Partito di Alternativa Comunista

Le "notti italiane" di Genova 2001

Le "notti italiane" di Genova 2001
A sette anni dalle torture poliziesche

 
 
 
di Claudio Mastrogiulio
 
L'Italia si è "evoluta", ha aperto le frontiere del proprio mercato, ha fatto razzie degli immigrati considerandoli come un cancro, ha disarticolato i diritti dei lavoratori in nome dell'ingresso nel "grande mercato unico europeo", ha oggettivato i desideri del Vaticano portando avanti imponenti attacchi contro i diritti delle donne, ha privatizzato le pensioni, l'acqua, il servizio pubblico, ha precarizzato le vite di ogni lavoratore.
 
 
genova2001
 
Accanto a tutte queste grandi "conquiste", esempio imperituro di civiltà, tolleranza e democrazia resteranno le notti italiane di Genova. Le settantadue ore che vanno dal 20 al 22 luglio del 2001 avvalorano, qualora ce ne fosse ancora bisogno, le posizioni di chi non dissipa le proprie capacità critiche nel vano tentativo di riformare un sistema iniquo alla radice. Da quel giorno anche l’Europa ha la propria versione riveduta e aggiornata delle notti cilene.
 
La mattanza a Bolzaneto
In Italia non esiste il reato di tortura. Quello che invece esiste in Italia è, e lo dimostrano una serie innumerevole di casi di cui la caserma di Bolzaneto e la scuola Diaz rappresentano soltanto la punta dell’iceberg, il puntuale ricorso all’esercizio della tortura.
Quanto seguirà descriverà in modo necessariamente approssimativo ciò che accadde nella caserma di Bolzaneto. Se, infatti, l’assalto alla scuola Diaz ha avuto più eco mediatica per via della presenza di immagini che attestassero l’irruzione e le dittatoriali conseguenze sui corpi di quelli che debbono essere considerati prigionieri politici, i fatti accaduti a Bolzaneto sono stati volontariamente dimenticati da quella pletora di servi sciocchi del potere che erroneamente qualcuno chiama giornalisti.
Compito di chi ha l’obiettivo di svegliare le coscienze per poi lottare nel tentativo di cambiare le cose è quello di porre l’accento, rischiando di divenire martellante, sulla verità e sulla denuncia di tutte le ingiustizie strutturali che questo sistema unilateralmente imposto vorrebbe farci accettare come un dato naturale e immutabile.
Nel dibattimento del processo-farsa che si sta svolgendo sono state depositate numerose testimonianze di manifestanti vittime inermi delle torture avvenute a Bolzaneto. La polizia penitenziaria, uno dei cani da guardia più fedeli nell’applicare le metodologie repressive ordinate dall’alto, utilizzò nella “caserma dell’orrore” numerose tecniche di tortura; le più dolorose che sono venute a galla sono la “posizione del cigno” consistente nella posizione a gambe divaricate, in piedi, con le braccia alzate e la faccia al muro a cui vanno sommati l’afa e la calura del luglio genovese. Un’altra modalità di tortura è consistita nel costringere il prigioniero a mantenersi per ore in ginocchio, davanti al muro con i polsi ammanettati dietro la schiena; ancora fu utilizzata la cosiddetta “posizione della ballerina”, attraverso cui si obbligavano i manifestanti a sostare in punta di piedi per molte ore. Considerando che prima di ricevere questo trattamento i manifestanti furono tutti scientificamente massacrati di calci, pugni, manganellate, la tortura ebbe certamente un effetto decuplicante nel raggiungimento del proprio obiettivo. Nelle celle del lager di Bolzaneto tutti furono picchiati, manganellati ai fianchi, schiaffeggiati in testa; ogni malcapitato manifestante subì angherie verbali di tutti i tipi (ovviamente secondarie ma propedeutiche a comprendere la base motivazionale che faceva agire questi carcerieri) partendo da insulti a sfondo sessuale, passando per il banale turpiloquio fino ad arrivare al rozzo ma significativo insulto a sfondo politico. Molti manifestanti furono infatti obbligare a gridare, rantolando dal dolore, frasi come “viva il duce” oppure “viva la polizia penitenziaria”. Non mancarono gli stracci bagnati sulla schiena, lo spruzzo del gas urticante-asfissiante, i passaggi nel cortile tra due ali di poliziotti che sgambettano e picchiano a tutta carica. Vi furono prigionieri che subirono lo spappolamento della milza, la rottura dei piedi, la frattura delle costole e delle mascelle del viso. Durante il dibattimento, un testimone ha ricordato l’immagine di un ragazzo poliomielitico che implorava i suoi aguzzini di non picchiarlo sulla gamba sana con la pronosticabile risposta priva di umanità di chi ha indifferentemente continuato a picchiarlo. Molti compagni sono stati costretti a strapparsi da soli i propri piercing, orecchini, chi chiedeva di poter andare in bagno subiva un supplemento di torture con rottura di denti e bruciature di accendini.
Raccontare questi eventi è paragonabile alla lettura di un romanzo esemplificativo circa la descrizione di regimi opprimenti che è 1984 di George Orwell. Se non stessimo parlando di servi la cui intelligenza non supera quella di un primate mal ammaestrato avremmo anche potuto pensare ad una preliminare dotta lettura volta a pianificare meglio la mattanza.   
 
Le responsabilità politiche e la situazione processuale
Di chi le responsabilità apicali di questo massacro? Certamente di un sistema in cui chi manifesta la propria opposizione sociale viene immediatamente additato come responsabile di azioni penalmente rilevanti e perciò imputabili e punibili con i termini massimi (leggi condanne Sud Ribelle, gli stessi manifestanti di Genova e quelli del 12 marzo 2006 di Milano), di un sistema che reprime chi lotta per l’emancipazione di quelle fette del mondo che vivono una condizione d’oppressione e sfruttamento dettata dall’insita dicotomia classista vigente in un sistema capitalistico. Assodata questa responsabilità larga, riteniamo necessario rintracciare i responsabili in carne ed ossa, quelle autorità politiche e di polizia autrici di quanto accaduto. Rispetto a questo punto la responsabilità è, come da pronostico per due compagini attente agli equilibri dello status quo borghese e imperialista, bipartisan. Nel luglio del 2001 al governo si trovava il centrodestra guidato da Berlusconi ma da soli pochi mesi (l’investitura del nuovo governo avvenne solo l’11 giugno 2001) per cui la preparazione del G8 e il posizionamento ai vertici delle operazioni di ordine pubblico furono appannaggio quasi totale dell’arbitrio decisionale dei governi di centrosinistra D’Alema II e Amato II. Come è ovvio che sia, è giusto pensare ai seviziatori come esecutori materiali di direttive emanate da luoghi di potere situati in posizione dominante nella gerarchia delle istituzioni borghesi. Personaggi come il leghista Castelli (altro esempio insigne dello squadrismo di stato in salsa italiana) che ispezionò la caserma di Bolzaneto s’ostina ancora ad innalzare il muro di falsità e mistificazioni che permea l’intera vicenda. Gianni De Gennaro (allora capo della Polizia) è un’altra figura solo sfiorata dal processo-farsa, restando impunemente al proprio posto e ricevendo addirittura promozioni in grado. Infatti il governo Prodi, appoggiato da tutta la compagine socialdemocratica della Sinistra Arcobaleno, ha pensato bene di permettere a De Gennaro di replicare la propria metodologia fascista anche nell’ambito della repressione dei movimenti popolari campani (colpevoli del solo fatto di essere in balia di politici ed imprenditori collusi con la camorra) affidandogli il commissariamento straordinario della regione. Senza dimenticare quel personale medico-militare che “curò” i torturati senza proferire una sola parola di dissenso circa l’inumana mattanza che si prospettava dinnanzi ai loro occhi, incrementando anzi la dose di sevizie nei confronti dei manifestanti. Il responsabile medico di Bolzaneto, Giacomo Toccafondi (accusato peraltro di diversi episodi di percosse, ingiurie e violenza privata) è stato promosso e inviato in Kosovo con la Croce Rossa Italiana!.
Nell’assordante silenzio della grande stampa borghese e del teatrino della politica istituzionale sono state emesse le richieste di condanna per i 44 imputati nel processo per le torture di Bolzaneto. I destinatari di queste condanne sono ufficiali, funzionari, poliziotti medici, carabinieri, agenti di polizia penitenziaria. Nessuno di loro passerà una sola nottata nelle patrie galere, infatti il termine del processo è previsto per il 2009 quando scatterà la prescrizione per tutti i reati grazie ai termini di modifica stabiliti dalla legge “ex Cirielli”. A totale tranquillità per gli interessati interviene l’indulto dell’ex guardasigilli Mastella, poiché per i reati chiamati in causa (può sembrare assurdo ma sono soltanto la violenza privata, l’abuso d’ufficio, l’abuso di potere e non la tortura) la pena massima è di tre anni. Allo stesso tempo venticinque manifestanti sono accusati del reato di devastazione e saccheggio (contro cose) e rischiano fino ad undici anni di reclusione per aver resistito agli assalti dei reparti speciali dei carabinieri per le strade di Genova.
 
Considerazioni finali
Quanto scritto dimostra la veridicità degli elementi che ci consentono di constatare di trovarci in un regime dittatoriale (dittatura della borghesia), forse più sottile rispetto a quelli passati, ma certamente più subdolo ed efficace. Un regime che ha la forza di far passare tutto in secondo piano; di far considerare alla pubblica opinione queste situazioni inaccettabili come delle semplici oliature dell’ingranaggio migliore possibile; di costruire un sistema giuridico che è debole con i forti ed è forte con i deboli, che ha la sola funzione di rendere immuni le ingiustizie strutturali del sistema dall’opposizione sociale che inevitabilmente esso partorisce.
A queste considerazioni deve accompagnarsi, essenziale per dei rivoluzionari, la tenacia nel nostro lavoro di denuncia di uno status quo iniquo ed inumano, lo smascheramento di quelle forze politiche (vedi Sinistra Arcobaleno) che dietro una fraseologia ambigua e dissonante con la realtà dei fatti si sono lasciate abbracciare mortalmente da questo sistema, diventandone interessati ed opportunisti complici. Forze politiche che hanno appoggiato un governo che non ha nemmeno avuto la volontà di creare una commissione parlamentare d’inchiesta sui fatti di Genova. Sappiamo bene, non essendo ingenui e non credendo nelle istituzioni che la socialdemocrazia tanto santifica, che la strada per rendere realmente giustizia a chi a Genova ha lasciato la pelle o a chi è cambiata irreversibilmente la vita non è quella della contiguità con le rappresentanze di questo sistema, ma ciò è sintomatico del grado di compromissione della Sinistra Arcobaleno con un governo della borghesia che più reazionario non poteva essere (su tutti i terreni, dai diritti civili all’immigrazione passando per il lavoro). L’unica via per realizzare un reale cambiamento nella società italiana è quello di riaccendere il conflitto sociale, da troppo tempo imbrigliato e soffocato dalle burocrazie, attraverso il ritorno nelle piazze, nei luoghi di lavoro, nei luoghi inumani di assoggettamento degli immigrati, nelle scuole al fine di creare un grande movimento di lotta radicale e unitario che sappia dimostrare che il plagio che questo potere vorrebbe esercitare sulle menti di chi opprime mai potrà avere luogo.
Il Partito di Alternativa Comunista attraverso le sue militanti e i suoi militanti sta cercando in ogni movimento embrionale di mobilitazione di portare queste parole d’ordine; in modo che nessuno possa abituarsi alle infami storture che gli oppressi di questo Paese sono oggi costretti a subire.    
 

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