Partito di Alternativa Comunista

Lazio: la privatizzazione del servizio idrico

Le responsabilità del centrosinistra, la battaglia di Progetto Comunista a Latina

di Maria Pia Gigli

A partire dagli anni è90 il trattato di Maastricht e l'unione monetaria europea imprimono anche nel nostro paese un'accelerazione ai processi di privatizzazione. Le aziende statali Eni, Iri, Enel, Ina vengono messe sul mercato e si avvia lo smantellamento dello stato sociale con la "svendita" ai privati di servizi come la sanità, l'istruzione, i trasporti.

In ambito locale le aziende municipalizzate o gestite in economia vengono trasformate in Spa, avviando così la gestione privatistica dei servizi locali (acqua,rifiuti, gas, farmacie, nidi ecc). La crisi capitalistica chiede nuovi spazi di mercato e i governi Amato, Ciampi, Berlusconi, Dini e Prodi hanno creato il quadro legislativo favorevole alla collocazione di capitale italiano e internazionale nel nuovo mercato dei servizi. Lo stesso Prodi, che ha svolto un ruolo fondamentale nella privatizzazione dell'Iri e successivamente ha condotto questi stessi processi da Commissario europeo, oggi si appresta a guidare nel 2006 un nuovo governo su quelle stesse basi con l'apporto del Prc.

Il centrosinistra in Lazio e lo smantellamento del pubblico

In questo contesto, il governo Ciampi, con la Legge n. 36 del 1994 (Legge Galli) avviò la privatizzazione del servizio idrico. Al di là di "lodevoli" principi generali (la proprietà pubblica delle acque, l'uso secondo criteri di solidarietà, il risparmio, il rinnovo delle risorse e la priorità dell'uso per il consumo umano) nella sostanza la Legge Galli detta norme per una gestione in senso aziendale. Infatti nel voler superare la frammentazione della gestione affidandola ad un'unica struttura che opererà in un unico ambito territoriale ottimale (Ato), disciplina anche il rapporto tra enti locali e soggetto gestore che può essere pubblico o privato. Al soggetto gestore viene imposto l'obbligo del "raggiungimento dell'equilibrio economico-finanziario della gestione" e la tariffa, che rappresenta il corrispettivo del servizio, deve garantire "la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio" compresa "l'adeguata remunerazione del capitale investito".

Dal è94 ad oggi si sono suddivisi i vari territori in Ato e per lo più il servizio idrico è stato affidato a gestori privati o ad aziende miste pubblico-private. Si è aperta dunque da un decennio anche in Italia un'ingente fetta di mercato per grandi multinazionali come Veolia (ex Vivendi), Enel e la stessa Acea Spa a prevalente capitale del comune di Roma, che opera in Italia, Europa e America Latina.

L'assetto proprietario della società per azioni quotata in borsa svela il reale interesse al profitto che anima questo tipo di gestione dei servizi. Il ruolo di controllo e di indirizzo che i soggetti pubblici (Comuni e Province) dovrebbero svolgere è pura illusione sia perché le convenzioni e gli statuti spesso affidano attraverso clausole capestro un potere soverchiante ai privati, sia perché gli stessi amministratori pubblici traggono vantaggi materiali in termini di posti nei vari consigli di amministrazione (Cda), aggiudicazioni di appalti ecc.

La Regione Lazio con un governo di centrosinistra a cui partecipava Rifondazione comunista, ha recepito la legge Galli con una legge (L.r. n.6/96) elaborata da un'assessore dei Ds che ne ha anche curato l'applicazione sul territorio regionale. Da allora si è messo in atto in tutta la regione un lungo iter organizzativo che ha permesso che settori rilevanti di ceto burocratico amministrativo si riciclasse in "management" entrando nei Cda delle multinazionali dell'acqua. Oggi il processo di industrializzazione dell'acqua nel Lazio si è realizzato nella provincia di Latina con la costituzione della società mista Acqualatina Spa e nella provincia di Roma, con la gestione affidata ad Acea Spa che è anche il gestore unico nella provincia di Frosinone; nella provincia di Viterbo è stato deliberato l'affidamento temporaneo ad una società interamente pubblica e solo nella provincia di Rieti non è ancora compiuto l'affidamento a terzi del servizio deliberato nel 2002.

La vicenda di Acqualatina

La vicenda di Acqualatina mostra emblematicamente gli interessi, pubblici e privati, che si sono scatenati intorno al più grande affare industriale nella provincia di Latina negli ultimi vent'anni e allo stesso tempo testimonia il fallimento dal punto di vista del costo e della qualità del servizio reso ai cittadini e ai lavoratori, del processo di ristrutturazione capitalistica nel settore dei servizi.

Acqualatina Spa nasce nel 2002 ed è costituita per il 51% da capitale pubblico (enti pubblici locali) e per il 49% da capitale privato garantito da una cordata di imprese che vince (in modo non del tutto trasparente) il bando di gara e che costituisce la società Idrolatina con al suo interno: Vivendi Water (ora Veolia Water Srl) 40%; Enel Hydro 23%; Acquedotto Pugliese 23%; Siba 9%; Italcogim 3% e Emas Ambiente 2%. Dopo un anno questo assetto del capitale privato muta in direzione di una concentrazione di capitale con l'assenso della parte pubblica della società: Acquedotto Pugliese cede la propria quota (il 23%) ad Enel Hydro, che così detiene il 46% di Idrolatina. Nel 2004 Enel Hydro viene venduta a Veolia Water che detiene così l'86% del capitale sociale di Idrolatina.

Per chi ancora pensi che il pubblico in questi casi possa far valere il suo ruolo di controllo è utile far sapere che in Acqualatina convenzioni e patti parasociali conferiscono un'enorme potere decisionale all'amministratore delegato della società e che qualsiasi decisione del Cda deve avere il parere vincolante di almeno un membro della parte privata, il cui ruolo risulta così prevalente. La nomina del Cda è frutto di una spartizione politica trasversale in cui vengono accontentate non solo le forze di centrodestra che governano la provincia e gran parte dei comuni, ma anche quelle di centrosinistra che risultano coinvolte oltre che nel Cda anche nell'ufficio di presidenza, struttura non prevista, ma creata per la moltiplicazione degli incarichi. Incarichi che costano caro alla collettività: nell'ultimo bilancio 661.000 euro sono destinati ai compensi degli amministratori e 6.000.000 di euro vanno ai manager e ai consulenti esterni. A questo si aggiunga, per molti amministratori, la sovrapposizione tra ruolo di controllore e controllato. Le reti e gli impianti rimangono sì di proprietà pubblica, ma si può ancora sostenere questo a fronte di una concessione trentennale e rinnovabile alla parte privata? Infine, il piano di investimenti previsto non è stato realizzato, la Spa ha proceduto piuttosto a gestire vecchie strutture con interventi straordinari costosi e appaltati in maniera sospetta a ditte esterne.

L'operazione economica per essere profittevole deve poggiare su un'adeguata remunerazione che viene assicurata dagli introiti provenienti dalle bollette. La tariffazione ha prodotto notevoli aumenti dei costi per i cittadini e i lavoratori, perché impostata su una base di calcolo errata e calcolata su consumi presunti; l'ultimo adeguamento del 5% è stato approvato, come sempre, sia dai privati sia quasi unanimemente, dalla parte pubblica. Non solo, l'ultimo bilancio di Acqualatina ha rivelato 15 milioni di euro di deficit che verrà ripianato dalla Provincia attraverso erogazione di fondi pubblici, che assicurerà nuovo ossigeno al capitale privato.

Le lotte dei comitati e di Progetto Comunista

Il caso Acqualatina dimostra come una riforma voluta dal centrosinistra regionale sia stata gestita "egregiamente" dai governi di centrodestra locali di concerto con le forze del centro liberale del centrosinista che hanno potuto così ottenere posti nel Cda e nell'ufficio di presidenza. Il governatore Marrazzo in campagna elettorale ha promesso la ripubblicizzazione del servizio, ma la nuova giunta, come anche le forze del centrosinistra locale, sono divise tra chi vuole procedere con provvedimenti amministrativi che non metteranno in discussione l'assetto societario di Acqualatina presumendo che possa esistere una "buona" gestione (Margherita, centro liberale dei Ds) e chi ritiene di voler riformare il settore magari trasformando il tutto in una società "in house" a intero capitale pubblico (Verdi, Prc e settori di movimento a direzione riformista).

I comitati locali costituitisi per contrastare questa gestione fallimentare hanno mostrato di avere le idee più chiare e una posizione più avanzata, anche grazie all'intervento nei comitati dei militanti di Progetto comunista in rappresentanza del Prc locale. Partendo dal contrasto al caro bolletta si stanno diffondendo pratiche di autoriduzione con la rivendicazione dell'applicazione di tariffe fortemente progressive in base ai redditi e alle rendite e l'accesso gratuito al servizio per disoccupati, pensionati, immigrati, lavoratori con redditi bassi e carichi familiari. Ma all'interno di questa piattaforma è necessario inserire anche la rivendicazione della proprietà e della gestione pubblica della risorsa acqua, sotto il controllo dei lavoratori e delle popolazioni, quale unica misura contro la gestione di una risorsa primaria in direzione del profitto di società siano esse private, miste pubblico-private o totalmente pubbliche.

La lotta contro la privatizzazione dell'acqua e di tutti i servizi pubblici (sanità, istruzione, trasporti, rifiuti ecc.) è la lotta più in generale per la difesa del carattere sociale del salario che non si riduce alla sola busta paga, al denaro percepito direttamente dal lavoratore, ma al complesso dei costi di riproduzione della forza-lavoro. Privatizzazioni, smantellamento dei servizi sociali, tagli ai bilanci degli enti locali e aumento delle tariffe rappresentano l'attacco più duro al salario sociale globale. E' necessario, quindi, la connessione di queste vertenze con la lotta più generale del movimento dei lavoratori dal momento che anche in questo settore, per i processi in corso, sono prima di tutto i lavoratori dei servizi privatizzati ad essere colpiti attraverso la riduzione dei posti di lavoro, la riduzione del salario e il peggioramento delle loro condizioni di lavoro.

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