PER UN AUTUNNO DI LOTTA
Iniziamo con la manifestazione
antirazzista del 4 e con lo sciopero del 17
di Antonino
Marceca
Il 25 settembre il presidente degli
Usa George W. Bush e i candidati alla presidenza Barak Obama (Partito
Democratico) e John McCain (Partito Repubblicano) si riunivano alla Casa Bianca,
assieme ai leader del Congresso, per approvare il piano di salvataggio
dell’economia statunitense. 700 miliardi di dollari messi a disposizione, questo
era il piano del ministro dell'Economia e del presidente della Federal Reserve:
un piano poi respinto (ieri) dal Congresso ma che non avrebbe comunque potuto
far uscire gli Usa in tempi brevi dalla crisi capitalistica.
Nel frattempo i dati mostrano
l’avvitarsi della crisi: crollano gli ordinativi di beni durevoli, aumenta la
disoccupazione, cade il potere d’acquisto dei salari. Un insieme di fattori che
concorrono a frenare le importazione negli Usa e a estendere la crisi economica
ai Paesi esportatori.
La semplice osservazione empirica
mostra come la crisi capitalistica iniziata nel maggiore dei Paesi imperialisti,
come in una reazione a catena, si è estesa dalla banche al manifatturiero, dagli
Usa all’Europa, all’Asia... Mentre negli Usa i due poli dell’alternanza borghese
si scontravano sul piano di salvataggio dell’economia capitalistica, qualche
giorno prima Nicolas Sarkozy, presidente francese e di turno dell’Unione
Europea, intervenendo all’assemblea generale dell’Onu ha proposto un vertice
mondiale al fine di studiare la crisi e “ricostruire insieme il capitalismo”.
Intanto la crisi capitalistica fa
sentire i suoi effetti anche in Italia, dove viene previsto dalla Commissione
europea per il 2008 un Pil quasi piatto (0,1%), collocando il Paese come ultimo
tra i sette europei maggiormente industrializzati, mentre permane ai primi posti
per crescita dell’inflazione. Ed infatti nei primi sei mesi del 2008 sono
aumentate le ore di cassa integrazione ordinaria e straordinaria, le procedure
di mobilità (licenziamenti), di ristrutturazioni e crisi aziendali, con
conseguenti riflessi sul mercato del lavoro dove aumenta la disoccupazione e il
lavoro precario.
Di fronte alla crisi capitalistica, a sentire i maggiori
esponenti del Partito Democratico, il governo Berlusconi si caratterizza per
un'assoluta inerzia. Nulla di più falso, il governo Berlusconi ha operato ed
opera per far pagare la crisi ai lavoratori e alle masse popolari, così come
aveva fatto il suo predecessore, il governo Prodi, mentre il padronato sta per
portare a casa con la complicità dei maggiori sindacati uno dei più devastanti
modelli contrattuali. I poli padronali fanno insomma la loro parte: ciò che
manca è un'opposizione politica e sociale che li contrasti. E questo avviene non
per caso ma per le responsabilità e il ruolo attivo della sinistra riformista e
dei suoi referenti sindacali.
La politica del governo e
quella dei padroni
Basta mettere in fila i provvedimenti
approvati in questi primi mesi di legislatura per vedere come il governo marci
come un treno ad alta velocità. Infatti l’azione del governo non ha risparmiato
nessuno: detassazione degli straordinari; inflazione programmata (1.7% per il
2008, 1.5% per il 2009, mentre quella reale è ampiamente sopra il 4%); Pacchetto
sicurezza contro gli immigrati e impiego dei militari con funzione di ordine
pubblico, fomentando un clima xenofobo e razzista; Decreto legge 112/08
(convertito nella Legge 133/2008) contro i dipendenti pubblici; manovra
finanziaria triennale che colpisce i precari, ripropone tagli ai servizi e
privatizzazioni, mentre è già in programma per l’autunno il federalismo fiscale
che comporterà tagli pesantissimi ai servizi pubblici, nel mirino la
privatizzazione degli ospedali pubblici. Particolarmente colpite la Scuola dove
si prevede la riduzione in tre anni del personale di 129 mila 500 unità, di cui
87 mila docenti e 42 mila Ata (amministrativo, tecnico, ausiliario), insegnante
unico alle elementari, finanziamenti alle scuole private e cattoliche;
l’Università dove con l’espediente della “fondazione” si mira a far entrare le
banche e le imprese nei consigli di amministrazione. Ma il vento reazionario
ormai investe il sistema giudiziario, il sistema elettorale per le europee e
perfino i diritti civili.
L’ultima, in ordine di tempo, è la manovra
autunnale approvata il 23 settembre che mentre mantiene fermi gli obiettivi di
pareggio di bilancio per il 2011 e del deficit pubblico (2,5% del Pil per il
2008 e del 2,1% per il 2009) scarica i costi della crisi sui lavoratori e sulle
masse popolari. Nella manovra finanziaria, in anticipo sui tempi del nuovo
modello contrattuale per il settore privato, viene abolita la contrattazione
collettiva per l’erogazione degli aumenti salariali nel pubblico impiego
attraverso l’erogazione unilaterale da parte del ministro della Pubblica
amministrazione del 90% della somma prevista in base all’inflazione programmata,
stabilita dal governo con il Dpef. Nel contempo verranno messi sul mercato
migliaia di "esuberi" nel pubblico impiego.
Da parte sua l’azione del
padronato non è meno oltranzista di quella del governo, il documento di
Confindustria, presentato al tavolo sul nuovo modello contrattuale il 12
settembre, esprime in modo organico la risposta padronale alla crisi
capitalistica, un modello contrattuale che abbiamo visto all’opera nella
vertenza Cai/Alitalia (dove le principali sigle sindacali del settore, incluso
SdL, si preparano a firmare un accordo vergognoso -su cui torneremo in altri
articoli).
La Confindustria nel suo documento ha voluto chiarire che
“l'obiettivo primario della contrattazione collettiva deve essere il buon
funzionamento dell'attività delle imprese” mentre al sindacato è affidato un
ruolo di “partner-complice”, di innocuo erogatore di servizi (previdenziali,
sanitari, ecc) assieme agli industriali. Gli industriali dopo aver ridotto il
salario, affermata la derogabilità in sede aziendale e territoriale delle
condizioni minime stabilite nei contratti nazionali, vogliono sterilizzare, e
addirittura sanzionare, il diritto di sciopero durante i rinnovi
contrattuali.
In sintesi il modello contrattuale mira a trasformare la natura
stessa del sindacato, assumendo il modello Cisl, prefigurando un sindacato
aziendalista che rinuncia alla lotta e alla contrattazione ed assume la funzione
di erogatore di servizi ai cittadini-lavoratori.
Le modalità utilizzata
nella vertenza Cai/Alitalia, l’incontro organizzato dal segretario del Pd,
Walter Veltroni, tra il presidente di Cai, Colaninno, e il segretario generale
della Cgil, Guglielmo Epifani, per indurre quest’ultimo alla firma su un accordo
di lacrime e sangue per i lavoratori Alitalia rappresenta un precedente per il
successivo grande gioco al tavolo sul nuovo modello contrattuale, mentre nel
contempo evidenzia l’influenza che esercita il Partito Democratico nella
burocrazia della Cgil.
La necessaria risposta
operaia e comunista
La Cgil il 27 settembre ha
organizzato alcune decine di manifestazioni in alcune piazze nelle maggiori
città del Paese. Ma a parte la natura schizofrenica dell’azione sindacale che,
scindendo meccanicamente l’azione del governo da quella padronale, ha
indirizzato le manifestazioni solo contro il governo; è emersa nelle piazze la
volontà di lotta dei lavoratori: quando Guglielmo Epifani a Roma ha proposto lo
sciopero generale della scuola la piazza ha reagito con un forte applauso di
sostegno, ma sopratutto quando a Padova un operaio metalmeccanico ha chiesto dal
palco lo sciopero generale di tutte le categorie c’è stato un boato di
entusiasmo, mentre si oscuravano le facce della burocrazia sindacale. Questi
fatti dimostrano che da parte dei lavoratori, delle loro avanguardie, c’è una
tensione, una volontà di lotta: la rottura del tavolo sul nuovo modello
contrattuale e la costruzione dello sciopero generale, questo viene chiesto alle
attuali direzioni.
Una resistenza che abbiamo visto e vediamo in questi
giorni nella lotta dei lavoratori dell’Alitalia (tradita da burocrazie e
microburocrazie sindacali), nella resistenza dei lavoratori della Scuola, nella
lotta dei lavoratori immigrati di fronte alle manifestazioni razziste e
xenofobe, all’assassinio nero nelle piazze e bianco nei luoghi di lavoro, nelle
migliaia di vertenze in atto nel Paese per il salario e i diritti.
Queste
lotte sono importanti e il Partito di Alternativa Comunista le ha sostenute e le
sostiene, ma è anche necessario ricondurre la lotta sul terreno politico
generale.
Nel quadro di questa prospettiva, due appuntamenti importanti
esprimono l’opposizione sociale e politica al governo e al padronato: la
manifestazione del 4 ottobre degli immigrati a Roma e lo sciopero generale del
17 ottobre proclamato unitariamente dal sindacalismo di base (Rdb Cub, SdL,
Confederazione Cobas). Anche in questo caso la sinistra governista (Prc, Pdci,
ecc.) o aderisce in termini più formali che reali (4 ottobre) o, peggio,
ostacola nei fatti il 17 organizzando la propria innocua sfilata pochi giorni
prima, l'11 ottobre (con il sostegno anche di vari gruppi centristi, tra cui il
Pcl ferrandiano).
Il Pdac parteciperà pienamente
al 4 e al 17: due scadenze che esprimono la potenzialità di aprire un nuovo ciclo di
lotte, più ampio e unitario: la costruzione di una vertenza generale contro il
governo e il padronato, sulla base di una piattaforma unificante e di
rivendicazioni transitorie, dove possano convergere le aree classiste e
conflittuali della Cgil, il sindacalismo di base, i movimenti di
lotta.