Partito di Alternativa Comunista

La crisi del capitalismo affama i lavoratori

La crisi del capitalismo affama i lavoratori
Francia: cresce la risposta operaia
 
 

  
 
di Davide Margiotta  
 
Qualche tempo fa sui giornali faceva capolino una notizia, passata per la verità abbastanza in sordina, sull'allarme di una crisi sociale in Europa lanciato dai ministri della Finanza dell'Eurozona, che lanciavano alle imprese un vero e proprio appello: "non procedete a licenziamenti massicci e prematuri".
 
 
francia
Una immagine della manifestazione del 1 maggio 2009 a Parigi
 
 
Per il Vecchio Continente si stima che tra questo e il prossimo anno andranno persi tra gli 8 e i 9 milioni di posti di lavoro: il timore di questi lacchè della borghesia non è quello di salvaguardare il reddito dei lavoratori (e infatti non dicono di non licenziare, ma di non farlo troppo in fretta), ma quello di evitare un ulteriore inasprimento della lotta di classe, tornata in questi mesi alla ribalta persino delle cronache giornalistiche dopo esserne stata bandita per quasi un ventennio; in alcuni Paesi, come Grecia e Francia, in maniera clamorosa.
 
Il paradosso delle elezioni
Nessuno nutre dei dubbi sul fatto che, in particolare durante la scorsa primavera, in Francia ci sia stata un'ascesa delle lotte straordinaria. Persino sondaggi commissionati dai giornali borghesi hanno rivelato come la maggioranza dei francesi abbia la sensazione di trovarsi di fronte a un'imminente esplosione rivoluzionaria.
Come mai allora alle recenti elezioni europee la sinistra non è avanzata? Proviamo a rispondere a questa domanda da un punto di vista di classe.
Primo. La cosiddetta “sinistra” che sarebbe dovuta avanzare (in tutta Europa) in realtà da tempo non è più socialdemocratica, ma liberale. Tutti questi partiti negli anni hanno portato avanti le stesse identiche politiche filopadronali delle destre in tutti i Paesi in cui hanno governato (spesso alleati con partiti cosiddetti comunisti), Italia inclusa. Insomma non c'è nessuna ragione per cui le masse popolari dovrebbero rivolgersi a questa “sinistra” per trovare una risposta ai propri bisogni.
Secondo. I lavoratori e gli sfruttati, ad oggi, non hanno un proprio partito, per varie ragioni storiche, la più importante delle quali è il tradimento della socialdemocrazia e dei partiti comunisti stalinisti, che hanno portato il proletariato a collaborare con la borghesia privandolo dell'indipendenza di classe, premessa necessaria per ogni conquista.
Terzo. Il vero vincitore di queste elezioni è in verità l'astensionismo. Attenzione: non apparteniamo a quelli che ascrivono gli astenuti al proprio partito, ci limitiamo a segnalare come in Francia il grado di astensione è stato maggiore tra le classi popolari (70%, fino al 75% nella banlieu parigina), dato che conferma che le classi popolari, dopo anni di tradimenti, non si identificano in nessun partito tradizionale della sinistra.
Quarto. Una considerazione di carattere generale: le elezioni che si tengono in regime borghese non sono affatto “libere”. Lenin ha spiegato magistralmente questo fatto:”[...] la borghesia si compiace di definire "libere", "eguali", "democratiche", "universali" le elezioni effettuate in queste condizioni, poiché tali parole servono a nascondere la verità, servono a occultare il fatto che la proprietà dei mezzi di produzione e il potere politico rimangono nelle mani degli sfruttatori” e ancora “[..] i capitalisti, gli sfruttatori, i grandi proprietari fondiari e gli speculatori detengono di fatto i nove decimi delle migliori sale di riunione, i nove decimi delle provviste di carta, delle tipografie, ecc. L'operaio nelle città, il salariato agricolo e il giornaliero nelle campagne sono di fatto estraniati dalla democrazia sia mediante il "sacrosanto diritto di proprietà" [...] sia mediante l'apparato borghese del potere statale, cioè mediante i funzionari borghesi, i giudici borghesi, ecc. L'odierna "libertà di riunione e di stampa" nella repubblica "democratica" (democratica borghese) [...] è una menzogna e un'ipocrisia, perché è di fatto la libertà per i ricchi di comprare e corrompere la stampa, la libertà per i ricchi di intossicare il popolo con le menzogne dei giornali borghesi, la libertà per i ricchi di avere in "proprietà" particolari dimore, i migliori edifici, ecc.”.
 
Ma la lotta di classe avanza
La lotta di classe, però, ha poco a che spartire con le elezioni (che per i rivoluzionari al massimo sono una tribuna di propaganda o una misura della maturità del proletariato).
In Francia, specialmente durante la scorsa primavera, lo scontento popolare è divampato in una serie di scioperi e manifestazioni straordinari. E lo scontro di classe è destinato ad approfondirsi, al di là dei risultati delle urne.
Da un lato un fenomeno come quello dei sequestri dei manager (sequestri con cui la maggioranza dei francesi si è detta solidale) sono un prezioso sintomo del malumore che monta tra le fila operaie. Nonostante non possano essere per noi considerati un metodo di lotta da generalizzare per il futuro, questi sequestri portano a galla una questione di vitale importanza per il proletariato, mettendo all'ordine del giorno l'annosa questione del “chi comanda qui?”. Di fatto sequestrando i manager i lavoratori mettono oggettivamente in discussione il diritto di proprietà. Il compito dei comunisti è quello di sviluppare questo tipo di lotta quasi luddista a un grado più elevato: l'occupazione degli stabilimenti.
Dall'altro abbiamo avuto una partecipazione straordinaria agli scioperi (3 milioni il 19 marzo) e una moltiplicazione dei conflitti tali che hanno fatto dichiarare all'ex Primo ministro Dominique de Villepin, intervistato su Europe 1: “C’e un rischio rivoluzionario in Francia. Perché le chiusure di aziende, l’aumento del numero di disoccupati danno ad un certo numero di francesi il sentimento dell’ineguaglianza di trattamento, dell’ineguaglianza di interesse – la sensazione che ci si interessi molto delle banche e di sostenere le imprese ma che i lavoratori, loro, devono subire la crisi, e che sono sempre gli stessi a pagare”.
Il proletariato francese è sull'orlo dell'abisso. I disoccupati sono 2 milioni e mezzo (oltre 260 mila persone hanno perso il lavoro da gennaio a oggi), con un aumento del 22,1% in un anno. Ma la cifra sale a 3 milioni e mezzo se si aggiungono coloro che hanno dovuto accettare un'attività ridotta. La disoccupazione ormai non colpisce solo più i precari, i primi a essere stati lasciati a casa, ma sono in crescita del 15,7% i licenziamenti di chi aveva un lavoro fisso a tempo indeterminato.
Le stime parlano per il 2009 di un aumento complessivo di 400-450 mila disoccupati.
 
Il movimento operaio di fronte all'alternativa: rivoluzione o repressione
Il governo ha scelto la strada della repressione delle azioni più radicali, cercando allo stesso tempo di corrompere i burocrati sindacali giudicati “responsabili” e mettendo in opera misure del tutto insufficienti come il Fondo di investimento sociale proposto dalla Cfdt (un meccanismo per “coordinare gli sforzi a favore dell'occupazione e della formazione professionale”, finanziato con 1,5 milioni di euro). Il primo ministro, François Fillon, ha minacciato “conseguenze penali” per chi sequestra o saccheggia. Alla Faurecia, nel Pas de Calais, è intervenuta la polizia per mettere fine all'occupazione della fabbrica. Alla Caterpillar la società ha sporto denuncia. Alla Continental, sette dipendenti sono stati denunciati per il saccheggio della sotto-Prefettura. La protesta dilaga. A Edf e Gdf, nelle filiali della distribuzione di energia, ci sono stati tagli di corrente e di erogazione di gas, combinati con azioni più popolari, come il passaggio alla tariffa “notte” (meno cara) per gli utenti più in difficoltà. Gli universitari hanno collezionato decine di  manifestazioni e persino i medici e i grandi professori sono scesi in piazza accanto ai ricercatori, per protestare contro la “svendita” del servizio pubblico.
In una società divisa in classi, la lotta di classe non può terminare, con buona pace di tutta una serie di ideologi del capitalismo (e non solo) che per anni ci hanno spiegato che la lotta di classe è cosa del passato e che il proletariato non esiste più. Ma i fatti hanno la testa dura e stanno smentendo impietosamente tutte queste fantasie buone solo per i salotti televisisvi. I lavoratori ciclicamente sono spinti alla lotta dalle condizioni di vita cui sono sottoposti dalla ricerca sfrenata del profitto dei padroni (inevitabile nella società capitalista: si pensi al caso della Total, che nonostante abbia realizzato nel 2008 utili mai visti in Francia -14 miliardi- ha deciso di mandare a casa 555 persone).
Ma senza una direzione adeguata, senza un partito comunista rivoluzionario (e internazionale, perché mai come oggi il capitalismo è stato un sistema di sfruttamento globale) che detenga la memoria storica delle lotte e sia dotato di un programma per la presa del potere e per un altro modello di società, alternativo e contrapposto a quello borghese, ogni lotta è destinata a soccombere. E in periodi di crisi capitalista di questa portata, corrono il serio rischio di essere spazzate via dalla reazione.
Mai come oggi l'alternativa è: potere operaio o reazione. 
 

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