesia ha dimostrato ancora una volta che non ha più alcun ruolo progressista. Si tratta di una classe che cerca solo di difendere i suoi privilegi e il suo dominio con tutte le armi che possiede. Non riesce a sviluppare le forze produttive dell’umanità e neanche a soddisfare le sue esigenze minime. Una minoranza di grandi capitalisti e finanzieri, i proprietari dei mezzi di produzione e di distribuzione, sfrutta sempre più la maggioranza della popolazione. Spesso minacciano non solo i nostri posti di lavoro, i salari e le case, ma anche l’esistenza fisica stessa della classe operaia e di tutta l'umanità. I mass media e i governi ci dicono che non c'è un’altra possibile via d'uscita, che dobbiamo abituarci e cercare di adattarci perché il mondo va così. Ma l'attuale crisi del capitalismo produce una grande trasformazione nella coscienza dei lavoratori. Ogni giorno di crisi porta enormi lezioni pratiche alla classe operaia di tutto il mondo. I lavoratori vedono quotidianamente gli scandali finanziari, il brutale aumento delle ingiustizie, la minaccia della depressione, l’irrazionalità e l'anarchia del capitalismo e del mercato globale. Ciò si concretizza poi nella dura esperienza della disoccupazione, nella perdita di conquiste e diritti e nei bassi salari: tutte cose che molti operai dei Paesi imperialisti dovranno affrontare nel prossimo periodo.
La nuova situazione mondiale che si apre con la crisi economica porterà il proletariato a vivere una esperienza concentrata di sfruttamento e sacrifici imposti dal sistema capitalista, soffrendo in breve tempo esperienze che normalmente si vivono solo nel corso di molti anni. Ciò consentirà il risveglio di una nuova consapevolezza, come è recentemente accaduto con le guerre, le aggressioni imperialistiche e le politiche neoliberiste, in termini di coscienza antimperialista per le masse popolari dei Paesi sfruttati. Tuttavia, perché questa nuova coscienza compia un salto è necessario che i lavoratori passino all’azione.
Solo una azione cosciente della classe operaia è in grado di offrire un'alternativa per tutti gli sfruttati del mondo. Questa azione deve iniziare con l'organizzazione della lotta in difesa della sopravvivenza fisica della classe, delle vite e delle famiglie proletarie, in difesa di centinaia di milioni di persone minacciate dalla crisi. I lavoratori di tutto il mondo hanno bisogno di organizzarsi e lottare per difendere i loro posti di lavoro, i salari e le case; hanno bisogno di mobilitarsi contro gli aumenti dei prezzi, contro il lavoro precario e per i diritti degli immigrati.
Solo lotte reali (come ad esempio quella per una scala mobile delle ore di lavoro a parità di salario, per piani di opere pubbliche per contenere la disoccupazione, per l'adeguamento delle retribuzioni in linea con l'aumento dell’inflazione, per la fine di tutte le forme di lavoro precario, ecc.) saranno in grado di affrontare efficacemente questa crisi. I sindacati, i comitati di fabbrica e le organizzazioni di tutti i tipi saranno chiamati a svolgere un ruolo attivo in questa lotta, o saranno destinati a sparire e a lasciare il posto a nuove organizzazioni in grado di affrontare la sfida. Si renderà necessario trovare una via d’uscita globale e definitiva che impedisca che l’umanità subisca ancora crisi sempre più violente e affamatrici. Questa via d’uscita esiste. È necessario pianificare l'economia, metterla al servizio della soddisfazione delle esigenze della stragrande maggioranza, dei lavoratori e dei settori popolari, e non più per aumentare la ricchezza di pochi. Solo questa pianificazione permetterà l’utilizzo razionale delle risorse naturali e la fine dell’utilizzo predatorio e distruttivo della natura. Solo un’economia pianificata può porre fine alla fame, alla disoccupazione e alla miseria. Solo questa pianificazione consentirà il pieno sviluppo delle tecnologie ed il loro utilizzo a vantaggio delle popolazioni e per lo sviluppo culturale dell'umanità.
È necessario riorganizzare l'intera economia mondiale. Ma questo è impossibile senza attaccare le banche, il cuore dell’economia capitalista imperialista. Oggi, le grandi banche e l'intero sistema finanziario dominato da loro sono una fonte permanente di anarchia e di paralisi dell'economia globale. Sono responsabili della scandalosa speculazione e delle enormi perdite. Ora non prestano più denaro, con un conseguente calo della produzione, un aumento della disoccupazione e chiusura di imprese.
Non è possibile riorganizzare l'economia in modo razionale senza spezzare il dominio delle banche, senza introdurre un sistema unico di investimento e di prestito sotto controllo statale. Intendiamo la cosa in modo opposto rispetto alle statalizzazioni sponsorizzate oggi dai governi borghesi, come quello inglese, intese solo a dare denaro statale ai banchieri per permettergli di continuare a guidare le loro banche.
È necessario espropriare tutte le banche e nazionalizzare interamente il sistema finanziario degli Stati Uniti e di tutti i Paesi imperialisti, sotto il controllo dei lavoratori e senza indennizzo per i banchieri. È inoltre necessario espropriare le grandi imprese imperialiste, cancellare il debito estero dei Paesi poveri e stabilire una rigido controllo sui capitali per impedirne la loro fuga verso i Paesi imperialisti. Per porre termine alla crisi alimentare e alla crescita dei prezzi dei generi di prima necessità è necessario espropriare le grandi aziende del settore e effettuare radicali riforme agrarie per dare la terra ai contadini poveri che la lavorano e ai “sem terra” che vogliono usare le terre per produrre cibo.
Questo significa costruire una società totalmente diversa. Una società che non vive sulla base del profitto e che non abbia necessità dello sfruttamento per sostenersi. Una società solidale con tutti, non basata sulla concorrenza e sull’individualismo: una società socialista.
I lavoratori, che con il loro lavoro creano ricchezza, sono in grado di costruire questa nuova società. Ciò richiederà la sconfitta dell’imperialismo, l’esproprio della borghesia parassitaria con la relativa presa del potere da parte dei lavoratori che conduca alla creazione di uno Stato operaio che ci guidi verso questa società socialista. L'esperienza concreta di una rivoluzione socialista vittoriosa è stata fatta dal proletariato russo, che ha preso il potere nel 1917 e costruito uno Stato basato sui Consigli operai (Soviet), al servizio delle grandi masse popolari. Questa esperienza durò pochi anni e poi degenerò sotto l’influenza di una burocrazia privilegiata. Nonostante la burocrazia, l'Unione Sovietica ha dimostrato l'enorme forza di un'economia basata sulla proprietà statale dei mezzi di produzione (fabbriche, banche e mezzi di distribuzione), sulla pianificazione dell'economia e sul monopolio del commercio estero. Negli anni Trenta, quando negli Stati Uniti e in tutto il mondo imperversava la Grande Depressione, l’Urss sviluppava tassi di crescita annui del 20% o più trasformandosi da Paese arretrato e rurale nella seconda potenza mondiale in meno di quaranta anni.
Oggi la classe operaia mondiale si trova di fronte la sfida di riprendere la strategia della rivoluzione socialista mondiale per sconfiggere il sistema capitalista imperialista e cosi porre fine per sempre allo sfruttamento e ai flagelli causati da guerre e crisi economiche.
Però, senza dubbio, vi è un enorme ostacolo su questa strada, che oggi impedisce al proletariato di lottare per i suoi obbiettivi storici (tra i quali quello di difendersi pienamente dagli attacchi del capitale): alla guida della maggioranza delle organizzazioni sindacali e politiche della classe operaia ci sono direzioni burocratiche e opportuniste che difendono i loro privilegi e il sistema capitalista che li produce e mantiene. Questi direzioni traditrici del proletariato hanno portato a enormi sconfitte in passato e preparano altre sconfitte per le future lotte.
La lotta spontanea delle masse, per eroica che possa essere, non porterà mai alla conquista del potere. Per rendere realtà la rivoluzione socialista mondiale, unico modo per evitare che il mondo cada nella barbarie, la classe operaia alla guida di tutti gli sfruttati del mondo ha bisogno di una direzione politica.
Il proletariato ha bisogno di partiti rivoluzionari in tutti i Paesi, che facciano parte di un'internazionale rivoluzionaria, fortemente opposta a tutti i partiti e organizzazioni borghesi e riformiste. Un'Internazionale che presenti un programma che riunisca l'esperienza e la tradizione internazionali del proletariato a partire dalla pubblicazione del Manifesto Comunista, 160 anni fa. Che si basi su un'ampia democrazia interna e sul principio organizzativo del centralismo democratico: completa libertà di discussione, totale unità nell'azione.
La nuova situazione mondiale aperta dall'attuale crisi economica offre enormi possibilità per la costruzione di questa Internazionale e delle sue sezioni, i partiti rivoluzionari nazionali. Questa è la grande sfida e il principale compito dei rivoluzionari in questa epoca di decadenza del capitalismo.  
In settembre di questo anno, mentre la confusione e la crisi si impadronivano delle borse e di tutte le istituzioni del mondo borghese e imperialista, si compivano i 70 anni dalla fondazione della Quarta Internazionale. La Quarta Internazionale è la legittima erede delle tradizioni, del programma e dei principi della Terza Internazionale, fondata da Lenin e Trotsky nel 1919, poco dopo la Rivoluzione Russa. Trotsky lottò per anni contro la degenerazione dello Stato sovietico e della Terza Internazionale quando entrambi passarono sotto il controllo della burocrazia diretta da Stalin.
Il Programma di Transizione (scritto da Trotsky e adottato dalla Quarta Internazionale come proprio programma di fondazione), i principi politici e organizzativi dell'Internazionale e il suo obiettivo strategico continuano a essere più validi che mai.  
Le seguenti parole di Trotsky non solo mantengono tutta la loro validità ma esprimono molto bene l'alternativa drammatica dell'attuale situazione:
"Le premesse oggettive della rivoluzione proletaria non solo sono 'mature', ma hanno cominciato a marcire. Senza una rivoluzione socialista, per giunta nel prossimo periodo storico, una catastrofe minaccia l'intera civiltà umana. E' giunta l'ora del proletariato, cioè anzitutto della sua avanguardia rivoluzionaria. La crisi storica dell'umanità si riduce alla crisi della direzione rivoluzionaria."
Affrontare questa nuova tappa di crisi economica e di decadenza del capitalismo esigerà dai rivoluzionari del mondo intero la concentrazione di tutti i loro sforzi nel compito di ricostruire la Quarta Internazionale, lottando affinché le migliori avanguardie della classe operaia entrino nelle sue file.  
 

(traduzione dall'originale in spagnolo di F. Ricci e M. Scarlino)
 

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