Libia e Siria: doppio crocevia per l'imperialismo
di Claudio Mastrogiulio
Ricapitoliamo gli ultimi passaggi riguardanti la Libia.
Il 16 febbraio
scorso, l'esempio delle eroiche manifestazioni che hanno visto la vittoria del
popolo tunisino ed egiziano, accende gli animi e lo spirito di rivolta delle
masse libiche. Nell'arco di una settimana, il 23 febbraio, le forze
controrivoluzionarie di Gheddafi reagiscono. Inizia la repressione, col
colonnello che minaccia di trovare ed uccidere i rivoltosi, acciuffandoli casa
per casa. Nonostante un parziale riassestamento delle proprie forze, il regime
perde il controllo della parte est del Paese, mentre molti ufficiali disertano
e passano nelle fila dell'opposizione. Il 24 febbraio le forze del regime
combattono in diverse città alle porte di Tripoli con l'obiettivo di soffocare
nel sangue la rivolta. L'unico obiettivo che riescono a raggiungere è quello di
salvaguardare la capitale, divenuta ormai il fortino di Gheddafi. Il giorno
successivo, il 25 febbraio, le milizie (tra cui numerosissimi mercenari)
sparano sulla folla dei manifestanti dopo la preghiera del venerdì.
Il 26
febbraio, durante la notte, il Consiglio di Sicurezza dell'Onu vota una
risoluzione per imporre le sanzioni economiche nei confronti della Libia; viene
in questo modo intrapreso il primo passo verso la risoluzione 1973 che darà
inizio all'intervento imperialista in Libia. Il 28 febbraio, Gheddafi lancia
un'importante controffensiva contro i ribelli, con l'ausilio dell'esercito,
dell'aviazione e dei corpi speciali. Nei giorni seguenti, la situazione sembra
attestarsi in una fase di stallo che vede Gheddafi presidiare la Tripolitania, mentre
i ribelli hanno insediato il proprio quartier generale nella regione della
Cirenaica. Ma il 6 marzo accade qualcosa di molto significativo dal punto di
vista della tattica militare, con i ribelli che riescono a conquistare Ras
Lanuf, sede di un importante centro petrolifero. Il 15 marzo, tuttavia, si
verifica un ulteriore capovolgimento di fronte, con Gheddafi che bombarda,
attraverso le forze dell'aviazione, le città ad est del Paese. Sembra quasi che
la guerra civile sia stata risolta a favore di Gheddafi, tant'è che viene
offerta un'amnistia ai ribelli in cambio della resa. Ed arriviamo, dunque, al
17 marzo, vale a dire il giorno in cui il Consiglio di Sicurezza dell'Onu
approva la risoluzione 1973 che autorizza l'intervento militare imperialista.
Inizia, dunque, sotto l'egida dell'Onu ed il comando operativo della Nato, la
guerra in Libia (cosiddetta Odissey Dawn,
Odissea all'Alba).
L'intervento imperialista in Libia
Gli interessi
che l'imperialismo ha nell'intervenire, sono ben diversi da quelli sbandierati
nelle scorse settimane. Le potenze neocoloniali che partecipano all'aggressione
(Francia, Gran Bretagna, Italia ed Usa) non hanno a cuore gli interessi del
popolo libico, né tantomeno la sua salvaguardia. L'imperialismo interviene per
raggiungere due obiettivi: stabilizzare la regione contro le rivoluzioni in
corso ed appropriarsi del petrolio. Gheddafi, infatti, non sarebbe stato
ulteriormente in grado di garantire una sorta di pacificazione nazionale ed una
seppur flebile forma di stabilizzazione della regione; motivo per cui la
"pedina" Gheddafi non avrebbe potuto rivelarsi spendibile per gli interessi
dell'imperialismo.
Il secondo
motivo di intervento, che poi è il principale, è il controllo manu militari di
una nazione strategicamente fondamentale per l'approvvigionamento delle immense
scorte petrolifere che possiede il proprio sottosuolo. Per oltre quarant'anni
Gheddafi è stato il fantoccio dell'imperialismo internazionale, con cui si sono
intavolate trattative, sottoscritti trattati, etc. Anche allora il Colonnello
era un dittatore feroce e sanguinario, che manteneva i migranti che
transitavano nel proprio Paese in uno stato di prigionia in veri e propri
lager. Proprio su questo punto, quello dell'immigrazione, Gheddafi ha
rappresentato, specie per i diversi governi italiani che si sono succeduti
negli anni, un esempio di come andassero criminalizzati e vessati gli
immigrati. Che ora, per un'improvvisa resipiscenza, le potenze neocoloniali
occidentali si siano accorte di chi sia veramente il presidente libico, è un
paradosso che offende le intelligenze del popolo arabo e non solo.
Il dibattito a sinistra: la posizione degli stalinisti...
Il precipitare della situazione, con l'intervento dell'occidente, ha creato nella sinistra internazionale grande confusione, dettata soprattutto dal ruolo controrivoluzionario giocato dalle burocrazie chaviste e staliniste. Infatti, Castro e Chavez, che da una parte del movimento antimperialista vengono considerati come degli esempi da seguire, hanno difeso a spada tratta l'operato di Gheddafi, caratterizzandolo come un oppositore dell'imperialismo. Lasciando che il movimento venga egemonizzato da queste tesi assurde, ma soprattutto false, si raggiungerebbe il risultato per cui, al fine di unirsi contro l'imperialismo, si rivaluti la figura di Gheddafi. Questo sarebbe un errore inaccettabile, perché non si terrebbe conto della realtà oggettiva che caratterizza la vicenda libica, con decine di migliaia di morti provocati nelle scorse settimane dal Raìs; così come sarebbe incredibilmente fuorviante spacciare per "democratica e portatrice di libertà" la vile campagna imperialista.
... e quella dei rivoluzionari
Il popolo libico non ha certamente messo a repentaglio decine di migliaia di vite per ritrovarsi sotto il tallone di ferro di un altro dittatore, magari più confacente agli interessi dell'imperialismo di quanto non lo sia Gheddafi in questo momento. Le armi che le potenze occidentali utilizzano in Libia servono per poter meglio controllare la regione ed il futuro assetto politico-istituzionale della stessa. E' per questo motivo che le masse libiche devono rivoltare le armi sia contro Gheddafi che contro l'invasione imperialista. Se questo non accadrà, ci sarà una riproposizione di quanto già accaduto in Iraq, con l'investitura di un nuovo fantoccio legato mani e piedi agli interessi dell'imperialismo internazionale.
Gli sviluppi della situazione siriana
Nelle ultime
settimane, a mettere in affanno l'imperialismo è la situazione che si sta
sviluppando in Siria. Una nazione strategicamente fondamentale nello scacchiere
mediorientale, infatti, rischia di far saltare un regime (quello della famiglia
Assad) che dura da oltre 40
anni. Già alla fine di marzo, infatti, il governo è stato costretto a
dimettersi. L'attuale Costituzione è stata
adottata il 13 marzo 1973. Affida al partito Ba'th un ruolo di guida nella
società e nello Stato.
Il Presidente della Repubblica è il segretario generale del
partito Ba'th e il capo del Fronte Progressista Nazionale (alleanza di 10
partiti legali egemonizzata dal Ba'th) ed è
approvato per un mandato di 7 anni tramite un referendum a suffragio universale. Dal colpo di
Stato del 1963 è in vigore la legge marziale, che sospende la maggior parte
delle formali garanzie costituzionali ed aumenta i poteri del Presidente.
Le proteste sono iniziate il 22 marzo nella città agricola di
Dara'a, vicino al confine con la
Giordania, a causa dell'arresto di alcuni studenti delle
scuole superiori che avevano disegnato sui muri graffiti antigovernativi. Le
imponenti manifestazioni che si sono realizzate nei giorni successivi hanno
costretto Assad a far dimettere il Primo Ministro. Contemporaneamente, lo
stesso Assad prometteva riforme e provvedimenti di legge che limitassero la
dilagante corruzione e la crescente disoccupazione. Ovviamente, queste promesse
sono rimaste tali ed anzi, nei giorni scorsi (e ancora oggi) il popolo siriano
è stato vittima di un vero e proprio eccidio, con la repressione e l'uccisione
di centinaia di manifestanti.
La Siria rappresenta
un punto di snodo importantissimo per la tenuta degli equilibri cari
all'imperialismo nel Medio Oriente, per cui se dovesse effettivamente saltare
anche Assad potrebbero crearsi le condizioni per cui l'ondata rivoluzionaria
che sta scompaginando il Nordafrica possa giungere fino ai confini sauditi ed
israeliani. In tal caso, anche alla luce della recentissima riconciliazione
nazionale tra Al-Fatah ed Hamas, il prossimo soggetto ad irrompere nello
scenario mondiale non potrà che essere il popolo palestinese.