Partito di Alternativa Comunista

l contagio rivoluzionario da un continente all'altro

Il contagio rivoluzionario da un continente all'altro
E ORA L'ALBANIA!
Non è un mondo per riformisti, centristi e trepidi
 
 

 
di Francesco Ricci
 
Le piazze colme di manifestanti, gli scioperi generali, i palazzi dei parlamenti e dei governi assediati, assaltati, qualche volta anche bruciati. Atene, Londra, Madrid, Parigi, Roma.


 
albania2011
 
 Poi è toccato all'Africa mediterranea. Nel giro di pochi giorni l'insurrezione di massa in Tunisia ha costretto alla fuga il presidente Ben Alì. I governi imperialisti sono preoccupati. Il timore è "che la rivoluzione si propaghi per contagio", come un'epidemia di influenza, letale per il capitalismo. E non si sbagliano: da ieri è la volta dell'Albania (a meno di cento chilometri dalle coste italiane).
Gli scontri di piazza a Tirana
 
Spinti dai licenziamenti di massa e da una disoccupazione astronomica, ieri migliaia di albanesi hanno riempito le piazze di Tirana. Erano convocati dall'opposizione al premier Berisha, guidata dal Partito Socialista. L'opposizione pensava solo a una sfilata e aveva precisato di non desiderare per niente delle prove di forza. Ma, come la Tunisia e tante parti del mondo insegnano in questi giorni, non è più il tempo dei minuetti, delle recite tra schieramenti apparentemente alternativi ma interni allo stesso gioco capitalistico, non sono i giorni dell'alternanza indolore. Quando le masse invadono le strade non lo fanno per sostituire Ben Alì con il suo vice o con il capo della moderatissima opposizione; quando attaccano Berisha non pensano di rimpiazzarlo con il "socialista" Edi Rama. Cercano una soluzione al problema della fame, della disoccupazione, che tutti i governi borghesi amministrano senza sostanziali differenze, rispondendo indistintamente alla stessa classe dominante.
Così è successo che a Tirana la pacifica manifestazione si è conclusa con un assalto al palazzo (quanti ne abbiamo visti in questi ultimi mesi, dall'Europa all'Africa? si perde il conto). La polizia ha sparato, tre morti. Mentre scriviamo la situazione è ancora in fermento.
 
Un precedente importante: l'insurrezione del 1997

Quanto avviene in queste ore in Albania è di grande importanza non solo per i fatti in sé e per il contesto internazionale in cui si colloca questa ennesima sollevazione popolare. Ma anche perché meno di quindici anni fa, come si ricorderà, a partire da scontri di piazza come questi la situazione ebbe una improvvisa evoluzione in una vera e propria crisi rivoluzionaria. In quei giorni Berisha (che poi, nel gioco dell'alternanza, è tornato al potere) fu cacciato dalle masse in lotta e si aprì una situazione di dualismo di potere nel Paese. Da una parte il governo, dall'altra alcuni embrionali organismi di potere dei lavoratori, i comitati rivoluzionari, armati, con una parte dell'esercito passata dalla loro parte. Si costituì, anche se per poche settimane, una Assemblea nazionale dei comitati rivoluzionari (una specie di soviet).
Fu solo grazie all'intervento in armi del governo imperialista italiano, allora diretto da Prodi (col sostegno di Rifondazione), che la situazione si stabilizzò, concludendosi con delle elezioni farsa che passarono il potere (un cambio di spalla del fucile) dal Partito Democratico al Partito Socialista di Nano (i due tronconi in cui si era divisa la burocrazia restaurazionista originata dal Partito del Lavoro, stalinista, di Enver Hoxa). Dopo la missione militare "Alba", il governo Prodi avviò la missione "Alba 2" (col voto favorevole dei parlamentari di Rifondazione, soprannominati da Repubblica, per questo, "Compagni d'armi", 1), che consisteva nel completare il disarmo dei comitati rivoluzionari e il riarmo delle bande statali. Quattrocento tra carabinieri, militari vari e agenti dei Servizi furono inviati in Albania. Su Liberazione si dedicarono molti articoli di apprezzamento alla vittoria elettorale del Ps, che poneva termine all'insurrezione e "al caos" (sic).
Ancora oggi, in quello che l'imperialismo italiano ha sempre considerato un sorta di "protettorato", è attiva una missione militare. Da allora il potere è tornato (elezioni del giugno 2009) a Berisha, continuando l'eterna altalena tra i due partiti di centrodestra e centrosinistra, Pd e Ps.
 
Una nuova fase, senza più spazio per compromessi ed esitazioni

Parlando della Tunisia, un acuto giornalista della Stampa, Vittorio Parsi, faceva, qualche giorno fa, un paragone con la Russia del 1917 e si preoccupava del fatto che l'attuale governo di "unità nazionale" (con i ministri chiave di Ben Alì al loro posto) assomiglia più ai timidi tentativi del governo del principe Lvov, non in grado di soddisfare le masse in rivolta, che al governo "delle sinistre" diretto da Kerensky. Secondo Parsi (2), cioè, per evitare lo sviluppo della rivoluzione in tutto il Nord Africa sarebbe meglio che ci fossero governi di collaborazione di classe capaci di presentarsi alle masse come governi "popolari", delle masse, di centrosinistra, magari con una spruzzata di sinistra. Ma quando i commentatori nostrani parlano della Tunisia parlano indirettamente dello sviluppo della lotta di classe (seppure non ancora in forme rivoluzionarie) anche in Europa e in Italia. Non è un segreto (basta leggere, a parte Repubblica, il Corriere della Sera o La Stampa della Fiat) per capire che ampi settori della grande borghesia preferirebbero pensionare Berlusconi e sostituirlo con un altro governo per affrontare la tempesta che si avvicina: una tempesta che non è più solo economica ma che trascina con sé tutto, rialimentando la lotta di classe con fiammate improvvise e violentissime. Come dimostrano gli assalti ai parlamenti in mezza Europa ma anche il movimento di massa degli studenti in Italia (con punte di radicalità che non si vedevano da decenni) e l'esito del referendum a Mirafiori. Un risultato eccezionale, quest'ultimo, ottenuto dagli operai, dai militanti di base della Fiom e del sindacalismo di base, soli contro tutti (3).
Tornando al paragone con i governi del 1917, bisognerebbe spiegare al giornalista della Stampa che in realtà la "colpa" (per i giornalisti borghesi fu sicuramente una colpa) dell'Ottobre bolscevico non è tutta dell'incapacità del principe Lvov di calmare le acque: visto che fu rovesciando il governo Kerensky, cioè un governo "delle sinistre", che i comunisti costituirono il governo dei lavoratori. In altre parole, non si illudano che un futuro governo Bersani o Vendola li metta al riparo dalle intemperie della lotta di classe, risparmi loro la fine di Ben Alì. Purtroppo per loro, dovranno prendere atto che sono finiti (se mai ci sono stati) i bei tempi andati, quelli in cui imperavano i teorici della sconfitta, del "deserto sociale", dell'impotenza della classe operaia ad andare oltre la resistenza minimale. Prendano atto che a partire dall'Europa e dal Nord Africa siamo entrati in una fase nuova.
Parafrasando il titolo di un bel film dei fratelli Coen (4), quello che sta bruciando, da Tunisi a Tirana, non è un mondo per riformisti, centristi oscillanti, predicatori della collaborazione di classe, del compromesso, della ritirata, del piagnisteo sulla forza "invincibile" dell'avversario, timorosi e trepidi di ogni risma. Con una gran scopa di saggina, le masse popolari di due continenti hanno iniziato a fare pulizia. Compito dei comunisti rivoluzionari è partecipare in prima fila, costruendo quella direzione (nazionale e mondiale, la Quarta Internazionale) che ancora manca e che è indispensabile per assicurare che il lavoro, questa volta, non sia lasciato a metà.
 
 
Note
(1) v. "Compagni d'armi", titolo di Repubblica del 26 luglio 1997 sul voto a favore di Bertinotti e di Rifondazione alla missione "Alba 2". Repubblica riconosceva "il senso di responsabilità" del Prc.
(2) Vittorio Parsi, "La rivoluzione fragile nel mirino degli estremisti" (La Stampa, 21 gennaio 2011)
(3) Il risultato degli operai di Mirafiori, per molti versi storico, un punto di partenza importantissimo per sviluppare ora la lotta, è stato infatti ottenuto non certo grazie ai vari Landini e alle burocrazie sindacali che, dopo anni di politiche concertative (che continuano a gestire anche in queste settimane in tante fabbriche), si limitano al pur importante sciopero del 28 senza chiamare a una lotta prolungata contro governo e padronato. Sulla pratica corrente delle burocrazie "landiniane" in tante realtà, si vedano gli ultimi due numeri dell'Espresso (20 e 27 gennaio) con dati sui contratti a perdere gestiti in tante fabbriche importanti (dalle acciaierie di Taranto all'Indesit, ecc.).
(4) Si tratta di Non è un paese per vecchi, di Ethan e Joel Coen, basato su un romanzo di Cormac McCarthy.

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