Partito di Alternativa Comunista

Costruiamo un partito comunista per la lotta!

Contro l’attacco del governo padronale
L’OPPOSIZIONE DEI LAVORATORI
Costruiamo un partito comunista per la lotta!
 
Anticipiamo qui l'editoriale di Progetto Comunista (n. 12 - ottobre 2007) in uscita in questi giorni
 
 
di Francesco Ricci
 

E’ iniziato il tempo del risarcimento...
E’ cominciato il tempo del risarcimento sociale. O almeno così dovrebbe essere, stando al calendario annunciato qualche mese fa dai ministri di Rifondazione (ricordate? “E’ finita la prima fase del risanamento, ora inizia il tempo del risarcimento”).
In realtà, l’unica cosa che è evidente in questo afoso fine settembre (a parte il caldo prodotto dalla distruzione capitalistica del pianeta) è che i padroni, finito l’antipasto a base di Tfr, gustato il primo piatto (quei sette miliardi di “regali” attinti dai “tesoretti” e vantati da Bersani), si preparano alle successive portate, slacciandosi la cintura.
Mentre la stessa Mediobanca certifica che in cinque anni le 38 principali imprese hanno aumentato del 50% i profitti e il valore dei salari dei loro dipendenti è sceso del 10% (valutazione quantomeno al ribasso, visto l’aumento vertiginoso dei prezzi al consumo), il governo amico (dei padroni) ha preparato un nuovo e pesantissimo attacco ai danni dei lavoratori, dei pensionati, dei giovani. Con i nuovi accordi di luglio (ne parliamo più diffusamente in altri articoli di questo numero) innalza l’età pensionabile, taglia i coefficienti di calcolo delle pensioni, consolida le leggi che regolano il lavoro precario. Non solo. Mentre i dirigenti di Rifondazione sono ancora impegnati a “fare piena luce” (sic) sul motivo che ha spinto il governo a inviare nuovi mezzi corazzati in Afghanistan (chissà se queste aquile ministeriali sono infine arrivate a capire cosa fanno dei blindati in una guerra), la “pace” e la “nonviolenza” restano rinviate alle calende dei romani, notoriamente sconosciute ai greci e a Prodi.
Intanto il ministro di guerra Parisi invia altri carabinieri in Irak e annuncia il raddoppio dei fondi per le missioni “di pace” all’estero informandoci che... “non si tratta di missioni umanitarie” e quindi servono più soldi per le armi. E il suo compare Padoa Schioppa conferma che nella prossima Finanziaria bisognerà aumentare ulteriormente le spese militari per sostenere “i tanti impegni militari”. Dichiarazioni che, a differenza dei frammenti di Eraclito, lasciano poco lavoro a pur abili esegeti del nulla dello stampo di Russo Spena. Intanto il ministro di polizia Amato predispone il suo “piano per la sicurezza” e, con i sindaci-sceriffo del centrosinistra, gareggia nel rilasciare interviste forcaiole confermando che persino sul piano “democratico” i due poli non differiscono e preparandosi a gestire con la “legge e l’ordine” le reazioni prodotte da queste politiche di rapina sociale.
Su queste basi si prepara la nascita del Partito Democratico di cui Veltroni ha precisato il programma, ricopiandolo da qualche quaderno dei desideri di Montezemolo.
Qui trova spazio un guitto come Beppe Grillo che, col suo progetto reazionario e qualunquistico, cerca di trarre un tornaconto dalla delusione profonda di lavoratori e giovani che avevano sperato in qualcosa di diverso dopo la caduta di Berlusconi (significativamente, i sondaggi indicano nella sinistra governista la prima vittima di una presentazione elettorale del comico).
 
Il 20 ottobre serve a rianimare illusioni morenti
Rifondazione, data ormai intorno al 3% e seguita a ruota dai Comunisti Italiani (Sinistra Democratica non è messa meglio), è allora costretta a procedere rapidamente sulla strada della propria dissoluzione organizzativa (quella politica è fatto compiuto). Nasce da qui l’insistenza di Fausto Bertinotti e dei dirigenti più lungimiranti del Prc sulla necessità, per assicurare una sopravvivenza alle burocrazie, di completare il “rinnovamento” fino allo scioglimento in un nuovo partito (che dovrebbe chiamarsi La Sinistra) da formare con le altre forze del “cantiere” (Pdci, mussiani e Verdi).
Le differenze interne al gruppo dirigente del Prc, enfatizzate dalla stampa, sono generate solo dai timori e dalla volontà “conservatrice” di alcuni settori preoccupati all’idea di poter perdere qualcosa nella fusione (e conseguente ristrutturazione) con le burocrazie degli altri partiti finora concorrenti. Ma si tratta di differenze esclusivamente sui tempi del percorso (quanto durerà la fase “confederata”?) non sullo sbocco inevitabile, lo scioglimento del Prc e la nascita del nuovo partito. Un partito socialdemocratico più ampio (almeno nelle aspettative) che possa portare in dote, nel matrimonio di governo d’alternanza col Partito Democratico, un più ampio controllo di settori di lavoratori e sindacati.
La manifestazione del 20 ottobre, a questo punto promossa solo da mezzo Cantiere (Sinistra Democratica di Mussi non può farlo per non rompere gli importanti legami che ha nelle burocrazie della Cgil), dovrebbe servire a rianimare le morenti illusioni nella base dei due partiti sulla possibilità di condizionare il governo a sinistra. Lo scopo, come ha esplicitato Giordano alla Direzione del 18 settembre (v. Liberazione del giorno seguente), è di “ricostruire una connessione sentimentale del governo con il suo popolo.” Ispirata da questa pia professione di fede, la piattaforma prevede ritocchi secondari al pacchetto Damiano sul welfare: l'eliminazione della detassazione degli straordinari e dello "staff leasing", un limite di 36 mesi ai contratti a termine. Anche laddove qualcuna di queste rivendicazioni venisse accolta (è possibile, ad esempio, che si modifichi la norma sullo "staff leasing", che non interessa ai padroni), l'impianto rimarrebbe immutato. Peraltro contro il pacchetto Damiano Rifondazione non muove un dito e anzi arriva a non fare campagna per il No al referendum confederale dell’8 ottobre, nascondendosi dietro “l’indipendenza sindacale”.
Per questo, a differenza di altri (che preferiscono rimanere nel vago), diciamo con chiarezza che non aderiamo alla manifestazione del 20 e che è necessario costruirne un’altra, su una piattaforma di lotta, a partire dalle forze che hanno promosso la riuscita manifestazione contro Bush del 9 giugno scorso.
 
Le mezze vie del centrismo e la prospettiva alternativa dei comunisti
Dentro e fuori dal Prc, varie organizzazioni centriste denunciano la deriva della sinistra governista ma il più delle volte non avanzano nessuna prospettiva realmente differente, limitandosi così a proporre “mezze vie” che sembrano talvolta ispirate più dalla ricerca di uno spazietto politico che non dalla volontà di costruire una alternativa basata sull’indipendenza di classe dei lavoratori.
Le minoranze rimaste nel Prc (Falcemartello, l’Ernesto di Giannini, Controcorrente di Veruggio) concordano nel riconoscere il carattere anti-operaio dell’azione di governo ma, con qualche differenza tra loro, finiscono col proporre semplicemente il ritiro della delegazione ministeriale e la ricollocazione del Prc: in ogni caso non all’opposizione di entrambi i poli. Una posizione che oltre a non fare i conti con le reali necessità della lotta di classe è del tutto esclusa dalla stragrande maggioranza del gruppo dirigente bertinottiano, a cui ora si è accodato anche Claudio Grassi con Essere Comunisti, intenzionato a non lasciare le comode stanze del “potere”, con relativi incarichi di prestigio e privilegi. La polemica estiva su Liberazione attorno al vizio di certi dirigenti di girare con l’auto blu è la riprova che le scelte politiche sono irreversibili perché fondate su volgari interessi materiali, non su opinioni sbagliate.
Fuori dal Prc si avvicina la proclamazione della scissione (già operante da mesi) di Sinistra Critica.
La scelta di quest’area di uscire dal Prc è certamente giusta. Si tratta peraltro di una conferma che la nostra scelta (fummo i primi a uscire dal Prc nell’aprile dell’anno scorso), che i dirigenti di Sinistra Critica commentarono con ironia o sufficienza, era inevitabile per chiunque non volesse subire la deriva governista di quel partito.
Ma uscire dal Prc per fare cosa? I documenti e le dichiarazioni dei dirigenti si tengono sul vago. Si parla di dar vita a una forza anticapitalista, femminista, ecologista. Nessun riferimento al comunismo (peraltro la sorella francese di Sinistra Critica, la Lcr, ha discusso della possibilità di togliere dal nome il riferimento al comunismo). Dunque una forza - una “rete” e non un partito - genericamente antagonista, movimentista, privo di un profilo programmatico marxista-rivoluzionario. Il che - si badi bene - non è questione del domani ma si riverbera, chiaramente, nelle scelte dell’oggi, come si nota nello stesso atteggiamento in parlamento del deputato e del senatore di Sinistra Critica. Infatti un buon centrista si riconosce dal fatto che non assume mai una posizione netta, richiamandoci alla memoria quel mister Bernacle, che Dickens aveva messo a capo dell’Ufficio Circonlocuzioni, che “per principio non dava mai una risposta definitiva”. Da Ufficio Circonlocuzioni è pure la dichiarazione che Turigliatto ha fatto al Senato sul Dpef: “(...) dovrei votare contro il Dpef. Mi limito a non partecipare al voto perché credo che questo autunno il governo dovrà fare i conti, non con qualche eterodosso senatore, ma con la mobilitazione delle lavoratrici e dei lavoratori.” Come a dire che i comunisti prima di dare una indicazione politica devono aspettare che si attivi, per ispirazione celeste, una “mobilitazione” (lo stesso principio genuinamente menscevico espresso dalla guida del virtual-giornalistico Pcl, Ferrando, che a proposito del 20 ha dichiarato di aspettare per vedere “cosa faranno le masse”).
L’idea dei dirigenti di Sinistra Critica pare essere quella di strutturare una “rete” (con soggetti ancora tutti da trovare) che faccia rivivere la stagione d’oro del bertinottismo: quella della “internità ai movimenti”. Una stagione - aggiungiamo noi - che servì per preparare la “svolta” di governo. Ma ha senso chiedere a qualche centinaio di attivisti un sacrificio militante per limitarsi a riportare sulla collina un masso destinato, come sapeva bene il povero Sisifo, a rotolare di nuovo a valle?
Noi pensiamo di no. Pensiamo sia più sensato ripartire dal progetto di costruire un partito comunista partecipe della costruzione di un’Internazionale rivoluzionaria.
Un lavoro che abbiamo iniziato rompendo nell’aprile dello scorso anno con il Prc che entrava al governo; che abbiamo consolidato con il congresso fondativo del Pdac (solo una decina di mesi fa) e che proseguiremo nelle lotte di questo autunno. Nella convinzione che la costruzione dell’opposizione all’attacco padronale richiede la costruzione di un forte partito comunista; e la costruzione del partito comunista non può essere slegata dalla promozione di comitati che, dal referendum sul welfare (qualunque ne sia l’esito), proseguano la lotta verso uno sciopero generale unitario e verso la cacciata di questo governo padronale.
Il primo anno e mezzo del governo Prodi è la migliore conferma del postulato leninista che esclude, sulla base dell’intera esperienza storica, che dal sostegno a un governo dei padroni possano venire vantaggi ai lavoratori. Bisogna allora che tutti i militanti sinceramente comunisti tornino sulla via maestra, la via dell’opposizione di classe e della costruzione del partito rivoluzionario, l’unica che conduce - sapendola percorrere tutta - a un governo dei lavoratori.
 
(20 settembre 2007)

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