Partito di Alternativa Comunista

Palestina: A cosa corrispondono gli scontri fra Hamas ed Al Fatah?

Palestina

A cosa corrispondono gli scontri fra Hamas ed Al Fatah?    

dal Correo Internacional della Lit (*)  

La situazione nei territori palestinesi si è acuita con lo scontro fra le due organizzazioni di maggior peso. Hamas ha preso il controllo della Striscia di Gaza ed ha espulso le forze di Al Fatah, mentre il Presidente dell'Amministrazione Nazionale Palestinese (Anp), Mahmud Abbas, massimo dirigente di Al Fatah, ha fatto un colpo di Stato di fatto, espellendo Hamas dal governo.

Organizzazioni della sinistra palestinese hanno definito questi scontri come “una tragedia”, facendo appello alla cessazione delle ostilità ed all’unità di entrambe le organizzazioni nella lotta contro Israele. La stessa posizione è stata sostenuta da diverse correnti di sinistra in altri Paesi.
È indubitabile che questi scontri debilitino la lotta di liberazione del popolo palestinese. Da questo punto di vista, si tratta, effettivamente, di “una tragedia” perché significano un trionfo di Israele e dell’imperialismo.
Tuttavia, ciò non può impedire una più profonda analisi da parte nostra su cosa rappresenti oggi ciascuna delle forze in conflitto e così constatiamo che una delle due organizzazioni (Al Fatah) non difende più gli interessi del popolo palestinese poiché la sua direzione si è trasformata in un agente diretto di Israele e dell’imperialismo. Questa caratterizzazione è centrale per definire la posizione che debbono assumere i rivoluzionari di fronte al conflitto.
 
La liberazione della Palestina: una lotta storica
Dobbiamo inquadrare gli attuali scontri, per quanto brevemente, in una prospettiva storica. La risoluzione dell’Onu che creò lo Stato di Israele, nel 1948, legalizzò l’usurpazione realizzata dal sionismo di oltre la metà del territorio palestinese storico (55%). Dopo la sua creazione, Israele, per il tramite delle organizzazioni armate sioniste invase parte del territorio concesso ai palestinesi e si appropriò di un ulteriore 20%, espellendo più di 800 mila palestinesi (un terzo della popolazione), dando luogo al dramma dei rifugiati. Così venne creata un’enclave imperialista che avrebbe agito come gendarme contro la nascente ondata rivoluzionaria antimperialista araba, al centro di una regione strategica per le sue riserve petrolifere. Perciò, dalla creazione di Israele, il popolo palestinese, e in generale le masse arabe, hanno la necessità di lottare per la liberazione della propria terra espellendo l’occupante sionista.
 
Gli accordi di Oslo (1993)
La fondazione di Al Fatah, da parte di Yasser Arafat, nel decennio del 1960 rispondeva a questa necessità, espressa dalla sua parola d’ordine "Per una Palestina laica, democratica e non razzista" e dalla sua politica di lotta per la distruzione di Israele. Ciò gli permise di trasformarsi nella direzione delle masse palestinesi.
Ma nel decennio del 1980, Arafat ed Al Fatah abbandonarono il loro programma, passarono ad accettare la creazione di “due Stati” (israeliano e palestinese) e iniziarono a incentrare la loro politica sulla negoziazione con l’imperialismo. Ciò si concretizzò nella loro capitolazione negli “Accordi di Oslo” (1993). In cambio dell’ipotetica esistenza futura di questo piccolo Stato palestinese, accettarono la creazione dell’Amministrazione nazionale Palestinese (Anp), una sovrastruttura coloniale con un’autonomia molto limitata, simile ai bantustan del Sudafrica all’epoca dell’apartheid.
 
L’Anp
A partire dalla creazione dell’Anp nei territori di Gaza e Cisgiordania, Arafat e la direzione di Al Fatah assumono il potere di questa ridotta amministrazione e svolgono un nuovo ruolo: “gerenti autoctoni” di una struttura coloniale. Il sionismo utilizza questa capitolazione per estendere le sue colonie in Cisgiordania e Gaza, controllare l’acqua e costruire passaggi “solo per ebrei” in questi territori. La vita degli abitanti palestinesi diventò un vero inferno.
Al tempo stesso, in un panorama di corruzione totale, i quadri di Al Fatah usavano a proprio vantaggio le finanze dell’Anp. Frattanto, le masse palestinesi soffrivano ogni tipo di privazione. La perdita di prestigio di Al Fatah nella popolazione palestinese andò aggravandosi.
 
Abbas, l’uomo dell’imperialismo in Palestina
Dopo la morte di Arafat (oggi denunciata come un assassinio), l’elezione di Mahmud Abbas come suo successore ha accentuato questa dinamica. Israele ha cominciato a costruire il “muro della vergogna”, separando i territori e approfittandone per sottrarre ancor più territorio palestinese. L’imperialismo chiaramente scommette sull’appoggio ad Abbas come suo agente in Palestina. La direzione di Al Fatah ha portato a tal punto la sua collaborazione con Israele e l’imperialismo che A. Korei (primo ministro per un periodo) è proprietario di un’impresa che vendeva grandi quantità di cemento alo stato sionista per la costruzione del “muro della vergogna”.
 
Il trionfo elettorale di Hamas mette in crisi i piani di Oslo
L’imperialismo e Israele cercavano di “legalizzare” la situazione coloniale dell’Anp attraverso elezioni palestinesi. È in questo quadro che si verifica la vittoria di Hamas alle elezioni parlamentari dell’Anp, nel 2006.
Come dicemmo nel Correo Internacional 118, questo risultato è stata una vittoria delle masse palestinesi contro i piani di Oslo. Benché Hamas sia una direzione borghese e fondamentalista religiosa, il fatto di mantenere nel suo programma l’appello alla distruzione di Israele, ha fatto sì che le masse palestinesi l’abbiano votata per respingere il tradimento di Al Fatah.
L’imperialismo ed Israele hanno disconosciuto apertamente il risultato elettorale e hanno cominciato a fare pressioni per ottenere che il nuovo governo dell’Anp, diretto da Hamas, riconoscesse Israele e accettasse la continuità degli accordi di Oslo. Per questo, hanno ridotto gli approvvigionamenti nella striscia di Gaza, hanno bloccato gli aiuti finanziari degli Usa e dell’Unione Europea (imprescindibili per il funzionamento dell’Anp) fino a sottrarre le entrate fiscali che sono riscosse da Israele per conto dei territori palestinesi. L’obiettivo era “portare alla fame” il popolo palestinese e il governo che era stato eletto.
 
La provocazione di Abbas
Abbas, che mantiene l’incarico di presidente dell’Anp, ha lavorato “dall’interno” per obbligare Hamas ad accettare la resa, seguendo lo stesso percorso fatto prima da Al Fatah. Abbas non è semplicemente una direzione borghese che capitola: si è trasformato in un agente diretto di Israele e degli Usa nei territori palestinesi, un collaborazionista simile a ciò che fu il “governo di Vichy” nella Francia occupata da Hitler, o come quello di Karzai, nell’odierno Afghanistan.
Il settore della sicurezza del suo governo riceve ora la consulenza della Cia! Il suo uomo chiave in questo settore, Mohamed Dahlan, ha costruito un “esercito particolare” della presidenza, con armi fornite direttamente dagli Usa e Israele ha permesso che gli venissero fornite queste armi. Dahlan ha anche creato a Gaza un dispositivo per realizzare azioni criminali, reprimere la popolazione e fare costanti provocazioni contro il governo diretto da Hamas. Ciò ha generato una rivolta che ha portato agli scontri delle scorse settimane.
 
Un golpe bonapartista
Da che hanno vinto le elezioni, i dirigenti di Hamas hanno proposto di formare un “governo di unità nazionale” con Al Fatah. Anche dopo che è stato evidente che Abbas stava preparando un golpe contro il governo, d’accordo con Israele, Hamas ha continuato con quest’appello e facendo negoziati per il tramite di Egitto ed Arabia Saudita.
Fintantoché si è formato un governo con vari ministri indicati da Abbas. Però neanche questa coalizione è stata accettata dagli Usa, dall’Unione Europea (allineata chiaramente con la posizione di Bush) e da Israele. I quali avrebbero boicottato ogni governo con la presenza di Hamas se quest’organizzazione non avesse riconosciuto esplicitamente l’esistenza di Israele. Attraverso il console generale degli Usa a Gerusalemme, Jacob Walles, e di un emissario speciale dei servizi segreti, Keith Dayton, si è preparata la scelta di armare gli uomini di Abbas per liquidare Hamas.
 
Le masse hanno spinto Hamas ad andare più lontano di quanto volesse
È stata la preparazione di questo autentico golpe bonapartista, predisposto da Abbas e appoggiato dall’imperialismo e da Israele, ciò che ha prodotto la reazione delle masse di Gaza ed ha spinto Hamas ad espellere da questo territorio gli agenti diretti dell’imperialismo, l’apparato militare armato da Dahlan e la polizia di Al Fatah, i quali, nonostante il loro moderno armamento, non hanno combattuto efficacemente.
Crediamo che ciò sia stato un trionfo delle masse palestinesi perché, malgrado la difficile situazione in cui si trova oggi la striscia di Gaza, hanno liberato questo territorio dal controllo di Israele e dei suoi agenti.
Dopo l’espulsione dei suoi uomini, Abbas ha portato a termine il suo golpe bonapartista e, disconoscendo il risultato elettorale del 2006, ha nominato un “governo di emergenza”, capeggiato da Salam Fayyad, ex funzionario del Fmi e della Banca mondiale, che ha la doppia nazionalità palestinese e statunitense. È una beffa crudele per l’eroica lotta del popolo palestinese contro l’imperialismo Usa ed Israele.
Questo nuovo fantoccio ha un compito: appoggiarsi sull’apparato di Abbas ed Al Fatah, installato in Cisgiordania, per schiacciare la resistenza, riprendere Gaza e imporre il piano sionista e imperialista di liquidare ogni possibilità di liberazione reale della Palestina. Per questo, oltre all’apparato repressivo, cercherà di utilizzare due elementi. Da un lato, la difficilissima situazione sociale ed umanitaria di Gaza, tentando di sconfiggerla per fame. Dall’altro, i milioni di dollari che l’imperialismo e Israele, adesso sì, hanno cominciato a consegnare nelle mani del nuovo governo.
 
Da che parte debbono stare i rivoluzionari?
La sinistra mondiale ha l’obbligo di tenere una posizione chiara di fronte a questi avvenimenti. Per noi, in questo conflitto, da un lato stanno l’imperialismo, Israele ed i suoi agenti collaborazionisti; dall’altro, le masse palestinesi in lotta per la propria liberazione.
Per questo, non abbiamo dubbi: stiamo categoricamente nel campo della resistenza, indipendentemente da quale sia la sua direzione. In altre parole, ci posizioniamo incondizionatamente nel “campo militare” di Hamas. Che significa questo? Che, senza dare nessun appoggio politico ad Hamas né facendo appello a dare fiducia alla sua direzione, siamo per il suo trionfo nella battaglia contro i collaborazionisti perché questo “campo militare” è oggi quello delle masse palestinesi e della loro lotta contro decenni di oppressione. È la medesima posizione che prendemmo insieme alla Resistenza contro i nazisti ed i collaborazionisti, nella Seconda Guerra Mondiale, o insieme ai Vietcong nella guerra del Vietnam.
Al tempo stesso, riteniamo imprescindibile che tutte le organizzazioni della resistenza palestinese nei territori di Gaza e Cisgiordania, come quelle dei campi profughi dei Paesi limitrofi e della diaspora mondiale, si uniscano per disconoscere il governo fantoccio di Fayyad e uniscano le loro forze per lottare insieme contro i nemici esterni ed interni della causa palestinese.
 
 
(traduzione di Valerio Torre dall'originale in spagnolo).
 
(*) anticipiamo qui l'articolo centrale del nuovo numero del Correo Internacional, periodico politico della Lit. La versione integrale del Correo sarà pubblicata sul numero estivo di Progetto Comunista, in uscita a fine luglio.

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