Partito di Alternativa Comunista

Lula e il Brasile

Lula: il mito in Italia, la realtà in Brasile    

 

di Valerio Torre    

C'è stato un periodo felice in Italia per i cantori del "lulismo", cioè per i sostenitori del mito di Ignazio Lula da Silva, l'ex tornitore di Caetes, nel poverissimo Stato del Pernambuco, divenuto Presidente della Repubblica Federale Brasiliana e simbolo del riscatto dei poveri: in particolare, era la sinistra socialdemocratica (in primis, il bertinottismo ed il movimento no-global) a cantare le lodi del presidente appena eletto (si era sul finire del 2002) favoleggiando di un'ipotetica "rivoluzione gentile" che avrebbe "cambiato il mondo senza prendere il potere", mentre settori progressisti liberali spiegavano a chiare lettere (e molto più prosaicamente) che Lula era molto affidabile così come certificato dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale, che infatti erano stati gli sponsor neanche tanto occulti dell'elezione a presidente del leader del Pt.

Evidentemente, quei settori così "concreti", avevano fatto tesoro delle illuminanti dichiarazioni rese dal finanziere George Soros in una celebre intervista rilasciata nel periodo fra il primo turno ed il ballottaggio: "non si illudano i brasiliani di eleggersi il loro presidente: quello glielo eleggiamo noi, a Wall Street". Nondimeno, il suolo italico ha continuato per un bel pezzo a essere terra di supporter
L'impatto sociale di tale politica economica non poteva che avere un solo esito. Lasciamocelo dire dal presidente stesso riprendendo un'intervista rilasciata al periodico Época: "Mai i ricchi hanno fatto tanti soldi come con il rivoluzionario Lula"!
Parallelamente, questa linea, assolutamente in continuità con quella del precedente governo Cardoso (salvo che per quelle misure distributive di assistenza alle famiglie poverissime), ha incontrato la crescente ostilità di vasti settori popolari e di movimenti sociali e religiosi: i Sem Terra hanno progressivamente allentato, manifestando peraltro una forma di disincanto, il legame che li teneva uniti al Pt, mentre i teologi della liberazione Frei Betto e Leonardo Boff hanno sempre più, e platealmente, preso le distanze da Lula.
E così, di provvedimento in provvedimento, i sondaggi vedevano la fiducia popolare nel governo ridursi progressivamente, finché nel mese di maggio del 2005 scoppiò lo scandalo delle tangenti. La "tangentopoli" che per mesi ha tenuto incollati i brasiliani davanti alle televisioni (poiché le udienze delle commissioni parlamentari d'inchiesta sono pubbliche e vengono trasmesse per ore dalle tv via cavo) aveva gli ingredienti giusti per appassionare il pubblico delle telenovele: politici, mogli, segretarie, faccendieri, pubblicitari proiettati in un vorticoso giro di bustarelle con tanto di intrallazzatori arrestati all'aeroporto con le mutande piene zeppe di dollari. E, su tutti, lui, Lula: che, probabilmente per evitare la procedura di impeachment, recitava la parte dell'ignaro "giullare di corte", inconsapevole di quanto gli si svolgeva intorno, e con le lacrime agli occhi chiedeva scusa al Paese in diretta televisiva.
Insomma, una vera e propria tortura quotidiana per il presidente brasiliano, il suo governo ed il suo partito, che tante speranze aveva suscitato non solo in America Latina.
Speranze dissolte sotto i colpi dell'ondata di scandali: È emerso, infatti, che il Pt ha utilizzato fondi neri per comprare in parlamento i voti necessari a far passare i provvedimenti di volta in volta presentati; e le ultime accuse in ordine di tempo riguardano addirittura la nascita stessa dell'alleanza elettorale con il Partido Liberal, cui i vertici del partito di Lula avrebbero già nel 2002 versato in nero l'equivalente di 3,5 milioni di euro circa.
Queste vicende hanno determinato il crollo verticale dei consensi per Lula, i cui effetti si sono visti fino al primo turno delle elezioni, quando il presidente uscente s'è dovuto fermare al 48,91% dei voti, mancando l'elezione al primo turno.
Al ballottaggio, invece, la confluenza di gran parte dei voti che al primo turno si erano indirizzati sui candidati alternativi (Heloisa Helena in primo luogo: v. l'articolo del Pstu disponibile sul nostro sito web) e la solita "paura di far vincere le destre" hanno determinato una polarizzazione del voto con un ampio margine per Lula, che ora succede a se stesso. Tuttavia, il disincanto nei settori popolari che l'hanno sempre sostenuto è palpabile: l'appoggio di personaggi che sono stati negli ultimi tempi estremamente critici - pur senza giungere ad una rottura palese - è limitato appunto al rischio di una vittoria dell'altro candidato
Naturalmente, è facile prevedere che le politiche del secondo governo Lula saranno in assoluta continuità con quelle del precedente. Non è certo pensabile che Washington non investa, come ha già fatto, su Lula in funzione di "riequilibrio" delle presenze nell'area di Chavez ed Evo Morales. D'altro canto, le prime dichiarazioni rese dal neo eletto vanno in questa direzione: pur avendo precisato che i poveri saranno al centro dell'azione di governo, Lula ha aggiunto che cercherà in parlamento ogni utile convergenza anche con le forze che hanno sostenuto lo sconfitto Alckmin.
E se il buongiorno si vede dal mattino, possiamo attenderci la giubilazione del mito di Lula. sfegatati di Lula, che, nell'immaginario collettivo della sinistra "movimentista", rappresentava il liberatore democratico degli oppressi; mentre, molto meno ingenuamente, costituiva per la sinistra sedicente "radicale" (il Prc) la metafora - anzi, l'esempio concreto - della possibilità di giungere alla ricomposizione negoziale col centrosinistra nostrano nell'ottica di un governo d'alternanza, un governo dei banchieri e degli industriali nel più ampio quadro del capitalismo europeo. Ecco perché, per lungo tempo, Fausto Bertinotti è stato tra gli alfieri più celebri del "mito" di Lula, che spesso veniva citato come "modello": e si sa che se qualcuno ha un "modello" in testa, cerca di imitarlo ... La luna di miele col presidente brasiliano -finché non è arrivato sulla scena il nuovo idolo, il presidente venezuelano Hugo Chavez- è durata per parecchio tempo in Italia. Molto più di quanto, invece, non sia accaduto in Brasile, dove, non appena insediatosi, Lula ha dovuto pagare il debito contratto con i poteri forti della finanza internazionale per l'appoggio incassato in occasione della sua elezione: non solo in termini di composizione della compagine di governo (con industriali e banchieri che divennero da subito detentori delle leve del potere governativo), quanto in termini di misure adottate (una riforma della previdenza pubblica dall'impatto pesantissimo, che ha trovato avversari persino nello stesso partito di Lula, il Pt; per converso, una riforma tributaria assolutamente innocua per i ceti dominanti; e, su tutto, la mancata riforma agraria, che aveva costituito il nucleo centrale del programma del primo governo Lula e che ha rappresentato il massimo punto di crisi con il Movimento dei Sem Terra, storica organizzazione di sostegno a Lula). Ciò ha contribuito a trasformare la sua immagine all'estero, tanto che James Wolfenson, presidente della Banca Mondiale, si disse da subito "impressionato" dalla linea politica del neo-eletto governo brasiliano, promuovendolo a pieni voti.

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