Partito di Alternativa Comunista

Libia e Siria: un duro dibattito divide la sinistra

Libia e Siria: un duro dibattito divide la sinistra


 

di Eduardo Almeida Neto (*)

 

 

foto artic edu

 

Come spesso accade, la rivoluzione araba in corso è uno spartiacque nella sinistra in tutto il mondo. Questa esperienza va ad incorporarsi nel bagaglio di conoscenze che viene arricchito da ogni rivoluzione.
D'altra parte, gli attivisti hanno la possibilità di testare la risposta che ciascuna delle organizzazioni di sinistra dà a queste rivoluzioni e di trarre le proprie conclusioni. Il duro dibattito attuale porta a nuove divisioni e riorganizzazioni in tutto il mondo.
Si tratta di un processo rivoluzionario d'insieme, che ha la sua origine nella sofferenza dei lavoratori sfruttati selvaggiamente. La crisi economica mondiale aumenta la disoccupazione e produce aumenti dei prezzi dei prodotti di prima necessità, generando esplosioni nei Paesi più fragili del capitale. L'altro fattore decisivo è il sollevamento di queste masse inferocite contro dittature brutali che dominano questi Paesi da decenni.
Non vi è dubbio che questa è una rivoluzione nel senso più pieno della parola. Un momento particolare della storia in cui le masse arrivano a prendere nelle proprie mani i destini dei loro Paesi. Persone che si dedicavano a cercare di sopravvivere, molte volte senza nessuna partecipazione precedente alla politica, si trasformano in grandi agitatori ed organizzatori, in leader popolari. Alcune volte diventano miliziani con le armi in mano, disposti a rischiare la propria vita per cambiare il mondo.

 

Esiste o no una rivoluzione araba?

La rivoluzione araba è scoppiata e ha spinto sulla difensiva, in un primo momento, i governi imperialisti. I dittatori loro alleati erano in scacco, e non c'era alcun piano alternativo. E' stato così con il dittatore Ben Ali in Tunisia e ancor più con Mubarak in Egitto, rovesciati nel gennaio e nel febbraio scorsi. Obama ha dovuto adeguarsi, scommettendo sui militari, che hanno assunto il governo in Egitto dopo la caduta di Mubarak.
E' stata la barbarie della repressione condotta dalle truppe di Gheddafi che ha causato la guerra civile in Libia. A Bengasi, decine di migliaia di persone hanno affrontato le truppe, anche senza armi. Sono morti a centinaia e altre migliaia sono andate a combattere. Fino a quando, le truppe si sono divise, gli ufficiali hanno disertato, la popolazione ha avuto accesso agli arsenali locali e si è armata. La guerra civile ha avuto inizio.
Quando la rivoluzione araba ha coinvolto i territori libico e siriano è toccato ai governi "di sinistra" del Venezuela, di Cuba e del Nicaragua restare sulla difensiva. La corrente castro-chavista – la più legittima espressione del riformismo stalinista odierno – è arrivata a cercare di separare la reazione delle masse in questi Paesi dal resto della rivoluzione araba.
L'eroica azione delle masse nella rivoluzione araba è riconosciuta come tale da questi stalinisti fino alle frontiere libica e siriana. Invece in questi Paesi si sarebbe trasformata, misteriosamente, in una cospirazione imperialista o monarchica per "conquistare il petrolio".
E' estremamente significativo che gli attivisti di tutto il mondo studino i testi di questi stalinisti. Nessuno di loro riesce a sfuggire da questi esercizi di acrobazia. Qui si rivive una caratteristica tipica dello stalinismo: l'utilizzo ampio e cosciente di menzogne e calunnie. Con un trucco di magia nascondono la rivoluzione e mostrano una cospirazione della Cia.
Alcuni di loro arrivano a negare l'esistenza del genocidio di Gheddafi, dicendo che è tutto "un'invenzione dei media." Lo stesso Gheddafi, tuttavia, per ottenere nuovamente il sostegno dei governi imperialisti, ha paragonato le azioni delle sue truppe all'azione di Israele contro i palestinesi: "Anche gli israeliani a Gaza hanno dovuto fare ricorso ai blindati per combattere tali estremisti. Per noi è lo stesso." (France 24, 7 marzo 2011).
L'immagine di un Gheddafi come combattente antimperialista è un'altra farsa cosciente dello stalinismo. Usano il passato nazionalista del dittatore libico per giustificare il presente. Negli anni Novanta, Gheddafi ha riconsegnato il petrolio alle multinazionali. Exxon Mobil (Usa), British Petroleum, Eni (Italia), Total (Francia) e Royal Dutch Shell controllano la produzione e l'esportazione del petrolio. Anche un difensore di Gheddafi come James Petras si è visto obbligato a dire: "Le maggiori compagnie petrolifere sono più presenti in Libia che nella maggioranza delle regioni produttrici di petrolio di tutto il mondo".
Purtroppo per i castro-chavisti, l'eroismo degli egiziani in Piazza Tahrir è lo stesso che nelle strade di Bengasi in Libia o di Deraa in Siria. I motivi che muovono i giovani disoccupati e senza prospettive in questi Paesi sono gli stessi.

 

Imperialismo ripassa all'offensiva

L'intervento militare dell'imperialismo ha portato ulteriore confusione nella discussione. L'invasione imperialista è una grave minaccia per la rivoluzione araba. Oltre che per il suo potere militare, travestito da "appoggio" contro Gheddafi, anche perché genera speranze, in particolare nelle città minacciate dalle forze del dittatore.
I governi di Stati Uniti, Francia e Inghilterra, che stanno conducendo l'invasione, vogliono stabilire un controllo diretto sulla regione. Gheddafi già non offre nessuna garanzia. Anche se vincesse la guerra, non riuscirebbe a stabilizzare di nuovo il Paese, perché ha una base sociale molto limitata. L'immensa maggioranza del popolo libico appoggia la ribellione militare e questo porterà, probabilmente, ad una guerriglia di massa.
Gli stalinisti sono passati a giustificare l'appoggio a Gheddafi come l'unica forma per combattere l'aggressione imperialista. In realtà, si è verificato il contrario: il dittatore libico ha reso possibile che l'imperialismo lasciasse la posizione difensiva in cui l'aveva costretto la rivoluzione araba per passare ad una controffensiva politica e militare. Da alleato delle dittature in scacco è passato ad essere il "difensore dei diritti umani" minacciati da Gheddafi.
Le contraddizioni nel campo della rivoluzione in Libia tra il movimento rivoluzionario e le proprie direzioni sono simili a quelle del resto del mondo arabo. In Egitto, molti dei dirigenti più riconosciuti, come El Baradei, sono figure chiaramente pro-imperialiste. La Giunta Militare attuale è composta da ufficiali formati e pagati dal governo degli Stati Uniti. Non per questo abbiamo visto Castro e Chávez ripudiare le mobilitazioni  di centinaia di migliaia di persone che hanno rovesciato Mubarak.
Non si può confondere una rivoluzione con i suoi dirigenti, giusto? Sì, ma per il castro-chavismo questo è vero solo per l'Egitto, ma non per la Libia. Lì, le posizioni pro-imperialiste, raggruppate nel Consiglio Nazionale Libico, sono sufficienti affinché questa corrente squalifichi la rivoluzione.
Per noi è fondamentale stare nel campo della rivoluzione contro Gheddafi e lottare contro la sua direzione pro-imperialista. Di fronte a questa invasione sarebbe necessaria una ampia unità d'azione contro l'imperialismo. Ciò che impedisce questa unità è lo stesso Gheddafi, che ha causato la rivolta contro il suo dominio e continua la guerra civile contro il popolo libico. Per questo diciamo che ci sono ancora due guerre.

 

Un settore della sinistra appoggia l'intervento imperialista

Come se non bastassero tutte le lezioni della storia, il passato recente degli interventi militari imperialisti "umanitari" dovrebbe servire a ricordare che siamo di fronte al braccio armato della controrivoluzione.
Anche l'invasione dell'Afghanistan è stata giustificata come una necessità "umanitaria", dovuta alle violenze dei talebani. Quella dell'Iraq come un modo per farla finita con le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein. Tanto l'una come l'altra sono state portate a termine per controllare politicamente e militarmente la regione e in entrambe sono stati utilizzati gli stessi metodi barbari con i quali sono state "giustificate". L'invasione del Kosovo, anch'essa "umanitaria", si è conclusa con l'imposizione della maggiore base militare Usa in Europa, Camp Bondsteel.
Purtroppo, non è questo quello che una parte della "sinistra" pensa.
Ignacio Ramonet, ex-direttore di Le Monde Diplomatique e uno degli animatori del Forum Sociale Mondiale, ha dichiarato: "In questo momento, l'Onu costituisce l'unica fonte del diritto internazionale. Per questo, e contraddittoriamente, le guerre in Kosovo e in Iraq, l'intervento attuale in Libia sono legali secondo il diritto internazionale; legittimi, secondo i principi della solidarietà umanitaria; e auspicabili per la fratellanza che unisce i popoli nella lotta per la libertà (LMD, aprile 2011, p.32).
Gilbert Achcar, un intellettuale di prestigio legato al Su (Segretariato Unificato, l'organizzazione a cui fa riferimento, in Italia, Sinistra Critica, ndt), ha scritto in difesa dell'azione dell'imperialismo in un recente articolo: "In queste condizioni e in assenza di qualsiasi altra soluzione plausibile, era moralmente e politicamente un errore, da parte della sinistra, opporsi alla zona di non volo (no-fly zone NdT)". ("Un dibattito legittimo e necessario in una prospettiva antimperialista".)
Dovrebbe essere ovvio, ma in questi tempi di ritirata ideologica, non lo è. Se la guerra è l'estensione della politica con altri mezzi, o l'imperialismo si è trasformato in un sistema umanitario, o l'appoggio a questa invasione è un'aberrazione. L'azione militare dell'imperialismo è un'estensione della sua politica di controllo economico e politico della regione. Questo settore della "sinistra" sta legittimando il tentativo dell'imperialismo di lasciare la posizione difensiva nei confronti della rivoluzione araba e ricostruire il suo dominio. Stanno semplicemente appoggiando l'altra faccia della controrivoluzione.
Qualsiasi idea di "unità d'azione" con le forze della Nato contro Gheddafi si va a collocare, violentemente, contro il proseguimento della rivoluzione. Una possibile vittoria  dell'imperialismo porterà alla creazione di una zona sotto il controllo dell'Onu nella regione, con una base militare dell'imperialismo, come in Kosovo. O alla divisione della Libia, con l'imposizione manu militari di un enclave militare imperialista nel mezzo.
Se da un lato la corrente castro-chavista appoggia Gheddafi e Assad, tutto questa altra parte della "sinistra" difende l'intervento imperialista. Interessante come questi due settori, che sono stati uniti nei Forum Sociali Mondiali, si dividono ora nell'appoggio ai due blocchi borghesi (Gheddafi e Assad da un lato e l'imperialismo dall'altro).
Nessuno di loro si orienta per mezzo di un criterio basilare, di classe. E' necessario stare dalla parte del processo della rivoluzione, con le masse arabe (incluso i popoli libico e siriano, ribellatisi contro le dittature in questi Paesi), lottando contro le loro direzioni borghesi e pro-imperialiste. E' necessario lottare contro l'intervento militare dell'imperialismo, che vuole anche sconfiggere la rivoluzione. Per questo parliamo di una rivoluzione e due guerre in Libia: una guerra civile contro Gheddafi e un'altra contro l'invasione dell'imperialismo.

 

Il popolo siriano si alza... e causa un'altra crisi

La Siria è un piccolo Paese, che ha la sua economia basata sull'agricoltura e sulla produzione di petrolio. Anche non essendo un grande esportatore di petrolio, questo è uno dei principali fattori dell'economia, che genera il 50% dei proventi delle esportazioni del Paese. La Siria è governata da 41 anni dalla dittatura della famiglia Assad. Vi si ripete la storia di un movimento nazionalista borghese che ha giocato un ruolo relativamente progressista all'inizio e poi ha svoltato a destra e si è arreso all'imperialismo.
Il partito Baath, nazionalista borghese, ha preso il potere nel 1963. Hafez Assad – padre dell'attuale presidente – passò a dirigere il Paese con pugno di ferro nel 1970. All'inizio nazionalizzò gran parte della imprese che facevano profitti, incluse quelle petrolifere.
Ma è sempre stata una dittatura sanguinaria. Nel 1982 represse duramente la mobilitazione di Amah, causando tra i 25 e i 30 mila morti. Un massacro.

Negli anni Novanta accompagnò la svolta a destra di Gheddafi e Sadat. Consegnò nuovamente il petrolio alle multinazionali. Oggi, le compagnie petrolifere come la Shell, Total (Francia), Cnpc, Gulfsands Petroleum (USA), Tatneft e Ongc Videsh controllano la principale produzione del Paese. La nordamericana Conoco Phillips sfrutta il gas.
Nel 2000 Hafez Assad morì. Per dimostrare la natura dittatoriale del suo governo, il prescelto per la successione fu niente di meno che suo figlio Bashar Assad. Nessuna sorpresa, se ricordiamo che Mubarak e Gheddafi preparavano i loro figli per succedere loro. Si tratta di dittature che impongono uno stile quasi monarchico di funzionamento.
Non è per casualità che esiste una sincronia delle lotte in Siria e nel resto del mondo arabo. L'imposizione del neoliberismo nel Paese da parte della dittatura di Assad ha ampliato la miseria delle masse, ora aggravata dalla crisi economica e dall'aumento dei prezzi alimentari. L'odio accumulato delle masse in quaranta anni di dittatura è lo stesso che esisteva contro Mubarak.
Le mobilitazioni sono iniziate a febbraio in appoggio alle lotte in Egitto. A marzo, nella città di Deraa, una manifestazione pacifica è stata duramente repressa dalla dittatura causando due morti. La reazione delle masse è stata forte: nuove manifestazioni hanno preso la città e incendiato il Palazzo di Giustizia. La dittatura ha reagito con più violenza, massacrando manifestazioni pacifiche. Ci sono già più di 300 morti nel Paese.
In questo momento la sollevazione in Siria si sta ampliando. Recentemente ha occupato il centro della terza più grande città affrontando la repressione. Potrebbe essere che si estenda anche sul terreno militare, ripetendo l'esperienza della Libia e di una nuova guerra civile.
Qui le maschere cadono nuovamente. Qual è la posizione di Chávez sulla Siria? Qui non c'è alcun intervento militare della Nato. C'è la lotta di un popolo che si è ribellato contro una dittatura che ha consegnato il Paese all'imperialismo, esattamente come all'inizio del processo libico.
Chávez ha dichiarato: "Già è cominciato l'attacco contro la Siria, già hanno iniziato i movimenti di presunta protesta pacifica (...) e già stanno accusando il presidente di uccidere il suo popolo".
Non soddisfatto, ha anche qualificato il genocida Assad quale "leader arabo socialista, umanista, fratello, con una grande sensibilità umana."
Ossia, per Chávez, il genocida Assad è un "umanista". Resterà inciso nella storia che la corrente castro-chavista ha aiutato a legittimare il massacro di popolazioni ribellatesi contro delle dittature. Nel mondo arabo queste posizioni si scontrano con l'enorme simpatia suscitata dalla rivoluzione. Non è un caso che non ci sono manifestazioni di appoggio a Gheddafi o a Assad nei Paesi arabi. Nel resto del mondo, nonostante la confusione causata dall'intervento imperialista, le posizioni di Chávez e Castro non riescono a imporsi neanche nell'avanguardia.
Non è un caso che vari intellettuali castro-chavisti, come Santiago Alba Rico, stanno affrontando pubblicamente questa polemica. Può essere che sia un chiaro segnale della decadenza di queste correnti.

 

(*) Direzione nazionale del Pstu, sezione in Brasile della Lega Internazionale dei Lavoratori – Quarta Internazionale (Lit-Quarta Internazionale).

 

(traduzione dallo spagnolo di Giovanni "Ivan" Alberotanza)

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