Partito di Alternativa Comunista

Il massacro di Santa Maria Capua Vetere

Il massacro di Santa Maria Capua Vetere

 

 

 

di Mario Avossa

 

 

 

La pandemia occasionalmente è pretesto per le classi dominanti per esercitare il pugno di ferro nei confronti dei più deboli, degli esclusi, dei marginali. Il capitalismo, attraverso i suoi armigeri, svela il suo vero volto, quello spietato e crudele del carnefice di tutta l’umanità.

 

Il Covid-19 entra in carcere

Tra febbraio e marzo 2020 l’epidemia infuria dovunque, fuori controllo. Nelle carceri italiane, affollate fino all’inverosimile, si diffonde il contagio. Non si hanno notizie precise su quanti detenuti si siano ammalati. Qualcosa si apprende da Antigone (1): al 25 marzo 2020 i positivi al Covid-19 sono 15 e quelli messi in quarantena 260. Osservatoriodiritti (2) riferisce di 468 infetti e 18 morti, ma non v’è certezza.
Il 22 febbraio 2020 il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap) emana una circolare che vieta l’accesso alle carceri a tutti gli operatori penitenziari, volontari e familiari dei detenuti residenti nelle zone rosse. Revocati i colloqui, il Dap promette di compensare il provvedimento con un allargamento del minutaggio delle telefonate e con l’impiego di dispositivi multimediali. La prima parte è applicata con rigore ma la seconda stenta a realizzarsi. Le misure di profilassi sanitaria interne alle carceri sono aleatorie, non proporzionate alla gravità della situazione.
Nei giorni 7, 8, 9, 10 e 11 marzo 2020 i detenuti di tutta Italia, spaventati dal diffondersi del contagio in carcere e avviliti dal divieto dei colloqui con i familiari, danno luogo a rivolte in numerose carceri. Queste, per quanto clamorose, non registrano atti violenti contro persone. I giornali del padronato dichiarano che le rivolte sarebbero state animate dai capi camorra ma non viene fornita nessuna prova di quanto asserito. La dichiarazione serve a dare un alibi a atti di ritorsione e di vendetta contro i detenuti, dovunque essi si siano ribellati. È anche ipotizzabile una compiaciuta neutralità da parte dei camorristi internati che spenderanno, dopo le rappresaglie, sia sul versante dell’amministrazione penitenziaria sia su quello del controllo interno dei detenuti.
Le rivolte si sviluppano, per quanto ne sappiamo, in 70 carceri. Parte Salerno per prima, seguono rapidamente Modena, Rieti, Santa Maria Capua Vetere, Milano, Roma, Brescia, Foggia, Napoli, e tante alte località. La protesta dilaga a livello nazionale e la situazione si fa drammatica. Una mobilitazione così estesa e simultanea non può essere effetto di complotti. È la conseguenza delle terribili condizioni di detenzione che proletari e sottoproletari sono costretti a sopportare quotidianamente, senza via d’uscita.

 

Gli squadroni con la mano pesante

Partono le rappresaglie. Agenti della Polizia penitenziaria sono mobilitati in squadroni di picchiatori e inviati in tutte le carceri a sedare le rivolte. Si contano centinaia di feriti; e da tredici a diciassette morti, non si saprà mai con certezza. La versione ufficiale, generica e ubiquitaria, riferisce che i rivoltosi deceduti qua e là per l’Italia abbiano assunto spontaneamente dosi massicce di psicofarmaci sottratti dalle infermerie.
I detenuti volevano salute e diritti, hanno ottenuto pestaggi.
La macelleria messicana di Santa Maria Capua Vetere è sotto gli occhi di tutti dopo lo scoop di una poco nota testata giornalistica. Ma non è l’unica né la prima. I pestaggi, singoli o di massa, sono la routine nei luoghi di restrizione dello Stato borghese. Le immagini che tutti abbiamo potuto vedere sono eloquenti; probabilmente non mostrano le scene peggiori. Orrore, angoscia, violenza gratuita e indiscriminata.
Per uno degli scherzi del destino, Santa Maria Capua Vetere è l’antica Capua, città da cui partì la rivolta di Spartaco, il gladiatore tracio che animò il bellum servile. La sua rivolta contro l’apparato statale di Roma, iniziata nel 73 a.C., è diventata il simbolo della lotta degli oppressi contro gli oppressori.
Non ci interessa formulare interrogativi retorici sul perché i filmati, o quel che ne resta, siano venuti a galla solo ora, in modo intempestivo. Le vendette incrociate fra le combriccole della pubblica amministrazione della borghesia non ci entusiasmano più di tanto.
La componente simbolica dei paludamenti degli armigeri completa il quadro di una situazione asimmetrica nella quale i proletari sono nude bestie da percuotere; i soldati sono rivestiti delle armature da guerra. Lo Stato dei borghesi contro le classi oppresse e nullificate. Lo Stato, una macchina da guerra contro il proletariato, esplicita la sua funzione così come Marx e Engels l’hanno descritta. Non è teatro, per quanto ne abbia le caratteristiche della scena, è la realtà. Perché si capisca chi comanda: il capitalista. Perché si capisca chi deve pagare, qualunque cosa accada: il proletariato. Messaggio chiaro.

 

La passeggiata di Salvini e le anime belle della sinistra riformista

Qualche giorno fa Salvini non ha perso l’occasione per la sua solita passerella davanti alle telecamere, opportunamente convocate davanti al carcere di Santa Maria Capua Vetere. Qui ha rilasciato una serie di dichiarazioni banali da bar. Da parte loro, giornali della borghesia fingono di indignarsi, minimizzano e provano a circoscrivere in capo a poche persone le responsabilità dell’operazione di ritorsione; ricorrono al ritornello delle mele marce. Ipocrisia da respingere perché i redattori delle testate borghesi conoscono benissimo ciò che accade nelle carceri, essendo contigui ai gruppi di potere che finanziano quelle pagine. La sinistra riformista accomuna nella medesima disgrazia carcerati e carcerieri, secondo una stucchevole retorica che ci affligge da anni.
Lo Stato dei capitalisti rappresenta una macchina da guerra che opera in due direzioni, la prima per schiacciare ogni forma di resistenza, attiva, passiva, cieca o cosciente delle classi sottomesse; la seconda per dirimere le controversie che insorgono fra fazioni borghesi in conflitto fra loro.
Il sistema carcerario è una delle articolazioni violente dello Stato borghese. La pena detentiva viene dipinta dagli ideologi borghesi come una restrizione temporanea delle libertà individuali allo scopo di redimere il reo, rieducarlo e restituirlo alla sua funzione sociale. Sfortunatamente per loro, la realtà dei fatti configura l’esatto contrario di quanto da loro preteso. Il carcere borghese abbrutisce la persona e le insegna la sottomissione, la schiavitù come elemento inevitabile della società, elemento che viene ricondotto a forza nella definizione della normalità capitalista.

 

Cos’è in realtà il carcere per i capitalisti e a cosa serve

La realtà, invece, è testarda e parla chiaro. I capitalisti hanno messo su in tutto il mondo una serie di case dell’orrore che chiamano istituti penitenziari. La detenzione non ha nessuno scopo redentivo ma soltanto punitivo. È la ritorsione di massa agita dalle classi al potere contro quelle subalterne. Esse scontano la «colpa» di essere subalterne. I detenuti sono frange di classi subalterne proletarie o sottoproletarie che fanno parte del cosiddetto esercito industriale di riserva.
La repressione contro le classi oppresse nasce già tarata. Victor Serge (3) cita un passaggio di Marx del Capitale. «L'unica esposizione d’insieme, concisa ma magistrale, che conosciamo è quella di Karl Marx, nel capitolo XXIV del Capitale: «L'accumulazione originaria». «Alla fine del XV secolo e per tutto il XVI secolo», scrive Marx, «in tutta l'Europa occidentale era in vigore una legislazione sanguinaria contro il vagabondaggio. Gli antenati degli operai di oggi sono stati infatti puniti per essersi lasciati trasformare in vagabondi e poveri».
All’interno delle carceri vige un doppio sistema di coercizione: uno formale, rappresentato dalla pubblica amministrazione e dai secondini; un altro informale, rappresentato dagli emissari della criminalità organizzata che rappresentano la garanzia di raccordo col mondo extra-carcerario. Il singolo detenuto non ha alcun modo di opporsi a entrambi e resta in balia di essi.
La borghesia concepisce in modo ubiquitario le carceri come luoghi di punizione, retti da regole formali che nulla hanno a che vedere con le regole informali che vigono al loro interno. I pestaggi, i soprusi, gli insulti, da qualunque parte provengano, sono la regola, non l’eccezione. Le carceri rappresentano una vendetta dei capitalisti contro i proletari, che scontano così una doppia sottomissione, quella di classe e quella dell’illegalità cui sono costretti dalle miserie, dalle turpitudini, dalle ingiustizie e dagli abusi che patiscono nella loro vita quotidiana.
Il carcere serve a far capire chi comanda, chi ha il diritto di punire. Un abuso, quello preteso dai capitalisti, che esercitano come fosse un diritto.

 

Carceri borghesi e carceri proletarie

Le carceri borghesi sono utilizzate da una sparuta minoranza di ricchi per terrorizzare e opprimere la maggioranza dell’umanità, le masse operaie e proletarie. Il terrore su cui poggia l’azione repressiva dello Stato capitalista non è un’invenzione recente, è mutuato dall’uso di tecniche politiche e sociali per conquistare e mantenere il potere, soggiogare gruppi antagonisti e classi subalterne.
Nello Stato operaio e popolare l’istituzione penitenziaria avrà il compito opposto a quello cui assistiamo adesso. Sarà una delle inevitabili misure di coercizione che la classe operaia dovrà porre in essere, per il tramite dei suoi organismi politici e amministrativi di vigilanza e di repressione, con lo scopo di ostacolare i tentativi di resistenza della minoranza di ricchi che si vedranno togliere di mano il controllo politico, economico, sociale e culturale della società. Sarà, in breve, espressione politica di autodifesa della lotta di classe, uno dei suoi strumenti.

 

Note

  1. https://www.antigone.it/upload2/uploads/docs/DossiercoronavirusantigoneIT.pdf

  2. https://www.osservatoriodiritti.it/2021/03/16/carcere-e-covid-19-ultime-notizie/

  3. Victor Serge, Che cosa deve sapere ogni rivoluzionario sulla repressione (1925). Cap 4. Il problema della repressione rivoluzionaria, par. III.

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