La farsa del Nobel all’Unione Europea
Non sarà una medaglietta a fermare le masse in lotta!
di Adriano Lotito (*)
"Per oltre sei decenni ha contribuito
all'avanzamento della pace e della riconciliazione della democrazia e dei
diritti umani in Europa". Questa la motivazione che ha accompagnato la
consegna del Premio Nobel per la pace 2012 all’Unione Europea.
Mai vi furono parole tanto false e ridicole
come queste, nella storia del prestigioso quanto ideologico premio della
Fondazione Nobel. Un premio chiaramente “interessato” e funzionale a
ripristinare la legittimità di un’Europa che agli occhi delle masse popolari
del continente si è rivelata in questi anni per quello che effettivamente è
sempre stata: un organismo di oppressione e di dominio, uno strumento nelle
mani del capitale per condurre guerre di rapina all’esterno e guerre sociali
all’interno. A parte intellettuali di regime e opportunisti, oggi più nessuno,
alla luce di memorandum e guerre imperialiste, è cosi ingenuo da sciacquarsi
ancora la bocca con quel blando europeismo che gli anni passati ci veniva
inculcato, un europeismo che per usare le parole di Rosa Luxemburg, altro non è
che un “aborto dell’imperialismo”.
Per mettere in luce le reali motivazioni di
questo premio dobbiamo scavare, scavare come la talpa di marxiana memoria,
andando oltre la bella fraseologia da salotto, e catturando le radici sociali
del fenomeno. Per far questo è necessario però anche svolgere qualche cenno
storico che renda conto della nascita e dello sviluppo di questo “moloch”
imperialista che è l’Unione Europea.
L'Ue tra cooperazione e antagonismi interimperialistici
Dopo la Seconda Guerra Mondiale gli Usa
avevano necessità di mantenere salda la propria sfera d’influenza in Europa in
virtù degli equilibri mondiali della Guerra Fredda. Per questo motivo fu
proprio la potenza statunitense a dare il via a un percorso di cooperazione tra
gli imperialismi europei, attraverso gli aiuti del Piano Marshall e la
creazione dell’Oece (Organizzazione europea per la cooperazione economica) che
doveva gestire l’allocazione dei prestiti statali. L’altro importante passo in
questa direzione fu fatto dalle borghesie di Francia e Germania che decisero di
mettere in comune le risorse carbo-siderurgiche per cercare di superare i loro
interessi antagonistici sul controllo della zona renana (nasce la Ceca, 1951).
Ma una più precisa fisionomia di questa cooperazione tra gli imperialismi
europei si ebbe con la nascita della Cee (Comunità economica europea) a seguito
dei Trattati di Roma del 1957.
Tutti gli anni Sessanta furono attraversati
dal contrasto tra la borghesia tedesca e quella francese per il mantenimento
del loro primato continentale, contrasto acuito dalla politica nazionalista
della Francia gollista che osteggiava apertamente le istituzioni comunitarie.
Furono proprio questi gli anni in cui si cominciò a parlare di un’unione
monetaria da realizzarsi attraverso un sistema comunitario di banche centrali e
che portasse alla liberazione totale dei movimenti del capitale finanziario
(Rapporto Werner, 1971). Ma il fallimento degli accordi di Bretton Woods (1) e
la svalutazione del dollaro resero impossibile questo progetto (la cosiddetta
crisi del “serpentone monetario europeo”).
La seconda metà degli anni Settanta vide la
borghesia tedesca rendersi indipendente dal controllo degli Usa e prendere le
redini dell’imperialismo europeo: da qui la nascita dello Sme (Sistema
monetario europeo, 1979), o “area del marco”, una zona di stabilità monetaria
dominata dai monopoli bancari tedeschi che determinavano l’inflazione
desiderata e fissavano tassi di cambio sui quali tutti gli altri Paesi
avrebbero dovuto convergere. Il progetto della borghesia tedesca era il
perseguimento di un’unità monetaria che avrebbe favorito l’accrescimento della
potenza imperialista europea sul piano internazionale, ponendola in diretta
competizione con gli Usa. Ma la vera accelerazione del progetto “comunitario”
si ebbe con la nomina di Jacques Delors alla guida della Commissione europea
(1985) che attraverso il cosiddetto “Libro bianco” sancì la liberalizzazione
assoluta delle merci e dei servizi e promosse il libero scambio dei prodotti
finanziari (polizze di assicurazione, titoli di proprietà immobiliare,
contratti di risparmio).
Si inaspriva così in Europa quella scissione
tra economia “virtuale” (fatta di valorizzazioni fittizie del capitale in
eccedenza) ed economia “reale” (legata alla produzione e sottoposta alla caduta
del saggio di profitto), già prevista da Marx prima, da Lenin poi, e che ha
portato allo scoppio delle bolle speculative e all’attuale crisi finanziaria.
Questa accelerazione fu favorita dalla restaurazione capitalistica in Urss e
dalla dissoluzione del blocco burocratico sovietico (2). Iniziava un periodo
apparentemente d’oro per l’imperialismo europeo che si gettava alla conquista
dei nuovi mercati dell’Europa Orientale anche a costo di bombardare intere
popolazioni (vedi la guerra di rapina nell’ex-Iugoslavia). Il puntello di
questa politica fu il Trattato di Maastricht (1992) con cui si dava il via
libera alla creazione della moneta unica, che sarebbe stata gestita da
un’istituzione centralizzata e indipendente dai singoli governi e parlamenti:
la Banca Centrale Europea.
Un premio per cercare di attutire gli antagonismi interni all’imperialismo
Con la devastante crisi economica che ha
colpito l’imperialismo, approfondita ancora di più dalla crisi dei debiti
sovrani, sono riemersi quei forti antagonismi che l’Ue si era incaricata di
attutire. E’ qui il primo ordine di motivazioni alla base di questo Nobel. Il
premio infatti vuole rappresentare un incoraggiamento ideologico alle potenze
europee affinché continuino a cooperare tra loro come hanno fatto, pur con
tanti problemi, negli ultimi sessant’anni. Abbiamo visto che la stessa Ceca, la
prima organica alleanza continentale, è sorta proprio per superare un contrasto
di interessi tra la borghesia francese e quella tedesca, il cui antagonismo è
proseguito poi nella Cee e in parte continua a esserci sebbene su temi diversi.
Il timore è proprio quello di una
recrudescenza degli antagonismi interimperialistici e una frantumazione
dell’assetto comunitario negli interessi particolaristici delle singole
borghesie nazionali. Eppure non sarà un premio a fermare quello che è un
destino inevitabile in questa fase storica del capitalismo. Come scrive Lenin
“le alleanze interimperialistiche (...) non sono altro che un momento di
respiro tra una guerra e l’altra (...) le alleanze di pace preparano le guerre
e a loro volta nascono da queste” (3). Queste parole furono scritte in polemica
con Kautsky che invece sosteneva che lo sviluppo dell’imperialismo avrebbe
potuto portare a un’alleanza globale che avrebbe garantito una pace permanente.
Il destino dell’Unione Europea al contrario è ormai quello del fallimento
totale sotto il peso della più micidiale crisi che il capitalismo abbia mai
attraversato. Questo porterà inevitabilmente a una nuova stagione di guerre… e
rivoluzioni.
Un premio per garantire la pace sociale: illusione!
Il secondo motivo del Nobel risiede invece
nel tentativo dell’Unione europea di legittimarsi come “forza del bene” agli
occhi delle masse popolari del continente; masse popolari che la Troika
continua a dissanguare sotto il peso di prestiti dal tasso d’interesse usuraio
agli Stati “deboli” (i Pigs) in cambio di manovre finanziarie “lacrime e
sangue” e leggi di stabilità “draconiane” che, provocando la pauperizzazione
crescente delle masse e della stessa piccola-media borghesia, innescano un
circuito di conflittualità sociale che sarà impossibile fermare.
Commissione europea e Bce mirano a
reintrodurre forme di neocolonialismo economico (e politico!) all’interno della
stessa Europa: il caso della Grecia è emblematico, mentre l’Italia, mediante il
governo Monti, sta cercando di pagare il pizzo alle banche tedesche e francesi
per poter rimanere nel club dei “forti”. Questa è l’essenza della cosiddetta
“austerity”: o il massacro sociale o la retrocessione allo status di “colonia”.
Si assiste dunque a una polarizzazione
radicale: citando ancora le lungimiranti parole di Lenin, “il mondo si divide
in un piccolo gruppo di Stati usurai e in un’immensa massa di Stati debitori”
(4). Si disvela così l’autentica essenza del capitale finanziario e del suo
strumento (l’Unione europea): un’essenza fatta di sfruttamento, miseria e
guerre (sociali e militari).
Ogni tranello ideologico è buono per tentare
di riappacificare la situazione, e il Nobel per la pace all’Ue rientra in
questa finzione interessata. Ma i Paesi europei possono dire addio alla pace sociale:
nel momento in cui si tagliano salari e diritti: non c’è speranza che i
lavoratori si lascino abbindolare dalle dolciastre parole di un comitato di
illustri accademici. La situazione in cui versa il continente è
pre-rivoluzionaria: la lotta di classe è in ascesa e dalla Grecia alla Spagna,
passando per la stessa Germania e Italia (dove ancora il livello dello scontro
è per ora più basso), lavoratori e studenti esprimono tutta la loro
indignazione nei confronti di questa “Unione europea dei banchieri e degli
industriali”, reclamando un’altra Europa possibile. A Lisbona, Madrid e Atene,
decine di migliaia di lavoratori hanno assediato i rispettivi parlamenti,
mentre la lotta dura dei minatori asturiani ha già fatto scuola.
Un programma contro la catastrofe: gli Stati Uniti Socialisti d’Europa!
Ma per bruciare l'Europa capitalistica, per fermare
la guerra sociale dell’imperialismo non bastano singoli focolai di lotta per
quanto combattivi. Bisogna unificare le lotte, centralizzarle e coordinarle in
direzione di uno sciopero generale europeo che possa paralizzare i Paesi e rovesciare
i governi. Bisogna rompere con l’Ue, opporsi al pagamento del debito a banche e
speculatori e lottare per la nazionalizzazione delle banche in unico istituto
creditizio salvaguardando i depositi dei piccoli risparmiatori e ponendo il
credito al servizio della riorganizzazione dell’economia a beneficio
dell’immensa maggioranza della popolazione. Ma questo esige l’abbattimento del
governo fantoccio dell’Ue e la sua sostituzione con un governo dei lavoratori e
delle masse popolari.
Riprendendo le parole del Manifesto delle
sezioni europee della Lit: “Di qui la necessità vitale di recuperare la
prospettiva di lotta per gli Stati Uniti Socialisti d’Europa (...) questo è
l’impegno delle organizzazioni europee della Lega Internazionale dei Lavoratori
– Quarta Internazionale (...) facciamo appello ai lavoratori, ai giovani e alle
masse popolari, perché lottino per una soluzione operaia alla crisi, che
significa porre la questione del potere per la classe operaia. E' in questa
lotta che vogliamo costruire le nostre organizzazioni e ricostruire
l’Internazionale rivoluzionaria di cui abbiamo bisogno come l’aria che
respiriamo” (5).
(*) coordinatore nazionale Giovani di Alternativa Comunista
Note
1) Gli accordi di Bretton Woods, firmati nel 1946 tra Usa e Gran Bretagna per garantire la stabilità monetaria, definirono l’impalcatura del sistema monetario internazionale per i successivi venti anni. La potenza statunitense e il dollaro ebbero la posizione preminente anche nelle politiche monetarie europee. Inoltre gli accordi servirono per costruire una cooperazione monetaria internazionale intorno ad un nuovo organismo, il Fondo Monetario Internazionale (Fmi).
2) La conversione al capitalismo del collettivismo burocratico sovietico e la fine della Guerra Fredda, furono determinanti per il cambiamento della politica imperialista europea il cui carattere si convertì definitivamente da una forma keynesiana a una compiutamente neoliberista. Il progressivo decadimento dei controlli statali sui capitali, principale ostacolo all’attuazione degli obiettivi del rapporto Werner, favorì il convincimento delle borghesie europee di perseguire una reale unione monetaria per approfittare degli immensi mercati che si aprivano in Europa Orientale.
3) Lenin, Imperialismo fase suprema del capitalismo, pag. 138, Editori Riuniti, 1964.
4) ivi, pag. 119.
5) dal Manifesto del coordinamento delle sezioni europee della Lit, reperibile sul nostro sito web.