Partito di Alternativa Comunista

Vicenza, Dal Molin

Vicenza, Dal Molin
Proseguiamo la lotta
senza cadere nella trappola del referendum
La battaglia contro la guerra imperialista non si sottopone a consultazione
 

 

 
 
di Patrizia Cammarata (*)
 
 
La consultazione sulla costruzione della nuova base Usa a Vicenza nell’area dell’aeroporto Dal Molin si svolgerà, forse, il 5 ottobre 2008. Scriviamo “forse” perché solo il 1 ottobre si saprà con certezza se questa consultazione avverrà.
 
 
Il Tar del Veneto, il 18 settembre, aveva  respinto l’istanza di sospensiva dei sostenitori della base che avevano presentato ricorso ritenendo la consultazione illegittima. In seguito al pronunciamento del Tar il comitato favorevole alla costruzione della nuova base ha presentato appello al Consiglio di Stato che ha fissato l’udienza per il 1 ottobre.
Il quesito del referendum è il seguente:  “E’ lei favorevole all’adozione da parte del Consiglio Comunale, nella sua funzione d’organo politico-amministrativo, di una deliberazione per l’avvio del procedimento d’acquisizione al patrimonio comunale, previa sdemanializzazione, dell’area aeroportuale Dal Molin -ove è prevista la realizzazione di una base statunitense- da destinare ad usi d’interesse collettivo?”
Coloro che sono contrari alla base dovranno rispondere sì, coloro che sono favorevoli dovranno rispondere no.
 
 
Referendum: Variati e il Pd hanno già vinto
Se verrà fatta, chi vincerà questa consultazione?
Noi pensiamo che, comunque vada, la consultazione ha fin d’ora come sicuro vincitore il sindaco Achille Variati del Partito Democratico mentre sarà sconfitto il movimento che da quasi tre anni, generosamente, si sta battendo contro la base.
Achille Variati, capogruppo del Pd nel Consiglio Regionale, democristiano negli anni Settanta (quando era allievo e pupillo di Mariano Rumor), segretario cittadino del partito nel 1983 e sindaco Dc di Vicenza nel 1990, sta portando avanti senza tentennamenti gli interessi politici ed economici della classe sociale che il Pd rappresenta.  E lo fa talmente bene da essere stato citato da Veltroni come esempio per tutti i futuri candidati sindaci del Pd (“Il modello è Vicenza” - 1), nonostante qualche sua intemperanza, come l’essersi smarcato dal governo Prodi quando quest'ultimo ha detto sì alla base “senza consultare i cittadini”. O come quando non ha firmato la petizione del Pd “Salva l’Italia”contro il governo Berlusconi chiarendo in un’intervista: “Credo che la petizione non sia un’iniziativa giusta. Anche perché interrompe quel percorso virtuoso, quel rapporto di collaborazione che si poteva innestare tra maggioranza ed opposizione”. E' noto infatti che sull’operato del governo Berlusconi le idee di Variati sono chiare: “Il mio giudizio, al momento è sospeso. Non do un voto positivo ma non sono ancora in grado di darne uno negativo. Prenda l’iniziativa di Maroni di dare più potere ai sindaci in materia di sicurezza. Secondo me, con questa mossa, il ministro dell’Interno ha attivato un meccanismo virtuoso che, tra l’altro, io sto già sfruttando”. (2)
Il sindaco Variati si dichiara “amico degli Usa”,  ha fatto sventolare la bandiera d’Israele nel suo ufficio nei giorni durante i  quali cadeva il 60° anniversario della fondazione dello Stato sionista,  ha approvato le ordinanze di sgombero dei campi rom e le ordinanze "anti-lucciole", si è espresso a favore della Tav. Ha vinto il ballottaggio (per soli 527 voti) alle elezioni comunali dello scorso aprile grazie anche ai voti della Sinistra Arcobaleno e della lista “Vicenza libera No Dal Molin” (la lista del Presidio Permanente controllato dai “disobbedienti” di Casarini). In cambio aveva promesso il referendum. E non ha tradito la parola data, anche se un vero e proprio referendum che chieda “sei favorevole o contrario alla base” non si può fare perché “per legge un ente locale non può entrare negli affari militari”. Ma una consultazione sì, un semplice parere, un parere che sarà espresso dai vicentini, dai “vicentini doc” come spesso si legge nella stampa locale, anzi da 35 mila vicentini “doc”, perché è questo il “quorum” deciso dallo stesso sindaco (cifra che corrisponde alla metà più uno dei votanti al primo turno delle recenti elezioni del Consiglio comunale).
 
 
Il referendum non fermerà la base
Il sindaco del Pd, dicevamo, vincerà in ogni caso.
Vincerà se il Consiglio di Stato boccerà la consultazione dando ragione al comitato pro-base. In questo caso il sindaco farà appello agli “amici americani”, come fece quando lo scorso luglio il Consiglio di Stato, bocciando la sentenza del Tar, diede nuovamente il via libera alla costruzione della base: “Credo che da ieri siano gli americani a trovarsi nella situazione più difficile tra uno Stato che dice avanti tutta e una città che li ha ospitati in amicizia per più di 50 anni, e che ora chiede soltanto di aspettare per permetterle di esprimersi” (3)
Vincerà se il quorum fissato non sarà raggiunto: il sindaco potrà in ogni caso dichiarare che la consultazione è stata fatta e che, come già dichiarato: “l’indifferenza è come un sì alla base. Ne prenderò atto e come Comune mi limiterò a controllare il rispetto dei lavori al Dal Molin” (4).
Vincerà se vinceranno i no al quesito (se quindi ci sarà una maggioranza di voti a favore della costruzione della base): il sindaco potrà dire alla città intera che lui è stato “democratico” e, contrariamente al precedente sindaco di Forza Italia, ha permesso alla città di esprimersi. In questo modo potrà far capire il messaggio, ai suoi sostenitori in campagna elettorale contrari alla base (Sinistra Arcobaleno, lista del Presidio, singoli militanti No Dal Molin), di aver in ogni modo mantenuto la promessa e di essere ormai libero da debiti di riconoscenza. In questo messaggio sarà probabilmente compreso anche il messaggio di “tolleranza zero” (leit motiv della sua campagna elettorale) nei confronti di eventuali azioni di lotta contro la base.
Vincerà se vinceranno i sì al quesito (se quindi prevarranno i voti contrari alla base). Secondo i sostenitori del referendum questo sarebbe un risultato politico importante. Peccato che Variati abbia già chiarito che questo esito andrebbe interpretato così: "E' un no pesante, che riapre il tavolo delle trattative. Andrò dalle autorità Usa e chiederò loro di lasciare il Dal Molin e pensare ad altri siti alternativi, a Vicenza o vicino.” (4)
In nessuna delle ipotesi il referendum fermerà la base. L'unica funzione del referendum risulta quindi quella di consegnare il destino della lotta nelle mani del Pd e di Variati che al più tratterà col governo Berlusconi per spostare il sito della base di qualche metro più in là. Ipotesi peraltro scartata dagli Usa, che hanno già le chiavi dell’area dove dovrebbe sorgere la nuova base, e hanno avviato una gara d’appalto per la costruzione o ristrutturazione e locazione di 215 alloggi residenziali situati entro un raggio di circa 30 km dalla caserma Ederle “per favorire una migliore integrazione delle famiglie dei soldati” nelle comunità locali, oltre ad aver già fatto affari con le cooperative cosiddette, impropriamente, “rosse”, vicine al Pd. Quanto a Berlusconi,  risponderà che “il Dal Molin non è in vendita”, il terreno non sarà sdemanializzato, come già ripetuto anche nella famosa lettera in cui spiegò che il referendum è “inopportuno”.  Variati si sentirà ripetere, come ha fatto il Presidente della Repubblica Napolitano nella sua recente visita a Vicenza, che “Gli interessi di Vicenza devono combinarsi con quelli nazionali”. Stesse risposte dal commissario Costa, commissario e rappresentante del governo Prodi ora riconfermato, per un anno, nell’incarico di commissario straordinario del governo Berlusconi “per la realizzazione degli interventi necessari per l’ampliamento nell’aeroporto Dal Molin di Vicenza dell’insediamento militare statunitense”.
 
 
Il movimento soffocato da "amici" guerrafondai e carte bollate
Nel frattempo, dopo manifestazioni sospese in cambio di un colloquio con l’allora ministro Parisi, interrogazioni parlamentari fatte da onorevoli che hanno votato l’aumento delle spese militari, ricorsi al Tar, incontri e convegni con ospiti d’onore come Massimo Cacciari o come Fabio Mini (ex Capo di Stato maggiore del Comando Nato), lettere ad Obama e McCain, incontri a Bruxelles, il movimento avrà consegnato definitivamente la lotta ai rappresentanti di partiti e poteri che vogliono la base. Ha consegnato la lotta alle carte bollate e a una consultazione comunale della quale, anche nella migliore delle ipotesi, non interesserà nulla né al Ministero della Difesa, né a quello degli Esteri, né al governo, né alla Casa Bianca e al Pentagono.
Ma non è solo perché si tratta di una trappola e un inganno che noi non parteciperemo alla consultazione del 5 ottobre.
Intanto, non è vero quanto dichiarano i sostenitori della consultazione, che parlano di “democrazia”. E non solo perché c’è un problema di evidente disparità dei mezzi d’informazione fra chi la base la vuole (potere economico e politico) e chi non la vuole. Ma soprattutto perché va respinto il criterio per cui 35 mila vicentini possono “decidere” sulla più grande base di guerra d’Europa.
Sostenere il referendum contro la nuova base equivale a ostacolare non la base ma la crescita della lotta, surrogandola con una consultazione dall'esito già scritto e chi definisce questo imbroglio "espressione democratica" già si lega le mani impegnandosi a rispettarne l'esito e quindi, in caso di vittoria dei pro-base, a tornarsene a casa rinunciando "democraticamente" alla lotta.
Accettare che siano 35 mila vicentini a decidere significa accettare anche l'eventuale parere favorevole espresso dai vicentini in nome di tutta la popolazione nazionale (mentre la base è a Vicenza ma riguarda tutti) e anche in nome delle popolazioni d’altri Paesi che subiranno attacchi militari che partiranno proprio da quella base.
Il tutto sapendo, per di più in anticipo, che anche nel caso di una vittoria referendaria, tutto sarebbe consegnato nella mani del sindaco del Pd e che, sempre nella migliore delle ipotesi, l'unica vittoria sarebbe quella di un eventuale spostamento del sito un po' più in là. Ma una delle parole d'ordine fondanti del movimento non era "Né qui né altrove"?
Ecco perché riteniamo grave che le realtà politiche di sinistra che di tutto questo sono ben consapevoli si adeguino appoggiando, o con il silenzio o nei fatti, una consultazione che essi stessi ammettono essere una farsa. Pensiamo che questo silenzio su quanto sta accadendo a Vicenza sia grave.
 
 
La battaglia contro la guerra imperialista non si sottopone a referendum
La battaglia contro le guerre dell'imperialismo -vero fulcro della questione Dal Molin- non si sottopone a "consultazioni democratiche".
Per questo noi sosteniamo che il referendum è dannoso, costituisce un boomerang per il movimento e l'unico modo per impedire l'allargamento della base è continuare la lotta recuperando e rafforzando il fronte unico che si era formato nel primo periodo, recuperando e stringendo il collegamento con il movimento nazionale e internazionale contro la guerra e, soprattutto, esigendo dalle forze sindacali che si dichiarano contrarie alla base il reale coinvolgimento dei lavoratori affinché le future azioni nei confronti della costruzione della base non siano opera di pochi gruppi isolati ma possano contare sull’organizzazione e l’esperienza di lotta del movimento sindacale e operaio.
Una mobilitazione che va ripresa e sottratta all'uso strumentale che ne ha fatto la sinistra governista in tutte le sue articolazioni, una mobilitazione che è necessario si ricolleghi con il movimento internazionale contro la guerra e che colleghi l'attacco ai diritti dei lavoratori e lo scempio del territorio al costante aumento delle spese militari.
Noi siamo e saremo disponibili, in questa direzione, a collaborare e a ricercare l’unità del movimento nel rispetto delle differenze ma nella chiarezza delle proposte e dell’obiettivo, al di fuori di tutti i giochi  politici dei rappresentanti del centrodestra e del centrosinistra.
 
 
(*) Direttivo Pdac Vicenza
 
(1) Il Giornale di Vicenza - 07/08/2008
(2) Il Riformista - 07/08/2008
(3) Il Piccolo - 30/07/2008
(4) Il Giornale di Vicenza - 30/04/2008
 

 

IL GIORNO DOPO

 

Aggiunta all'articolo, dopo l'esito del referendum:

 

 

Il 6 ottobre, giorno dopo la consultazione, nei giornali locali si potevano leggere questi titoli:

“Referendum –flop. Ha votato solo il 28 per cento” - “Dal Molin, al voto solo tre vicentini su dieci”-“Lontana quota “35 mila “, ma il sindaco dice :”un successo ne terrò conto”-“Votano in più di 24 mila :Tanti, ma non è il quorum”-“ Comitati, il sì festeggia”- -“Il day after. Il commissario: ”Fa piacere vedere certificato che il 72% dei vicentini non si oppone alla base”.

 

Purtroppo siamo stati facili profeti quando ci siamo schierati, in splendida solitudine, contro la consultazione.

Da evidenziare, inoltre, il taglio dato alla campagna elettorale da una parte del  movimento No Dal Molin. Nel quartiere di san PioX , zona est di Vicenza,ad esempio, difronte ad una scuola d’infanzia nella quale gli iscritti sono per quasi metà figli di lavoratori immigrati di vai Paesi, il giorno della consultazione capeggiava un enorme cartello con scritto :”Domani potrai dire :c’ero anch’io”-e , come attacco alla Lega che ha boicottato la consultazione: “Hanno giurato a Pontida-Hanno tradito a Vicenza”

Del resto Cinzia Bottone, consigliere comunale eletta nella lista “Vicenza libera-No Dal Molin” qualche giorno prima aveva dichiarato: “Vicenza si ribella a una decisione calata dall’alto, e lo fa nel momento in cui c’è un gran parlare di autonomia e federalismo. Noi, a differenza di altri, li stiamo difendendo concretamente”. E dopo il voto ha dichiarato: “L a parola ripassa in mano ai giudici nella speranza che siano più imparziali rispetto alle decisioni del Consiglio di Stato”.

Anche il sindaco Variati, con la spilla della bandiera italiana e americana incrociate, ha votato, e mentre infilava la scheda nell’urna ha detto sorridendo: “ok”.

 

 
 
 

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