Partito di Alternativa Comunista

La rivoluzione ucraina necessita dell

La rivoluzione ucraina necessita

dell’unità della classe operaia

 

 

Dichiarazione della Lit - Quarta Internazionale

Il processo rivoluzionario avviatosi in Ucraina con il rovesciamento di Yanukóvich vive ora il suo secondo atto. Il nuovo governo di Yatseniuk-Turchínov, dopo aver firmato un accordo sinistro con la Ue e il Fmi, ha lanciato un attacco brutale contro i lavoratori e il popolo intero.
Il risultato è stato il rafforzamento del movimento separatista nell’est ucraino, che si è appoggiato sul legittimo sentimento di rifiuto di ampi settori di massa del sudest nei confronti del governo che sta svendendo l’Ucraina. Kiev ha reagito inviando truppe e carri armati per reprimere la popolazione della zona.

Come nella Maidán hanno agito forze di estrema destra, neonaziste e filo‑imperialiste, così ora forze reazionarie dell’est (scioviniste russe e staliniste) stanno sviando l’imprescindibile lotta contro il governo oligarchico di Kiev verso un movimento separatista reazionario che pretende la divisione dei lavoratori ucraini e la spartizione del Paese. È doveroso combattere questo movimento per sostenere l’unità dell’Ucraina e della sua classe operaia.

Sia il nuovo governo ucraino che Mosca condividono la politica di scaricare sui lavoratori la crisi che essi hanno provocato e puntano a fermare il processo rivoluzionario. Sono entrambi agenti dell’imperialismo. Ma, in questo quadro, si contendono porzioni della quota di sfruttamento e saccheggio delle risorse ucraine. E perciò hanno portato il popolo sulla soglia di uno scontro fratricida.

La Repubblica Popolare di Donetsk è un movimento secessionista regressivo, che rivendica la “indipendenza” e trascina parte dei lavoratori dell’est, dividendo il proletariato ucraino e minacciando una divisione che liquiderebbe l’Ucraina.

E Kiev lancia i suoi carri armati per reprimere nel sangue non solo il movimento separatista ma ogni possibilità di reazione della classe operaia della regione più industrializzata del Paese.

Entrambi cercano di mettere fine a ciò che hanno provocato, ma la questione è sfuggita loro di mano. Soltanto la classe operaia organizzata con i suoi propri metodi e nella lotta è capace di affrontare il doppio attacco filo‑imperialista di Kiev e di Putin.

Non stiamo nel campo politico del governo di Kiev né in quello di Putin e dei suoi agenti separatisti della Repubblica Popolare di Donetsk, che rappresentano un altro meccanismo per la medesima colonizzazione dell’Ucraina. Nessuno di essi offre un futuro di indipendenza né la risoluzione dei problemi sociali dell’Ucraina. Siamo contrari sia all’offensiva dei carri armati di Kiev che alla separazione criminale che si nasconde dietro l’inganno della Repubblica Popolare di Donetsk.

Difendiamo l’unità della classe operaia ucraina contro questi progetti borghesi. Siamo per una Ucraina unita, indipendente, che rompa con l’oppressione storica russa e con il progetto di colonizzazione portato avanti tanto dalla Ue e dal Fmi quanto da Putin.

Salutiamo calorosamente il sorgere di processi della classe lavoratrice nelle province dell’est che si oppongono sia al sinistro separatismo filo‑russo sia al governo filo‑imperialista di Kiev. In essi è riposta la speranza dell’intera Ucraina.

 

Ucraina, una storia di lotte nazionali sconfitte da direzioni controrivoluzionarie

L’Ucraina è uno dei Paesi con maggior tradizione di grandi lotte nazionali. Purtroppo ha anche collezionato una serie di sconfitte facilitate da direzioni controrivoluzionarie. Attualmente assistiamo a una riedizione di questo dilemma tra rivoluzione e controrivoluzione in pieno corso.
Continua ad essere valida l’affermazione di Trotsky: “La Quarta Internazionale deve comprendere chiaramente l’enorme importanza della questione ucraina non solo per il destino dell’est e sudest europeo ma di tutta l’Europa. È un popolo che ha dimostrato la propria effervescenza, numericamente uguale alla popolazione della Francia e che occupa un territorio eccezionalmente ricco e soprattutto di grande importanza strategica” [1].

Fu sulla base della politica rivoluzionaria di difesa dell’autodeterminazione nazionale che i bolscevichi poterono costruire un’esperienza storica inedita con la creazione dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche nel 1922. Un esempio per tutte le nazionalità oppresse del mondo di come si potessero unire liberamente diverse nazionalità in una federazione con obiettivi comuni attraverso il convincimento e non l’imposizione.

“Nella concezione del vecchio Partito Bolscevico l’Ucraina Sovietica era destinata a convertirsi nel potente asse attorno al quale si sarebbero riunite le altre sezioni del popolo ucraino. Durante il primo periodo della sua esistenza è fuor di dubbio che l’Ucraina Sovietica fu una grande forza di attrazione in rapporto alle nazionalità, come è vero che stimolò la lotta degli operai, dei contadini e dell’intellettualità rivoluzionaria dell’Ucraina Occidentale schiavizzata dalla Polonia. Purtroppo la burocratizzazione dell’Urss portò alla sua trasformazione in una nuova prigione dei popoli. L’oppressione russa si abbatté attraverso la brutalità stalinista sulle altre nazionalità della federazione, generando nuovamente fortissime correnti centrifughe. La burocrazia strangolò e saccheggiò anche il popolo della Grande Russia. Ma nelle questioni ucraine le cose si complicarono ancora di più per via del massacro delle speranze nazionali. In nessun’altra parte le restrizioni, le purghe, le repressioni e tutte le forme di oppressione burocratica in genere assunsero dimensioni tanto assassine come in Ucraina, allo scopo di soffocare i grandi aneliti di maggiore libertà e indipendenza profondamente radicati nelle masse. Per la burocrazia totalitaria l’Ucraina Sovietica si convertì in una divisione amministrativa di una unità economica e di una base militare dell’Urss” [2].

Queste correnti centrifughe nazionali esplosero con la caduta della dittatura stalinista che portò alla dissoluzione dell’Urss nel 1990‑1991.

Il momento attuale rappresenta una nuova espressione di un processo rivoluzionario da una parte, e, dall’altra, della disputa colonizzatrice del Paese da parte di due blocchi borghesi: da un lato l’imperialismo dell’Unione Europea e degli Stati Uniti e dall’altro l’oppressione borghese russa (anch’essa filo‑imperialista) con Putin, i quali fanno ricorso al nazionalismo per nascondere la propria dominazione.

Nessuna di queste alternative serve alla costruzione di un’Ucraina libera e indipendente. Allo stesso modo, nessuna alternativa borghese ucraina serve a questo. I diversi settori della borghesia ucraina si dividono intorno a due progetti (con maggiore o minore influenza russa) che significano la medesima dipendenza. Bisogna affrontare fino alle estreme conseguenze tanto la storica oppressione russa quanto l’attuale avanzata dell’Ue e del Fmi. Soltanto un’alternativa operaia e rivoluzionaria può portare all’unità e all’indipendenza del Paese.

 

Il primo momento del processo rivoluzionario

La caduta di Víctor Yanukóvich è stata l’espressione del processo rivoluzionario in uno degli anelli deboli del capitalismo europeo. La crisi economica, con un quarto della popolazione nella povertà assoluta e una disoccupazione che colpisce tre milioni di persone, ha spinto le masse ucraine all’azione. Questa base materiale si è aggiunta agli esempi della rivoluzione mondiale.
La caduta di Yanukóvich ha rappresentato una grande vittoria della mobilitazione rivoluzionaria del popolo ucraino, che ha diviso le forze repressive e portato al collasso le principali istituzioni del potere politico. Si è trattato di una doppia vittoria democratica. Da una parte, ha rovesciato il governo e indebolito un regime bonapartista. Dall’altra, ha rovesciato Yanukóvich, un agente dell’Unione Europea e dell’oppressione russa che negli ultimi mesi stava orientandosi verso Mosca e frenando l’avvicinamento alla Ue.

Come abbiamo detto, non si può intendere la questione nazionale isolandola dal contesto internazionale della lotta di classe. Contrariamente a quanto afferma la sinistra filo‑stalinista mondiale, il ripudio dell’oppressione russa è stato un fattore progressivo, favorevole alla rivoluzione mondiale.

Ciò nonostante, l’indebolimento dell’oppressione russa non risolve la questione nazionale del Paese. Il risultato delle mobilitazioni è stato profondamente compromesso dall’assenza di una direzione rivoluzionaria. La loro direzione è stata occupata da altri settori borghesi filo‑imperialisti e anche da correnti fasciste. L’eroismo delle masse ucraine è stato appannato dalle speranze nell’Unione Europea. Il risultato della prima tappa del processo rivoluzionario ha portato contraddittoriamente a un governo di un’altra camarilla borghese, ancor più filo‑imperialista. È caduto il governo di Yanukóvich ma è rimasto in piedi, anche se indebolito, il regime bonapartista sotto il governo provvisorio di Yatseniuk. L’azione rivoluzionaria delle masse ha indebolito la dominazione russa ma, contraddittoriamente, si è intensificata la dominazione imperialista diretta, ora agli ordini dell’Ue e del Fmi.

Il governo provvisorio di Yatseniuk ha firmato un accordo con il Fmi che rappresenta un passo qualitativo verso la colonizzazione del Paese e la sua sottomissione alla Ue. Il piano include un durissimo attacco contro il popolo ucraino, come anche la ricomposizione delle sue forze armate sotto la direzione della Cia, con la creazione della Guardia Nazionale che incorpora nell’apparato repressivo statale le orde naziste che hanno agito nella Maidán.

La questione nazionale non è stata risolta. Si è anzi aggravata, con una colonizzazione molto più diretta dell’Unione Europea e del Fmi, anche se in alcune zone dell’Ucraina permangono forti elementi di dominazione russa.

Ciò nonostante, il bilancio di questo primo momento non può limitarsi a questo. Il fatto fondamentale è che è cominciato un processo rivoluzionario che il nuovo governo non può contenere. Le masse sono entrate in azione con le loro enormi confusioni, con il vuoto di direzione rivoluzionaria. Ma sono finiti i tempi di stabilità. Rivoluzione e controrivoluzione si affrontano ora in maniera complessa e confusa, ma con un’intensità inedita. Era da molti anni che ciò non accadeva, non solo in Ucraina ma in tutta Europa.

 

L’episodio della Crimea

La caduta di Yanukóvich ha significato anche una sconfitta diretta di Putin, nella misura in cui l’ex presidente ucraino, pur non cessando di essere un agente filo‑imperialista, era diventato un agente diretto del Cremlino in questo Paese. Putin ha reagito con un’aggressione militare alla sovranità ucraina, invadendo con le sue truppe la penisola di Crimea, dove migliaia di soldati russi si sono impossessati di edifici pubblici e aeroporti, accerchiando le principali basi militari ucraine.
La penisola di Crimea è in realtà un’enclave russa, prodotto di una brutale russificazione della regione, avviata da Stalin con la pulizia etnica dei tartari, la popolazione storica della penisola. Più di 190.000 tartari furono deportati in Uzbekistan, Marelia, Kazakistan e in altri oblasts (province) russi. La popolazione tartara in Crimea fu decimata ed espulsa della propria terra, per essere poi sostituita da coloni russi. Si può affermare perciò che l’attuale “maggioranza” russa in Crimea è il risultato del processo di russificazione iniziato alla fine del XVIII secolo e proseguito soprattutto con l’atroce genocidio del 1944‑1945.

Si tratta di una regione di enorme importanza per Mosca, sia sul piano economico (gasdotti e turismo interno di massa) che militare. Qui si trova la gigantesca base navale di Sebastopoli, sede della Flotta del Mar Nero.

Appoggiandosi su questa base sociale russa e sull’aggressione militare, Putin ha imposto la farsa di un referendum che ha portato alla separazione della Crimea dall’Ucraina e alla sua annessione alla Federazione Russa.

La questione “nazionale” della Crimea, utilizzata da Putin, non ha svolto alcun ruolo progressivo. È stata una risposta reazionaria alla sconfitta della Maidán, appoggiata sulla base sociale di un’enclave senza alcun diritto all’autodeterminazione.

 

Il secondo momento del processo rivoluzionario

Scaricando la profonda crisi economica in cui è sommerso il Paese sulle spalle dei lavoratori, il governo di Kiev ha mostrato il suo volto e ha aperto un nuovo momento nella lotta delle masse.
Benché la campagna di disinformazione della stampa caratterizzi la mobilitazione nel sudest dell’Ucraina come un movimento diretto dalle “forze separatiste” e “filo‑russe”, la verità è che siamo di fronte ad un movimento molto più complesso.

Il sudest ucraino, soprattutto la provincia (oblast) di Donetsk, è la regione più industrializzata del Paese. Dalle miniere alle industrie metallurgiche e chimiche, è la più importante concentrazione operaia del Paese.

Con lo sgretolamento dell’economia ucraina la moneta nazionale ha perduto più del 50% del suo valore in due mesi, e solo questo ha rappresentato di per sé una profonda perdita nel valore d’acquisto dei già bassi salari. La crisi ha fatto aumentare la disoccupazione, e il pacchetto di misure voluto dal Fmi e applicato dal servile governo di Kiev, che aumenta del 50% il prezzo del gas, ha congelato i salari degli impiegati pubblici, oltre a provocare un aumento generalizzato dei prezzi. Questa è stata la scintilla che minacciava di far esplodere la lotta popolare, con importante partecipazione operaia.

L’aumento del prezzo del gas, che riscalda le case in una regione in cui le temperature arrivano a ‑20°C, rappresenta per molte famiglie la frontiera tra la vita e la morte.

Questa è la situazione oggettiva che ha messo in movimento le masse. Secondo un corrispondente della stampa: “A Donetsk i protagonisti sono gli ingegneri delle fabbriche bloccate per mancanza di commesse, i minatori delle miniere che chiudono o falliscono. Perciò una delle principali rivendicazioni è la nazionalizzazione dell’industria, e il recente pacchetto del governo tende ad approfondire ancora di più il disastro sociale” [3].

Dopo la restaurazione capitalista e il saccheggio della proprietà statale, la regione è diventata la fonte delle principali fortune del Paese. Rinat Akhmetov, l’uomo più ricco d’Ucraina e con uno dei maggiori patrimoni d’Europa, ha costruito il proprio impero industriale appropriandosi delle miniere statali, per poi aprire la strada all’industria metallurgica e alle banche.

Esiste una divisione nella borghesia ucraina tra i grandi oligarchi dell’Est e dell’Ovest. Alcuni proprietari delle grandi imprese non sono interessati all’annessione alla Russia perché le loro imprese sono in competizione diretta con la Russia, specialmente nei settori agro-alimentare, chimico, della costruzione automobilistica e della metallurgia. Ciò spiega il fatto che persino un oligarca filo‑russo come Akhmetov, membro dello stesso partito di Yanukóvich, abbia rifiutato di far parte dell’Unione Doganale proposta dalla Russia, lasciando correre liberamente la campagna per l’accordo con la Ue. La possibilità di associarsi ai capitali imperialisti sulla base della distruzione del Paese gli sembrava più attraente.

 

Una trappola nazionalista ostacola una necessaria e progressiva ribellione operaia

Esiste una lotta nazionale progressiva dell’Ucraina in quanto nazione oppressa, tanto contro la storica oppressione russa quanto contro l’imperialismo mondiale. Questa lotta deve continuare, e si esprime oggi nello scontro con il governo di Kiev e le politiche dell’Ue e del Fmi e di Mosca.
Questo non ha nulla a che vedere con l’attuale intento secessionista espresso dalla Repubblica Popolare di Donetsk e dal criminale tentativo separatista guidato dalle organizzazioni che hanno realizzato il referendum dell’11 maggio, che deve essere rifiutato dalla classe lavoratrice ucraina e dal mondo.

Tra la radicalizzazione politica contro il governo di Kiev e la lotta per l’unità della classe operaia ucraina si frappongono vari ostacoli. Altre forze politiche, reazionarie quanto quelle che si sono appropriate del risultato della mobilitazione popolare nella Maidán di Kiev, sono entrate in azione e hanno canalizzato la rabbia e l’odio della classe contro il governo di Kiev.

La questione nazionale nell’est dell’Ucraina è in questo caso una trappola per deviare un profondo problema sociale. Il proletariato ucraino doveva intraprendere la lotta contro il governo filo‑imperialista di Kiev e il progetto di colonizzazione del Fmi.

Ma questo odio sociale è deviato verso una questione nazionale filo‑russa. In questa regione circa il 70% della popolazione parla la lingua russa. I russi non possono essere considerati una nazionalità oppressa in Ucraina. Sono, al contrario, una nazionalità oppressora. Il marxismo rivoluzionario difende, in generale, l’autodeterminazione delle nazionalità oppresse, non di quelle che opprimono.

Ciò nonostante, la vittoria rivoluzionaria della Maidán non ha portato al governo una direzione che cercasse di tenere insieme l’intero popolo ucraino. Yatseniuk ha combinato invece un durissimo attacco sociale con il piano del Fmi con una misura bonapartista e provocatoria contro la nazionalità russa, annullando l’uso di questo idioma come seconda lingua ufficiale del Paese. Prima che venissero prese queste misure le correnti separatiste di questa regione non avevano influenza di massa. Sono state queste misure a gettare un settore del proletariato verso la reazionaria causa separatista.

La necessaria lotta del principale settore del proletariato ucraino, in unione con l’insieme dei lavoratori del Paese, contro un governo appoggiato dall’intero imperialismo europeo e statunitense è stata deviata verso la falsa politica secondo cui la soluzione per le loro vite è l’indipendenza di questa regione e la separazione dall’Ucraina, il referendum e la fondazione della Rpd, inclusa la politica di annessione alla Russia, e non l’unità del proletariato contro il governo di Kiev.

Le illusioni della mobilitazione popolare nella Maidán che il trattato con la Ue avrebbe migliorato le loro vite trovano nell’est un corrispettivo nell’illusione che la Russia possa essere un’alternativa. Si tratta di ideologie reazionarie che minacciano la necessità di una lotta congiunta del proletariato ucraino contro il governo di Kiev.

Nell’est ucraino agiscono organizzazioni di nazionalisti filo‑russi di estrema destra e antisemiti, come Oplot, che contendono la coscienza delle masse utilizzando la denominazione zarista di questa regione (Nuova Russia), deviandola verso una causa reazionaria, suicida come la separazione. Nella Maidán hanno agito organizzazioni come Svoboda e il Pravy Sektor, le organizzazioni di estrema destra filo‑Kiev che sono riuscite ad installarsi su una mobilitazione progressiva che ha rovesciato Yanukóvich, per poi evitare che questa mobilitazione continuasse contro gli oligarchi. Adesso le loro sorelle gemelle filo‑russe contendono palmo a palmo la coscienza dei lavoratori per impedire che i colpi siano sparati contro i veri nemici: la borghesia ucraina, russa e l’imperialismo mondiale.

L’Accordo di Ginevra di aprile tra i capi della diplomazia statunitense, la Ue e la Russia ha dimostrato che la principale preoccupazione di Putin è di mantenere la conquista della Crimea, cercando di negoziare riguardo all’Est dell’Ucraina. Perciò l’accordo ha sancito la disattivazione del conflitto e la fine delle occupazioni degli edifici pubblici, cioè la ritirata dei combattenti nell’est. Per la stessa ragione Putin ha proposto di “posticipare” il referendum per l’indipendenza nella regione e di non interferire nelle elezioni del 25 maggio a Kiev.

Putin non può agire nell’est ucraino come in Crimea perché ha paura che il processo rivoluzionario ormai divampato contamini la situazione russa, anch’essa minacciata dalla crisi economica. Ma per la stessa ragione non riesce a controllare ciò che accade nella regione: non c’è stato disarmo né sgombero degli edifici, e il referendum è stato realizzato nelle due regioni più importanti dell’est.

Il referendum di Donetsk e Lugansk è stata un’iniziativa dei settori separatisti, espressione di settori borghesi minori il cui commercio dipende dai rapporti di dipendenza con la Russia, per deviare la lotta sociale delle masse contro il governo di Kiev.

Secondo questi organizzatori – ma questo è impossibile da verificare – la consultazione ha contato su una massiccia partecipazione (dal 70 all’80% della popolazione) che ha manifestato una posizione ampiamente maggioritaria (parlano del 90%) a favore dell’indipendenza delle regioni. Il quesito referendario (contro o a favore dell’indipendenza) non specifica in che modo si concretizzerebbe questa indipendenza perché l’appoggio all’annessione è minoritario. È stato un referendum ingannevole perché chiedeva che ci si schierasse a favore o contro la “indipendenza” ma, una volta conosciuti i risultati, la direzione filo‑russa della Rpd ha manifestato la propria intenzione di cercare l’unità con la Russia, il che, secondo i sondaggi, non era nelle intenzioni della maggioranza [4].

Con questo referendum le direzioni filo‑russe sono riuscite a guadagnare le masse ad una posizione reazionaria indipendentista, lasciando da parte la necessaria unità del proletariato ucraino per combattere il governo filo‑imperialista di Kiev. Bisogna rifiutare con tutte le forze questo referendum ingannevole, che nasconde una politica criminale nei confronti dei lavoratori ucraini.

Il governo filo‑imperialista di Kiev ha tentato un’offensiva militare contro l’est ribelle che si è rivelata un monumentale disastro. Le forze regolari dell’esercito si rifiutavano di sparare e consegnavano le proprie armi al popolo. Ciò nonostante, l’esercito è stato sostituito dalle nuove forze di repressione (la Guardia Nazionale e la Divisione Alpha), riorganizzate con l’aiuto dell’imperialismo e reclutate tra le file delle organizzazioni neonaziste.

Le operazioni militari sono tornate alla carica in forma raddoppiata, e l’accerchiamento delle città ribelli è stato anch’esso raddoppiato. Dobbiamo rifiutare allo stesso modo la possibilità che l’apparato repressivo di Kiev metta in atto un massacro contro le popolazioni dell’Est.

 

Incipienti processi operai: una speranza per il futuro della rivoluzione in Ucraina

Indubbiamente non sono queste le uniche forze che si stanno muovendo. Esistono espressioni del fatto che vi è spazio nella classe operaia per una posizione diversa da quella del nazionalismo filo‑russo, e di unità della classe operaia ucraina nello scontro con il regime di Kiev. I lavoratori delle miniere di Kryvyi Rih (in russo, Krivoy Rog), che hanno appoggiato la Maidán, rivendicano ora una “Maidàn operaia”. Hanno manifestato per le strade contro l’amministrazione di Evraz Sukha Balka plc [5] e lanciato monetine in segno di protesta contro “l’aumento salariale” fittizio dello scorso aprile.
Hanno inoltre lanciato un appello: “Allo stesso tempo chiediamo alle autorità che legittimino l’autodifesa dei minatori e che armino le brigate dei minatori, l’organizzazione dei lavoratori e l’autodifesa dei lavoratori sono il fattore stabilizzante che può prevenire l’ascesa della violenza in Ucraina. In quei luoghi in cui i lavoratori organizzati stanno controllando la situazione, l’azione delle masse non si traduce in assassini su larga scala. I lavoratori hanno difeso la Maidán a Kryvyi Rih” [6]. E il Sindacato Indipendente dei Minatori dell’Ucraina ha fatto un appello agli operai britannici per realizzare una campagna internazionale [7].

Non sono un caso isolato. Come nella Kryvyi Rih hanno organizzato l’autodifesa, in zone come Cherno Hrad – distretto di Lviv – i lavoratori hanno di fatto nazionalizzato la centrale elettrica che appartiene all’oligarca Rinat Akhmetov. E a Krasnodon – distretto di Lugansk – in sciopero generale regionale, i minatori hanno preso il controllo della città, si sono rifiutati di allearsi ai separatisti e ad appoggiare gli oligarchi di Kiev. Hanno messo in piedi la loro Maidàn dei lavoratori, con le loro rivendicazioni di giustizia sociale: aumento dei salari, fine della precarizzazione, e con un movimento politico che poneva la necessità dell’unità dei lavoratori di differenti settori, con una forza tale che hanno preso il controllo della città senza sparare un solo colpo e senza incontrare resistenza, neppure passiva [8].

In quanto espressione di un altro processo, si sono messi in movimento gli operai metallurgici delle fabbriche di Akhmetov, che impiega 280.000 operai nell’est ucraino. Apparentemente agli ordini del grande borghese, che teme di perdere i propri mercati nel caso in cui si imponga la separazione dell’Est, gli operai hanno occupato cinque città dell’Est, tra cui Mariupol, mettendo in fuga le milizie filo‑russe che le controllavano. Hanno formato quindi picchetti che hanno espulso i separatisti, almeno a Mariupol, ripulendo le strade dalle barricate e “ristabilendo l’ordine”.

Non c’è alcun futuro per il proletariato ucraino sotto il comando di Putin o di Yatseniuk-Fmi, né tantomeno di Akhmetov. Ma questi movimenti sono importanti perché dimostrano che la direzione reazionaria filo‑russa non si è consolidata nel proletariato dell’Est ucraino. E, più in generale, questi fatti dimostrano che esiste una possibilità reale che i lavoratori prendano le cose nelle loro mani, affrontando i separatisti filo‑russi e il governo filo‑imperialista di Kiev.

 

No alla spartizione dell’Ucraina e alla svendita al FMI!

Né Ue‑Fmi né Putin! Per l’unità della classe operaia ucraina! Per una Ucraina indipendente e socialista

L’Ucraina è un Paese storicamente oppresso dalla Russa. A causa della propria decadenza economica risveglia forze centrifughe tra i settori borghesi che si orientano in direzione delle diverse varianti: sulla base di un accordo di maggiore dipendenza dall’imperialismo, si avvicinano o si allontanano dalla Russia.
Nel corso del primo atto di questo processo rivoluzionario le masse si sono schierate con la camarilla borghese che controllava l’apparato statale sottomesso alla Russia.

Adesso, nel secondo atto, il proletariato dell’Est deve affrontare la trappola separatista della Rpd per avanzare nell’unità della classe operaia ucraina e lottare contro il governo di Kiev e contro ogni oppressione, e creare un’Ucraina unita e indipendente.

Appoggiamo la lotta dei lavoratori ucraini del sudest del Paese contro il nuovo governo e le sue misure dettate dal Fmi. Difendiamo il loro diritto a mantenere la lingua russa, ma lottiamo allo stesso tempo per l’unità della classe operaia ucraina e contro la divisione del Paese.

Ma non difendiamo l’indipendenza, né consideriamo che sia in gioco un diritto all’autodeterminazione nazionale, poiché alla base c’è una maggioranza russa che non è una nazionalità oppressa in Ucraina. Perciò rifiutiamo la Rpd e il referendum dell’11 maggio.

La questione nazionale, ancora una volta, può essere intesa soltanto alla luce della situazione internazionale della lotta di classe.

La vittoria del separatismo e la spartizione dell’Ucraina sarebbero indubbiamente una sconfitta per i lavoratori del Paese e per la nazione oppressa, una sconfitta che distruggerebbe ogni possibilità di un’Ucraina indipendente e che rafforzerebbe la dipendenza di ogni sua parte nei confronti dell’imperialismo nel suo insieme, oltre a rafforzare la continuità dell’oppressione russa sull’Est del Paese.

Una unità conseguita attraverso un massacro dei carri armati del governo di Kiev sarebbe indubbiamente una sconfitta del proletariato ucraino ed europeo. Rafforzerebbe i governi di Germania e Francia (oltre ad Obama), instancabili sostenitori di Yatseniuk‑Turchínov. Favorirebbe la colonizzazione del Paese attraverso l’imposizione del piano del FMI.

La rivoluzione ucraina passa per l’unità del suo proletariato. La controrivoluzione ha due teste: i due campi borghesi della Ue e di Putin.

 

Via la UE, gli Stati Uniti e Putin dall’Ucraina!

No alla separazione dell’est, no alla Rpd! Affrontare i secessionisti!

Non alla federalizzazione, alla separazione e all’annessione alla Russia!

Abbasso il pacchetto Fmi‑Yatseniuk! Via il governo filoimperialista!

Per la nazionalizzazione delle imprese e delle miniere!

Per una Ucraina unita, indipendente!

Per una Assemblea Nazionale Costituente che decida in maniera democratica l’organizzazione del Paese e delle regioni!

Per un governo operaio e socialista!

 

Note

[1] “La questione ucraina”, 1939.

[2] Idem.

[3] Vedere: http://internacional.elpais.com/internacional/2014/05/05/actualidad/1399319384_585225.html

[4] Vedere: http://elcomercio.pe/mundo/actualidad/ucrania-podria-perder-185-su-territorio-mayo-noticia-1726191: secondo un sondaggio dell’Istituto per la Ricerca Sociale e l’Analisi Politica, divulgato dal giornale britannico “The Guardian”, soltanto il 27% della popolazione è favorevole ad una qualche forma di unione con la Russia.

[5] Corporazione multinazionale siderurgica e mineraria con sede nel Regno Unito e operazioni, tra gli altri Paesi, in Russia e Ucraina.

[6] Vedere:

http://observerukraine.net/2014/05/12/appeal-of-the-kryviy-rih-basin-miners-to-the-workers-of-europe/

[7] Vedere: http://observerukraine.net/tag/kryviy-rih-miners/

[8] Dichiarazione dell’Opposizione di Sinistra – 16-5-14. Vedere: http://observerukraine.net/2014/05/08/for-an-independent-social-movement-for-a-free-ukraine/

 

 

(traduzione dallo spagnolo di Simone Tornese)

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