Partito di Alternativa Comunista

Un voto contro l'austerit

Elezioni europee

Un voto contro l'austerità, contro l'UE e l'euro,

capitalizzato dalla destra

 

 

di Ricardo Ayala

Oltre al grande astensionismo, che in alcuni paesi ha raggiunto oltre l'80%, il risultato delle elezioni europee è considerato da alcuni mezzi di stampa imperialisti come un vero e proprio terremoto politico.[1] La vittoria dell'estrema destra del Front National di Marie Lepen in Francia (25% dei voti) e del populista di destra UKIP di Nigel Farage in Inghilterra (29%), e in un altro senso, la vittoria elettorale di Syriza in Grecia esprimono il quadro di crescente polarizzazione sociale nel continente. E lo approfondiscono.
A questi due elementi va aggiunto un terzo, la debacle dei partiti socialdemocratici nazionali, la cui tendenza generale è stata di approfondimento della loro crisi e salvo eccezioni, la sconfitta della maggior parte dei partiti al governo.

Tutti prendono atto di un fatto indiscutibile: il risultato più generale di questa elezione indica,  nonostante le disuguaglianze nazionali e le contraddizioni, un voto contro l'austerità, contro l'Unione Europea e l'euro capitalizzato dalla destra, ad eccezione della Grecia e dello Stato Spagnolo, come vedremo più avanti.

                                                                                                                

Un voto contro i governi

Con l'eccezione di Germania e Italia in cui i partiti al governo sono stati i più votati in queste elezioni, (classifichiamo la Spagna come un caso a parte poiché, anche se il Partito Popolare è stato il partito più votato è sceso dal 42,23% del 2009 al 24% nel 2014, perdendo due milioni e mezzo di voti) i partiti al governo che applicano i piani di aggiustamento strutturale, sia di destra tradizionale che socialdemocratici hanno subito una profonda sconfitta. È stato chiaramente un voto contro i tagli e la disoccupazione che colpiscono circa 26 milioni di lavoratrici e lavoratori, considerando che per quanto riguarda le giovani generazioni la disoccupazione in Grecia raggiunge il 60% e il 55% nello Stato spagnolo.
Il voto alla CDU della Merkel rispetto al 2009 aumenta dal 30% al 35,30% e la SPD dal 20% al 27% (in Germania vi è un governo di coalizione) e, allo stesso modo, l'Italia (nel 2009 il PD aveva il 26,13% e ora il 40%). Tuttavia, prendendo il voto europeo nel suo complesso, il gruppo parlamentare dei cristiano-democratici (PPE, Partito Popolare Europeo) scende dal 35,72% al 28,5%. La stessa punizione hanno subito i partiti di governo in Portogallo, il PSD/CDS scende dal 31,71% del 2009 al 27,7%, al momento capitalizzato dal PS che recupera salendo dal 26,53% del 2009 al 31,5%.

L'alta percentuale di astensionismo in queste elezioni non  coincide con la grande propaganda dei mass-media secondo i quali si è mantenuto il tasso del 2009. In paesi come la Slovacchia l'astensione è stata dell'87%; nella Repubblica Ceca dell'80,5%; in Polonia si è avvicinato all'80%. Ossia, in tutto l'est, sottoposto al saccheggio e allo sfruttamento da parte dei Paesi imperialisti europei e in particolare della Germania, l'indice di astensione è stato molto superiore rispetto alle cifre globali propagandate dalla stampa.

Ad ovest, il Portogallo con il 66% di astensione e l'Inghilterra con il 64% esprimono lo stesso fenomeno, che in ogni paese differisce profondamente. Nelle regioni con maggiore presenza industriale e nei quartieri operai delle grandi città, l'astensione è superiore, indicando che ampi settori del proletariato hanno direttamente rifiutato di votare.

Da qui entriamo nella zona del rumoreggiato “terremoto politico”. Il PASOK greco è sceso dal 36,65% nel 2009 all'8%, fermandosi al quarto posto. Con queste elezioni, che possono essere definite storiche per quanto riguarda la debacle elettorale, si approfondisce la crisi dei partiti socialdemocratici in Europa, i quali dopo essere stati la colonna portante dei regimi della democrazia borghese europea fino quasi al punto di identificarsi con lo “stato sociale”, sono ora gli stessi che lo stanno distruggendo fungendo da ariete del capitale finanziario.

Così la retorica populista, razzista e anti UE di Nigel Farage dell'UKIP in Inghilterra ha raggiunto il primo posto, lasciando laburisti e conservatori, al secondo e terzo posto, il che non accadeva dal 1910. Considerando anche che i laburisti in Inghilterra sono all'opposizione. Lo stesso accade con il PSOE in Spagna il quale, ugualmente all'opposizione, scende dal 38% del 2009 al 23%, perdendo tre milioni di voti, un risultato elettorale che porta alle dimissioni del segretario generale e alla convocazione di un congresso straordinario. Questa stessa crisi è ancora più profonda in Francia, dove il PS ha avuto il peggior risultato elettorale della sua storia, finendo al terzo posto con il 14% dei voti.

I partiti che hanno origine nella vecchia socialdemocrazia che si sono convertiti in social-liberali hanno presentato l'UE come un modello di integrazione che avrebbe posto fine alle disuguaglianze nel continente. Ma sono stati i loro governi che hanno imposto i “criteri di Maastricht” e hanno approvato la “strategia di Lisbona”, dando il via, negli anni '90 agli aggiustamenti strutturali e alla distruzione delle conquiste storiche della classe lavoratrice. L'alternanza al governo con la Democrazia Cristiana, che ha segnato la maggior parte dei governi europei dopo la Seconda Guerra Mondiale, volge al termine, questo è il fatto più rilevante di queste elezioni.

Ma questo processo non è privo di contraddizioni, non solamente libera forze a sinistra. La crescita dell'estrema destra e delle organizzazioni fasciste come Alba Dorata è già parte della realtà politica dell'Europa.

 

L'estrema destra capitalizza il malcontento sociale

La stampa presenta la vittoria elettorale di Nigel Farage (UKIP) in Inghilterra e Marine Le Pen (Front National) in Francia come il terremoto di estrema destra. Il significato politico profondo del risultato elettorale non è concentrato solo nel peso guadagnato da questi partiti nel parlamento europeo[2] ma nel fatto che non si può concepire l'UE senza l'accordo tra l'imperialismo tedesco e quello francese. E per quanto distorto che possa essere il risultato elettorale è stato un profondo rifiuto della UE capitalizzato in Francia dal Front National.
Il partito del Front National è meglio conosciuto per le sue posizioni razziste, xenofobe, per l'accusare gli immigrati della disoccupazione e della riduzione delle pensioni dei francesi, secondo Le Pen causata dagli aiuti sociali ai lavoratori immigrati. Ma questo discorso è solo una parte della sua agitazione. In queste elezioni il FN è sceso in piazza per difendere qualcosa di più che il suo solito razzismo, nel programma era scritto chiaramente: “uscita dall'euro e dall'UE. Dobbiamo recuperare la nostra moneta nazionale e le prerogative della Banca di Francia per dare dinamismo alle nostre esportazioni, alla nostra industria e all'occupazione”.

Sull'accordo di libero scambio tra l'UE e gli Stati Uniti, ha sostenuto: “No al trattato di libero scambio con gli USA”. Affermando che sarebbe una “macchina da guerra ultraliberale, antidemocratica, antieconomica e antisociale”. E se adottato significherebbe che “tutte le norme ambientali, agricole e alimentari saranno modificate a vantaggio delle grandi multinazionali”.

Il fatto è che un quarto degli elettori francesi ha votato queste posizioni. In altre parole, hanno votato chiaramente per uscire dall'euro. Secondo un giornalista “il programma del FN è una difesa nostalgica dei vecchi Stati-nazione”.

In realtà la nostalgia è per il ruolo che occupava l'imperialismo francese a capo dell'Europa. Essendo l'UE uno strumento dell'imperialismo francese, non detta la politica al governo francese, è il capitale finanziario francese insieme a quello tedesco, che detta l'agenda dell'aggiustamento strutturale europeo, l'UE è solamente lo strumento della sua applicazione alla maggioranza dei Paesi dominati.

La decadenza della Francia, non è solamente il risultato della crisi iniziata nel 2007. Quest'ultima aggrava solo il calo delle esportazioni, la chiusura delle fabbriche, la delocalizzazione delle imprese e l'aumento della disoccupazione. Per il capitale finanziario francese non c'è altra via d'uscita, deve avanzare nelle riforme, ossia, nell'attacco ai lavoratori e alle loro conquiste storiche.

L'imperialismo nazionale della Le Pen, nega l'UE riaffermando l'imperialismo francese, ora in seconda fila nell'UE, per questo è profondamente reazionario. Esprime la crisi dei piccoli e medi imprenditori –rovinati dalla crisi e dalla libera circolazione dei capitali– che trovano nel Front National e nella sua retorica anti-UE una spiegazione della loro rovina, così come i lavoratori disoccupati e i piccoli produttori agricoli.

L'imbroglio elettorale rappresentato dall'elezione di Hollande, che ha fatto il contrario di ciò che ha promesso, iniziando con un programma di tagli della spesa pubblica per 50 miliardi di euro subito dopo le elezioni comunali ha spianato la strada al Front National. Purtroppo in Francia non c'era nessun settore della sinistra che, da una prospettiva anticapitalista e antimperialista, ponesse la necessità di distruggere l'UE, questo strumento al servizio del capitale finanziario europeo e in particolare francese.

Anche se non è l'opzione proritaria del capitale finanziario francese, i processi politici segnano il loro proprio ritmo. L'aumento della polarizzazione sociale e la retorica populista fanno breccia sul piano elettorale tra settori del proletariato. La vittoria della Le Pen non mette in discussione la politica di attacco ai lavoratori. Ma il risultato delle elezioni come si può vedere nel dibattito sulla nomina del presidente della Commissione Europea, cambierà l'agenda della socialdemocrazia francese, sia per quanto riguarda l'approfondimento dell'attacco ai lavoratori immigrati, che nel senso di fare pressione sulla Germania affinché allenti la morsa del rigore.

Anche se in maniera incomparabilmente diversa rispetto alla Francia e all'Inghilterra, neanche la Germania è stata lasciata fuori dal fenomeno politico che si è scagliato contro l'UE e l'euro. Alternative für Deutschland (AfD), partito che nasce come una scissione della CDU alcuni mesi prima delle elezioni politiche tedesche del 2013 che sostiene apertamente la rottura con l'UE arriva al 7% dei voti. E in Italia, nonostante la vittoria del PD, c'è da segnalare il voto a Grillo, col suo movimento populista e reazionario contro l'UE e quello alla Lega Nord un partito che –a causa della crisi nella sua leadership storica (Bossi)– era sul punto di scomparire dopo le elezioni parlamentari dello scorso anno e ora recupera e arriva al 6,16% avendo tra i suoi punti di programma la difesa dell'imperialismo italiano e l'uscita dall'euro (insieme a una politica contro gli immigrati).

Ciò che è più preoccupante per i lavoratori greci ed europei è il risultato di due formazioni che si dichiarano chiaramente fasciste come Alba Dorata –che in Grecia ha ottenuto il 10% dei voti– e il nazista Partito Nazionaldemocratico Tedesco –con l'1% dei voti ed un europarlamentare eletto–. A differenza dell'estrema destra parlamentare, questi partiti chiaramente fascisti, sebbene non ci siano riusciti, hanno anche tentato di utilizzare metodi di guerra civile contro il proletariato. I loro risultati riflettono un grado di polarizzazione sociale più elevato.[3]

 

La sinistra riformista

A differenza di Francia e Inghilterra, tanto in Grecia quanto nello Stato Spagnolo le elezioni hanno evidenziato una svolta elettorale a sinistra, grazie alla quale il neoriformismo riesce ad avvantaggiarsi della evidente crisi dei partiti social-liberali. In Grecia la vittoria elettorale di Syriza con il 26,60% (e il 6% del KKE; e lo 0,75% di Antarsya) la rafforza come un alternativa elettorale alle prossime elezioni generali. Nonostante il suo programma di ristrutturazione del debito e in cui non affronta la necessità di porre fine alla semicolonizzazione della Grecia, la maggior parte dei lavoratori considerano questo partito uno strumento per cambiare la loro vita.
E nello Stato Spagnolo il fenomeno elettorale di Podemos (7,97%), che dovrebbe essere l'espressione politica del 15M  e del movimento indignados è la novità più importante dell'elezioni. Centrato sulla figura di Pablo Iglesias, (commentatore politico in programmi televisivi e professore universitario) elegge cinque eurodeputati. Anche se il il suo programma si situa su molti punti a destra di Izquierda Unida, Podemos appare non solo come espressione della crisi sociale ma esprime anche la rabbia contro i partiti del regime borghese, il “non ci rappresentano” gridato nelle manifestazioni, l'usura del consenso verso la democrazia borghese e il bipartitismo, che difficilmente Izquierda Unida, la quale governa con il PSOE in Andalusia poteva esprimere.

Se al risultato di Podemos aggiungiamo i voti di UI (9,99%) e il voto storico a Esquerra Repubblicana il partito più votato in Catalogna, e di Bildu nel Paesi Baschi, queste organizzazioni hanno espresso, il rifiuto alle misure di Rajoy e della UE[4] e approfondiscono la crisi del regime.

I partiti più importanti della SE (Sinistra Europea che riunisce i partiti riformisti e neoreformisti), a parte quelli che abbiamo menzionato sopra, nonostante abbiano conseguito risultati importanti, non arrivano a capitalizzare la rabbia e la polarizzazione sociale. DieLink in Germania ha preso il 7,40% dei voti; Il Front de Gauche di Mélenchon in Francia (6,34%); in Italia la lista formata da SEL (Sinistra e Libertà) e Rifondazione (L'Altra Europa - con Tsipras) ha raggiunto il 4,3%, un risultato percentuale ben al di sotto delle elezioni del 2009 (6%) ed inferiore in termini assoluti. In Portogallo il Bloco de Esquerda è sceso dal 10,72% del 2009 al 4,56% (perdendo 250mila voti). Al contrario il PCP aumenta dal 10,64% raggiunto nel 2009 al 12,67%, una crescita inferiore alla perdita di voti del Bloco de Esquerda.

I partiti a sinistra del Front de Gauche in Francia, NPA (0,3%) e Lutte Ouvrière (1%), non hanno ottenuto risultati simili a quelli delle elezioni precedenti.

Siamo profondamente orgogliosi della campagna elettorale delle sezioni della LIT che hanno partecipato alle elezioni europee poiché pur con i nostri modesti risultati elettorali, abbiamo riaffermato la battaglia politica per un programma e la necessità di costruire una alternativa della classe lavoratrice. Sia il MAS in Portogallo che Corriente Roja nello Stato Spagnolo hanno aperto le loro liste agli attivisti delle lotte. In Portogallo con l'inclusione di compagni della lotta dei trasporti della città di Porto e attivisti dei callcenter e la denuncia del fatto che l'euro sta affondando il Paese; la rivendicazione delle grandi manifestazioni contro la troika nei video televisivi e la difesa della lotta dei lavoratori come unica alternativa in questa campagna elettorale. Il MAS ha avuto lo 0,38% dei voti (12.440).

Corriente Roja ha ottenuto cinque mila voti, e anch'essa ha aperto la sua lista agli attivisti indipendenti, includendo lavoratori addetti alla nettezza urbana a Madrid, –i quali recentemente hanno realizzato un importante sciopero che ha paralizzato la città– oltre a due minatori delle Asturie, e avendo come capolista un lavoratore di UPS, simbolo della lotta contro i licenziamenti a Madrid. Nei video in TV era presente lo sciopero di più di sette mesi dei lavoratori della Panrico della Catalogna contro i tagli salariali e i licenziamenti.

Per concludere, i quattro elementi descritti in questo articolo, combinati in modi diversi e riflettendo la portata della crisi e l'intensità degli aggiustamenti strutturali in ogni Paese, definiscono l'esito di queste elezioni: si mantiene un grande astensionismo che segue una tendenza al ribasso nel voto europeo e raggiunge livelli superiori a est; i partiti cristiano-democratici (PPE) e social-liberali (PSE) che governano la maggior parte dei Paesi europei perdono voti, con rare eccezioni contrarie (Germania e Italia); con l'eccezione della Grecia e dello Stato Spagnolo, il neoriformismo europeista capitalizza solo una parte della crisi. E la crescita dell'estrema destra nei Paesi centrali, inclusi i settori chiaramente fascisti, è il fatto politico centrale.

Ma indipendentemente dalla forma e dal peso con cui si combinano gli elementi di cui sopra, in nessun caso questi risultati indicano un periodo di stabilità politica.

 

Note

 

[1] http://www.economist.com/blogs/charlemagne/2014/05/european-elections-0

[2] Definiti come euroscettici, i partiti dell'estrema destra, populisti o dichiaratamente fascisti, raggiungono quasi il 13% del parlamento europeo.

[3] Alcuni risultati dell'estrema destra non citati nel testo: DF è stato il primo partito in Danimarca salendo dal 14 al 26%; In Austria il FPOE raggiunge il 20% ; In Ungheria, Jobbik ha il 15%; La Lega Nord di Salvini in Italia recupera dopo gli scandali per fatti di corruzione (6,15%); Lettonia: Tutti per la Lettonia il 14% (in coalizione). In Lituania, Ordine e Giustizia il 14,27%; in Finlandia: Veri Finlandesi il 12,90%.

[4] Rispetto alle elezioni europee del 2009 quando il PP e il PSOE insieme avevano l'80% dei voti, oggi questi partiti perdono il 30% dei voti.

 

 

(traduzione dal portoghese di Giovanni "Ivan" Alberotanza)

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